martedì 31 luglio 2007

PSICOLOGIA OSPEDALIERA: UN LIBRO RACCONTA LE EMOZIONI DEI BAMBINI


'Ti racconto il mio ospedale' è un libro, da poco in commercio, relativo alle emozioni dei bambini ospedalizzati. Nasce all’interno di un progetto che vuole promuovere il benessere dei piccoli degenti e comprendere i loro vissuti, tramite il racconto e il disegno delle emozioni dei piccoli. Completano l’opera suggerimenti pratici per garantire un ottima salute emotiva oltre che fisica.

L’AGESO, Associazione Gioco e Studio in Ospedale, ha coinvolto 379 minori in vari ospedali tramite un progetto mirato a capire quali sono le emozioni relative al vissuto dell’ospedale e in particolar modo di che tipo sono le paure. Tra tutti gli elaborati raccolti, sotto forma di brevi testi o disegni sono stati scelti i più significativi.


Il libro è un’opera preziosa per bambini che si apprestano al ricovero o stanno vivendo questa esperienza, dato che permette loro di confrontarsi con i vissuti altrui e di copiare le strategie e i pensieri di chi prima di loro ha dovuto affrontare questa delicata esperienza. Non soltanto, grazie alla presenza di un’appendice con indicazioni e consigli pratici è di aiuto sia ai genitori, sconvolti spesso più dei figli e sommersi da esigenza burocratiche che spesso minano il rapporto con il figlio, sia al personale ospedaliero a cominciare dagli infermieri sino a giungere ai pediatri.
Gli psicologi trovano nel libro una preziosa fonte delle emozioni infantili e possono così interpretare e creare modalità di interazione e comunicazione adeguate.


Fortunatamente sono sempre di più le strutture, anche in Italia, che dedicano a bambini e minori attenzioni specifiche e pensate da esperti psicologi apposta per loro. Un esempio è l’Ospedale Buzzi di Milano che, oltre ad occuparsi specificamente di patologie neonatali e infantili, prevede un servizio di accoglienza-assistenza gestito dal personale per svagare il bambino e facilitare l’autoespressione e la riflessione sulla malattia e le modifiche fisiche e emotive che questa comporta. In altri casi purtroppo queste iniziative sono lasciate a ruppi di volontari e sterni, e di esperti con inclinazioni da Patch Adams.


Si auspica che presto tutte queste pratiche divengano “di serie” perché, come anche il libro mostra, se il bambino trova un ambiente che gli permette di essere ascoltato può proficuamente affrontare le sue paure interiori e superare il trauma della malattia.


Riferimento: F. Bianchi, M. Capurso, M. Di Renzo, 'Ti racconto il mio ospedale. Esprimere e comprendere il vissuto della malattia', Edizioni Magi 2007


Foto by Gopal gv

lunedì 30 luglio 2007

L'APPROCCIO EMOTOCOGNITIVO


La psicologia emotocognitiva cerca di spiegare l’insorgere di disturbi d’ansia.

Viviamo in una molteplicità di contesti, che determinano diverse modalità di relazione e diversi comportamenti. Infatti, in base al contesto in cui ci troviamo agiamo e ci relazioniamo in modo differente.
Sebbene i contesti di vita siano molteplici, l’organismo rimane uno e uno solo, indivisibile. Secondo la psicologia emotocognitiva, proprio il fatto che abbiamo diverse strategie comportamentali a seconda dell’ambiente in cui ci troviamo, genera delle tensioni. Queste tensioni sono definite contesto-specifiche e sono generate dalle ‘regole comportamentali’ che dobbiamo tenere a mente ed attivare nei diversi contesti.

Semplificando, possiamo dire che ragioniamo per compartimenti stagni: sono nel contesto A e devo comportarmi in questo modo, relazionarmi in quest’altro. Il problema nasce quando questi contesti si incrociano, generando confusione ed incertezza su quale comportamento sia più appropriato.
In questi casi molte persone reagiscono esercitando un eccessivo controllo volontario. Questa modalità è però purtroppo disfunzionale e genera di fatto una perdita di controllo, fino a sviluppare sintomi come disturbi d’ansia o psicosomatici.

L’approccio emotocognitivo implica che lo psicologo tenga conto di questa ‘divisione interna’ della persona. In sede clinica, devono essere dunque valutati con attenzione i processi di organizzazione sistemica.

