La Neuroestetica è una disciplina a cavallo tra psicologia, medicina ed arte. Il 14 maggio si è tenuto a Siena un seminario sull’argomento, che ha dibattuto l’impatto dell’arte, sia in senso percettivo, che in senso patologico. Si è infatti parlato della Sindrome di Stendhal e in generale degli effetti della fruizione di artefatti artistici. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
La Sindrome di Stendhal è una malattia che colpisce soggetti particolarmente sensibili agli aspetti estetici delle opere d’arte e che si manifesta con vertigini, nausea, tachicardia lieve o accentuata. Tali sintomi portano in alcuni casi anche ad episodi più gravi di allucinazione. La spiegazione di tutto questo sta in una sovreccitazione e iper-connessione dei collegamenti neurali deputati alla visione e alla percezione del bello, che provocano u vero e proprio cortocircuito neuronale.
Senza arrivare a casi più gravi, sappiamo che di fornte ad un opera pittorica o artistica, così come di fronte alla realtà, il nostro cervello non reagisce in modo passivo, semplicemente registrando dei dati, ma si attiva. Tale arousal coinvolge differenti aree cerebrali e funzioni della nostra mente, ed ha caratteristiche lievemente diverse in bae alla nostra specifica architettura neuronale, alla abilità visiva ed esplorativa, e alla nostra educazione visiva o meno.
Sono questi i fattori di cui si occupa la neuroestetica, focalizzandosi in particolare sul come avvenga, nel cervello, il legame tra mente ed arte. Ovviamente si tratta di un legame che coinvolge numerosi aspetti positivi: oltre alla citata Sindrome di Stendhal esistono altre “patologie artistiche”, così come può esistere un impiego terapeutico dell’artisticità. Non ci si riferisce qui alle arti terapie nel senso catartico, e in modo psicoanalitico alla Freud, bensì all’utilizzo di tecniche e sperimentazioni che coinvolgono la dimensione dell’arte collegata al piano cognitivo delle funzioni e delle abilità. Niente ricordi del passato dunque, né proiezioni di sé, ma strumenti sperimentali di empowerment ed esercizio che portino alla correzione di difetti intrinseci o acquisiti e alla educazione ad una fruizione corretta del mondo arte, con tutti i benefici che questo comporta.
L’incontro è stato condotto dal professor Antonio Federico, direttore dell’U.O.C. Neurologia Malattie Neurometaboliche del Policlinico di Siena, e ha visto la collaborazione del professor Paolo Livrea, direttore a Bari del Dipartimento di Scienze Neurologiche. In particolare il seminario, partendo dalle basi della neuroestetica, si è poi rivolto al tema specifico della bellezza e del suo legame con la mentalizzazione. Numerosi autori, da parte di diverse scuole hanno tentato di definire che cosa sia “il Bello”, ma non si è mai giunti ad una definizione univoca che matta d’accordo tutte le branche della Psicologia e delle scienze affini.
La Sindrome di Stendhal è una malattia che colpisce soggetti particolarmente sensibili agli aspetti estetici delle opere d’arte e che si manifesta con vertigini, nausea, tachicardia lieve o accentuata. Tali sintomi portano in alcuni casi anche ad episodi più gravi di allucinazione. La spiegazione di tutto questo sta in una sovreccitazione e iper-connessione dei collegamenti neurali deputati alla visione e alla percezione del bello, che provocano u vero e proprio cortocircuito neuronale.
Senza arrivare a casi più gravi, sappiamo che di fornte ad un opera pittorica o artistica, così come di fronte alla realtà, il nostro cervello non reagisce in modo passivo, semplicemente registrando dei dati, ma si attiva. Tale arousal coinvolge differenti aree cerebrali e funzioni della nostra mente, ed ha caratteristiche lievemente diverse in bae alla nostra specifica architettura neuronale, alla abilità visiva ed esplorativa, e alla nostra educazione visiva o meno.
Sono questi i fattori di cui si occupa la neuroestetica, focalizzandosi in particolare sul come avvenga, nel cervello, il legame tra mente ed arte. Ovviamente si tratta di un legame che coinvolge numerosi aspetti positivi: oltre alla citata Sindrome di Stendhal esistono altre “patologie artistiche”, così come può esistere un impiego terapeutico dell’artisticità. Non ci si riferisce qui alle arti terapie nel senso catartico, e in modo psicoanalitico alla Freud, bensì all’utilizzo di tecniche e sperimentazioni che coinvolgono la dimensione dell’arte collegata al piano cognitivo delle funzioni e delle abilità. Niente ricordi del passato dunque, né proiezioni di sé, ma strumenti sperimentali di empowerment ed esercizio che portino alla correzione di difetti intrinseci o acquisiti e alla educazione ad una fruizione corretta del mondo arte, con tutti i benefici che questo comporta.
L’incontro è stato condotto dal professor Antonio Federico, direttore dell’U.O.C. Neurologia Malattie Neurometaboliche del Policlinico di Siena, e ha visto la collaborazione del professor Paolo Livrea, direttore a Bari del Dipartimento di Scienze Neurologiche. In particolare il seminario, partendo dalle basi della neuroestetica, si è poi rivolto al tema specifico della bellezza e del suo legame con la mentalizzazione. Numerosi autori, da parte di diverse scuole hanno tentato di definire che cosa sia “il Bello”, ma non si è mai giunti ad una definizione univoca che matta d’accordo tutte le branche della Psicologia e delle scienze affini.
Foto by marcelsola
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