Consigliamo, per maggiori informazioni sulla psicologia emotocognitiva, il libro ‘Psicologia emotocognitiva nello studio delle relazioni interpersonali’ di Quagliarini e Baranello.

Abbiamo già parlato di psicologia emotocognitiva riguardo al disturbo ossessivo-compulsivo nell’articolo ‘La psicologia emotocognitiva contro il disturbo ossessivo-compulsivo’



foto by remuz

domenica 29 luglio 2007

SOMMARIO DELLA SETTIMANA


Questa settimana ci siamo occupati di...


  • addiction: le nuove tecnologie stanno sviluppando nuove dipendenze. Il cellulare è una dele maggiori cause.

  • musica: in che modo il nostrocervello elabora i suoni? Dall ricerca d Levitin si ipotizza l'esistenza di un centro neurale apposito.
  • la psicologia nei tribunali. Di fronte ad una testimonianza sono molteplici i fattori psicologici che i giudici devono tenere in considerazione. Una breve panoramica sulla psicologia giuridica.

  • Approccio psicologico per allestire un museo. Organizzare un museo non è un compito facile, ma un buon allestimento può determinare il successo di una mostra e soprattutto una gradevole fruizione. Un po' di psicologia dell'arte per introdurre un nuovo libro: ‘Immaginare il museo. Riflessioni sulla didattica e il pubblico’.

  • Antidepressivi: i farmaci utilizzati contro la depressione talvolta possono addirittura determinare un peggioramento delle condizioni del paziente.
  • Timidezza: molteplici sono i fattori determinanti questo tratto di personalità, dovuto sia alla genetica che all'ambiente circostante.
  • Elaborazioni visive: guardare volti o oggetti stimola un diverso processo di elaborazione, che ha notevoli ricadute sui nostri procesi di pensiero.

  • benessere: il benessere psicologico è determinato da molti fattori. Nonostante sia perseguito dalla psicologia, è stao troppo spesso trascurato da questa disciplina perchè concentrata sui disturbi e deficit mentali.
  • dipendenze: il consumo di caffè è in continuo aumento... probabilmente perchè ci fa 'sentire meglio', sentire più attivi senza effetti collaterali

foto by giuli@

sabato 28 luglio 2007

CAFFE', L'ULTIMA DROGA LEGALE


Il consumo di caffè e di prodotti di caffeina è in continuo aumento. Qual è il motivo per cui se ne consuma così tanto? Possiamo catalogarlo tra le droghe?

Tutti abbiamo una dipendenza. O meglio, anche i più attenti, quelli che non si concedono neanche un vizio, non eccedono a tavola, non devono vino e non fumano, sottovalutano un elemento. Il caffè. Il caffè sembra essere l’unica ‘droga’ rimasta legale e per questo ampiamente consumata.

David Schardt, nutrizionista al Center for Science in the Public Interest, spiega: “La caffeina altera l’umore, aumenta la concentrazione, aumenta la resistenza fisica, aiuta a sconfiggere le emicranie. Più del 50 per cento dei forti consumatori di caffeina riportano esperienze di crisi d’astinenza quando smettono”.

I consumi di caffè e di bibite energetiche che contengono caffeina sono in continuo aumento. Le vendite di Red Bull sono aumentate del 100 per cento dal 2001 ad oggi. Alcuni prodotti che contenevano già caffeina, come la Pepsi, ne stanno aumentando la quantità, senza contare i nuovi prodotti che escono sul mercato.

Il settimanale Newsweek, che ha condotto un’inchiesta al riguardo, sottolinea non solo il fatto che il caffè sia l'unica droga legale, ma anche la sua fondamentale sicurezza. Infatti, non sono stati ancora documentati effetti collaterali dovuti all’uso di caffeina.
Segnaliamo tuttavia un’iniziativa bizzarra ed anche un po’ macabra. Il sito Energyfiend.com ha lanciato un contatore di morte per caffeina…. Sostenendo che 44 tazze di caffè siano in grado di causare la morte.



foto by Turquoise f

MUSICA PER LA MENTE

Lo studio Life soundtracks, condotto da D. J. Levitin per conto di Philips, conferma il potere della musica sugli stati mentali ed emotivi ed ipotizza l’esistenza di un centro neurale apposito. Le caratteristiche del suono sarebbero adatte alla stimolazione del nostro cervello e sussisterebbe differenza tra tipologie di suono.

La ricerca è stata condotta in ambito neuropsicologico e ha pertanto rilevato l’influenza della musica sui circuiti neurali: l’ascolto dei suoni agirebbe nello specifico su di un neurotrasmettitore, la dopamina, responsabile di stress e quiete.

Gli effetti registrati hanno riguardato in primo luogo le risposte fisiologiche: i principali indicatori come sudorazione, conduttanza cutanea e battito cardiaco vengono modificati dall’esposizione sonora. Anche l’umore, di conseguenza, viene influenzato, anche se il meccanismo di collegamento è stato studiato ormai da numerosi autori ma finora mai chiarito del tutto.
Allo stesso modo le capacità cognitive, come ragionamento e memoria, aumentano o diminuiscono all’ascolto di suoni di uno o di un altro tipo.

L’effetto Mozart è sicuramente uno dei più noti, costituito dalle proprietà rilassanti e terapeutiche delle sue composizioni, ma numerosi altri sono i brani e i generi musicali che Levitin ha classificato ed indicato come adatti alle differenti attività quotidiane. Chopin e Brahms avrebbero analogo potere rilassante, mentre per attività sportive e di fatica sono più indicati i generi pop o rock melodico.
Lo studio ha inoltre scoperto l’esistenza di uno specifico centro neuronale deputato all’analisi e all’organizzazione della materia sonora. Tale “punto di raccolta” coinciderebbe con il centro che stimola all’assunzione di droghe e a tutti quei fenomeni unificabili sotto il nome di addiction, come la dipendenza da droghe o dall’alcool.

foto by sirbonetta

venerdì 27 luglio 2007

ANSIA DA CELLULARE

Tra le forme di ansia si sta creando un nuovo cluster, legato alla sfera delle nuove tecnologie. Tali fenomeni potrebbero rientrare nell’accezione generale di Internet addiction, sebbene legati all’utilizzo del telefono cellulare. I “disturbi” sono nominati rispettiavamente con la nomina ringxiety e vibranxiety. Vediamo di cosa si tratta.

Ci siamo così abituati alla presenza dei cellulari che spesso ci capita di sentirli anche quando effettivamente non è vero, e persino di avvertire una vibrazione sul nostro corpo che ci avverte della chiamata silenziosa.
Sono i fenomeni rispettivi della ringxiety e della vibranxiety, che sembrano essere altamente diffusi tra le persone. Non esistono al momento studi scientifici in grado di dimostrarli e si tratta di trend registrati da interviste e giornali d’attualità, ma presto saranno indagine si studio.

Le cause sono principalmente due, per quanto riguarda lo stato della scienza oggi:
  1. allucinazioni uditive che dipendono da un iperattivazione e un iperstimolazione del canale sonoro. Sempre più spesso i suoni di cellulare, anche diversi dal nostro, affollano la scena quotidiana; anche l’attenzione volontaria verso certi stimoli è aumentata. Sia abbiamo un interesse quasi primario verso la ricezione di telefonate e messaggi, sia dobbiamo essere in grado di distinguere i segnali del nostro apparecchio da quelli altrui.
  2. circuiti neurali appositi, stabilitisi in seguito alla ripetizione di routine relative al telefono. Ascoltare-rispondere. Basta uno stimolo analogo al trillo o alla vibrazione del telefono per attivare tali circuiti, in modo apparentemente inspiegabile.

Appurato che non si tratta quindi di disturbi in senso proprio, la dipendenza e il contributo all’innalzamento oltre la soglia di stress procurati dalla telefonia sono facilmente neutralizzabili, con momenti di stacco.
Se proprio non volete spegnere il cellulare la notte, concedetevi almeno queste vacanze di riposo dall’ossessione della (si potrà ancora dire così?) cornetta!

Foto by gaverg

giovedì 26 luglio 2007

LA PSICOLOGIA DEL BEN-ESSERE

Il benessere, inteso come l’insieme delle pratiche e delle condizioni attorno all’uomo e nell’uomo che fanno sì che viva in modo adatto e felice è stato spesso trascurato dalle discipline psicologiche, soprattutto dalla branca medico-psichiatrica. Almeno questo è il parere di Robert Cloninger, della Washington University School of Medicine di Saint Louis.
Nella sua concezione l’uomo dipende da tre specifici fattori che vanno incrementati per il miglioramento della vita.


Il carattere di una persona, secondo Cloninger, è costituito da tre dimensioni fondamentali, ossia:
  1. autodirezionalità, la capacità di decidere per se stessi e di perseguire obiettivi personali senza conformarsi all’opinione corrente;
  2. cooperatività, il saper collaborare con gli altri e l’adozione di quei valori coe l’universalismo e la benevolenza,
  3. autotrascendenza, che in modo analogo alla precedente evidenzia i tratti della socialità.
    Perché si dia benessere, ciascuna di queste tre caratteristiche deve venire sviluppata.

Il problema della psichiatria sino ad oggi sarebbe stato di avere concentrato la propria attenzione soltanto sulla patologia e sui casi di deficit mentale, anziché su quelli di potenziamento e dalle potenzialità maggiori.

Lo scopo, secondo l’autore, delle discipline psicologiche dovrebbe essere, invece, quello di potenziare e migliorare il carattere delle persone tramite diverse fasi. L’attenzione non è più rivolta alla carenza, ma alla creazione di un ambito, che è sia interiore al soggetto che ambientale-sociale.
La realizzazione piena del proprio carattere è soltanto uno degli aspetti che contribuiscono al benessere della persona. Essere soddisfatti della propria vita prevede infatti numerosi aspetti, se ne riportano alcuni tra quelli evidenziati da Cloninger:

  • presa di coscienza delle paure;
  • puntualizzazione delle emozioni positive al posto delle negative,
  • accettazione dei limiti,
  • attenzione agli aspetti spirituali dell’esistenza, anziché a quelli materialistici;
  • cooperazione e altruismo verso gli altri.

Sulla base di questi punti lo studioso ha messo a punto un programma di “educazione psicologica” presso il proprio dipartimento.

Sicuramente l’aspetto del benessere delle persone dev’essere ad oggi un aspetto altamente rilevante nella pratica psicologica, date le aumentate condizioni positive di cui le persone possono godere, anche se la critica a posteriori della disciplina risulta ridondante.
Senza i progressi le nuove applicazioni, relative ai casi di miglioramento non sarebbero neppure potuto emergere, così come si deve ricordare che la nascita della psichiatria soprattutto era, e resta, legata all’ambito medico. Fa parte dello statuto iniziale stesso la volontà di occuparsi dei casi di bisogno e di carenza, seppure in una concezione diminuitiva del malato rispetto al sano.

Ora, grazie agli studi precedenti, la psicologia e la psichiatria scoprono una nuova sfera d’interesse che non deve sostituire, ma affiancarsi alla pratica clinica. Sarebbe troppo semplice illudersi che le difficoltà si siano risolte, ma ricavare dallo studio di queste anche delle indicazioni per un trattamento preventivo sembra essere un’ottima prospettiva. In questo ambito la psicologia come disciplina performante e preformante deve collocarsi come confidente che analizza e accoglie le inclinazioni personali per dare loro modo di espandersi nella direzione voluta, permettendo al ben-essere di emergere e progredire. Senza per questo accettare una teoria evoluzionista alla Spencer, ci si auspica un progresso verso il miglioramento della prospettiva individuale di ciascuno e, di rimando, sociale.

Foto by mgratzer

ELABORAZIONI VISIVE


L'elaborazione di volti e oggetti, avviene in modo differente. Una ricerca, coordinta dai professori Aglioti e Urgesi, ha utilizzato la stimolazione magnetica transcranica, per studiarne i meccanismi.



Quando osserviamo una persona o un edificio utilizziamo due modalità di elaborazione differenti.
Secondo lo studio condotto negli Irccs ‘Eugenio Medea’ e ‘Fondazione Santa Lucia’ e nel dipartimento di Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma, il cervello elabora volti e corpi in una prospettiva globale, mentre effettua un’analisi locale quando si osservano degli oggetti.

Il processo messo in atto mentre si osserva un volto è da tempo conosciuto. Infatti, l’osservazione di tipo gestaltico del volto ha una fondamentale motivazione biologica e sociale, che si sviluppa fin dai primissimi giorni di vita. Un neonato è in grado di distinguere la configurazione corretta di un volto, da un volto in cui gli elementi (occhi, naso, bocca) sono sparsi in modo disordinato. Questa ‘strategia globale di elaborazione’ consente all’individuo di riconoscere indizi emotivi e sociali veicolati da faccia e corpo.

Lo studio aveva come obiettivo quello di identificare i meccanismi alla base dell’empatia e della ‘capacità di sintonizzazione’. La ricerca ha utilizzato la stimolazione magnetica transcranica, che permette di creare una sorta di ‘lesione virtuale’, ovvero di bloccare l’attività di una determinata area cerebrale. La strategia utilizzata è quella dell’effetto inversione: l’oggetto viene presentato in modo inusuale, in modo da indurre una maggiore difficoltà di elaborazione.

E’ stato dimostrato che l’elaborazione risulta più lunga nel caso che l’oggetto da analizzare è un volto o un corpo umano. Salvatore Maria Aglioti, uno dei due coordinatori del progetto di ricerca insieme a Cosimo Urgesi, spiega: “In questo senso lo studio potrà chiarire alcuni dei meccanismi alla base della ridotta capacità di ‘sintonizzarsi’ ed empatizzare con gli altri riscontrata in disturbi come l’autismo e altre patologie psichiatriche”.

foto by Bernard Farrell

mercoledì 25 luglio 2007

SEI TIMIDO?



La timidezza: un tratto di personalità che sembra interessare moltissime persone. Una ricerca statunitense del Shyness Institute, cerca di delineare i fattori determinanti.

Introversi ed estroversi, timidi ed espansivi, due tipologie di persone, due modalità di relazionarsi con gli altri. Quali siano le motivazioni, i fattori che determinano questi differenti comportamenti sono per lo più ancora sconosciuti. Tuttavia dati riguardanti la popolazione statunitense, hanno spinto ad ulteriori ricerche.

Il centro californiano Shyness Institute, ha analizzati i dati derivanti da interviste del 2000. Emerge che la metà degli intervistati soffre di ‘timidezza cronica’. Il dato è importante considerando che la percentuale è aumentata del 40 per cento dal 1970. Inoltre il 40 per cento sostiene di essere stato timido, ma di aver superato il problema. Il 15 per cento dichiara di soffrire di timidezza solo in determinate situazioni, e solo il 5 per cento non ha mai sofferto di timidezza.

I fattori che possono portare alla timidezza sono molteplici. Secondo il direttore dello Shyness Research Institute dell'Università dell'Indiana, Bernardo Carducci non si può dire che la timidezza sia presente fin dalla nascita, in quanto la timidezza è correlata al senso di sé, che si sviluppa solo dopo i 18 mesi.
La timidezza sembra derivare da tre caratteristiche: un’eccessiva auto-consapevolezza, una valutazione negativa di sé e forte preoccupazione per se stessi. Il timido è troppo concentrato su se stesso e per questo in situazioni sociali non riesce a comportarsi in modo naturale.
Sebbene il dibattito sull’origine della timidezza sia ancora aperto, viene posto al centro il ruolo della famiglia. Genitori eccessivamente ansiosi possono esasperare le inclinazioni di un neonato. Quindi oggi si pensa ad una compartecipazione di più fattori, genetici ed ambientali, per lo sviluppo della timidezza
foto by Gizzzz

PSICOLOGIA E ANTIDEPRESSIVI

La depressione è una malattia psicologica che prevede conseguenze anche gravi, come il tentato suicidio. Spesso la cura soltanto psicologica non basta, e i pazienti devono assumere anche dei farmaci antidepressivi. La FDA ha scoperto che tali farmaci però sono da monitorare attentamente in date fasce d’età, per non acuire i rischi già presenti nella patologia.

77.000 pazienti, dal 2005 ad oggi, in cura con antidepressivi sono stati tenuti sotto controllo per verificare se i farmaci antidepressivi potessero presentare effetti collaterali. In tutti i casi la farmacologia ha agito in direzione del miglioramento delle condizioni del paziente, aumentando la sua forza e la sua volontà. La depressione infatti porta a stati di debolezza, stanchezza, ipotonia e apatia nelle persone affette.

I miglioramenti producono anche un “effetto collaterale" che si sviluppa specificamente in una precisa fascia d’età: la tendenza suicidaria è uno dei tratti caratterizzanti la malattia e non può essere ascritta all’influenza dei farmaci, ma l’aumento della capacità proattiva può innalzare anche volontà e capacità relative all’ideazione suicidaria.
Nella prime fasi di trattamento si verifica infatti un ripristino e un accrescimento del tono della persona, ma l’umore della stessa non è ancora stabilizzato, dato che richiede tempi più lunghi e viene contemporaneamente trattato con sedute psicologiche.
Il soggetto trova così le forze non solo per progettare il suicidio, ma anche per realizzarlo.

Tale rischio è elevato nei pazienti di età compresa tra i 18 e i 24 anni, e riguarda il 15-20% delle persone che, affette da depressione, mostrano una propensione verso l’interruzione volontaria della propria vita.

Generalmente però il rischio è noto agli esperti e non deve portare ad un giudizio negativo verso i farmaci antidepressivi tout-court. Esistono numerosi rimedi, a cominciare dal monitoraggio attento del paziente che avviene presso l’ente di cura stesso o grazie a controlli regolari nel caso di non ospedalizzazione. Anche i familiari poi costituiscono un fattore di guardia importante.
Lo psicologo può intervenire tempestivamente grazie alla valutazione che effettua con le sedute, ma i rimedi esistono anche all’interno dell’ambito farmacologico stesso: esistono preparati che permettono di proteggere il paziente dalla sua impulsività e irritabilità.

Niente panico dunque, ma attenzione e buonsenso, come in ogni cosa.


Foto by morbillina

martedì 24 luglio 2007

L’ALTRUISMO MINATO DAL TESTOSTERONE

Un recente studio condotto da Terry Burnham presso la Harvard University, pubblicato su New Scientist, rivisita le regole della distribuzione evidenziando come elevati tassi di testosterone portino ad una collaborazione minore e a un rifiuto elevato delle divisioni in percentuali ingiuste. La spiegazione starebbe nel passato evolutivo di ciascuno di noi.

Le regole della ridistribuzione di risorse sono state studiate in numerosi ambiti. Uno strumento di rilevazione, trasversale alla psicologia e all’antropologia, consiste nel cosiddetto Ultimatum game.
Le regole che lo governano sono molto semplici. Il ricercatore affida una somma di denaro ad un primo soggetto, ad esempio Andrea e lo invita a dividere la somma con un secondo soggetto, Luca.
Se Andrea propone una divisione equa, o lievemente sbilanciata, Luca accetta. Se invece la proposta è evidentemente sbilanciata nei confronti del primo, Luca rifiuterà. Se il secondo soggetto non accetta però anche il primo perde la sua parte.

Burnham si è concentrata non tanto sull’atteggiamento di Andrea, ma sulle caratteristiche di Luca.
Ha misurato i livelli di testosterone dei partecipanti e ha ritrovato una correlazione positiva tra quanti presentavano livelli elevati di testosterone e la riluttanza ad accettare somme inique. I soggetti rifiutanti ad alto testosterone erano in numero maggiore rispetto a quelli con livelli inferiori.

La spiegazione del comportamento non è legata alla loro maggiore percezione di giustizia, bensì al contrario, sulla loro volontà di predominanza.
Evolutivamente i primati caratterizzati da livelli alti di testosterone tendono ad essere membri dominanti all’interno del gruppo, in posizione di controllo e superiorità rispetto agli altri. Dato che Andrea offre una somma inferiore a luca rispetto a quella che trattiene per sé, Luca non può accettare la proposta. Sarebbe l’equivalente di ammettere di avere meno potere sul proprio avversario e cedere il campo.


Foto by Violentz

PSICO-FLASH: PREVENIRE L’ALZHEIMER A TAVOLA

John Cashman, insieme ai suoi colleghi dell’Istituto di Ricerca Biomolecolare Umana di San Diego, ha confermato, con un recente studio, le proprietà antidegenerative del curry.
Non si tratta della prima ricerca relativa alla spezia dal colore ambrato, che sembra avere più di una proprietà.

Il curry è una spezia non moto usata in Italia, ma comunque abbastanza nota grazie alla tendenza esotica della cucina moderna. Le proprietà di questa polvere vanno però ben oltre alla solleticazione del palato, grazie alla presenza di importanti molecole, dette bisdemetossicurcumina.

Le proprietà generali del curry sono state esaminate in studi precedenti, che ne hanno evidenziato le potenzialità a livello medico.
Avrebbe un’azione disintossicante e disinfettante, favorirebbe l’eliminazione del colesterolo e sarebbe d’aiuto all’eliminazione delle tossine da parte del fegato.
Ha anche capacità coadiuvante nella cura di vari tumori, come quello della prostata e del seno.

Per quanto riguarda l’ambito cognitivo, secondo studi condotti in India mostrano che capacità intellettive legate alle performance di base sarebbero migliori nei consumatori di curry rispetto a coloro che non lo assumono.

Nell’Alzheimer il curry contrasterebbe la formazione delle placche di beta-amiloidi, responsabili della degenerazione cognitiva e fisica.
Anche altre sostanze hanno effetti benefici sulla malattia e spesso si assiste a ricerche, più o meno serie, che annunciano i prodigi miracolosi dell’uno o dell’altro alimento.
Il curry è una fonte di molecole necessarie a contrastare proteine pericolose per l’organismo, che deve essere usata nei modi giusti. Un consumo regolare e non eccessivo può giovare alla salute, così come un’alimentazione sana e ricca di cibi con contenuti positivi per l’organismo resta la migliore ricetta.
Con la consapevolezza che nessun rimedio è la panacea di tutti i mali.



Foto by GenkiGenki

lunedì 23 luglio 2007

PENSARE UN MUSEO


Organizzare un museo in modo che sia fruibile: la psicologia, i bisogni e i desideri dell'utenti, tutte varibili che devono essere tenute in considerazione.


La psicologia e il museo, due ambiti apparentemente molto distanti. Negli ultimi anni, però, un filo sottile ha incominciato ad unirli. Infatti, se la psicologia è ormai da molto tempo impiegata nella pubblicità e nel marketing, dove indaga le scelte di consumo e le variabili psicologiche che spingono all’acquisto, solo negli ultimi tempi si è cominciato ad avvicinarla al museo.
Si noti bene, la psicologia non solo può essere utile per coinvolgere un pubblico sempre più vasto nelle visite ai musei, attraverso una sapiente campagna di comunicazione.
Il vero ambito in cui la psicologia può apportare novità e miglioramenti consiste nell’organizzazione e strutturazione della mostra/museo. Infatti, la psicologia potrebbe aiutare gli organizzatori di mostre a creare un’esposizione altamente usabile e fruibile per l’utente. Troppo spesso molti aspetti vengono valutati solo dal punto di vista estetico senza però pensare a come il fruitore sarà in grado di interagire. Mi viene in mente un classico esempio, in alcune mostre mi è capitato di osservare le etichette riportanti il titolo e l’autore dell’opera distanti dall’opera stessa: ciò spinge il fruitore a spostarsi, diventando così una fonte di distrazioni.

Tutta questa introduzione, in cui mi sono permessa di divagare un po’, è per sottoporre alla vostra attenzione una recente pubblicazione ‘Immaginare il museo. Riflessioni sulla didattica e il pubblico’ in cui l’autrice, Maria Teresa Balboni Brizza, racconta le riflessioni nate da trent’anni di esperienza sul campo al museo Poldi Pezzoli di Milano.
Attenzione particolare è riservata al pubblico, che “è indubbiamente cambiato. Più esigente, attento, disposto a farsi coinvolgere. Il museo dovrebbe interrogarsi costantemente sulle attese e la psicologia del suo pubblico. Ma questo non dovrebbe avvenire secondo i parametri della psicologia del marketing, che vede il museo come prodotto e i visitatori come consumatori.”

Il museo oggi deve acquisire una nuova funzione, deve ‘modernizzarsi’, per andare in contro a nuovi bisogni e nuovi desideri. Da luogo un po’ ‘troppo scolastico’ il museo può diventare un luogo d’incontro, di scambio e crescita. Ma per fare tutto ciò un apporto fondamentale deve arrivare dalla psicologia.

LA GIUSTIZIA E’ UNA QUESTIONE DI PSICOLOGIA

Monitor on Psychology ha pubblicato un articolo che mostra come siano molteplici le variabili che intervengono nelle testimonianze giudiziarie. Il campo della psicologia giuridica si occupa proprio di questo, ma serve che l’esperienza e la pratica psicologica si diffondano ben oltre i casi di perizia. La summa delle ricerche mostra che avvocati e giudici hanno difficoltà a distinguere testimonianze false, dovute a fattori di origine psichica.

Le ricerche mostrano che sono numerosi i soggetti che hanno scontato pene a loro non destinate a causa dell’inesperienza di giudici e avvocati nel valutare le variabili psicologiche che influenzano i resoconto di un imputato. Le persone interrogate su degli avvenimenti, seppure in vuona fede, possono compiere errori dovuti alle caratteristiche della memoria, ma anche a fattori contestuali. È proprio di questi che la recente ricerca si è occupata.

I fattori fuorvianti sono stati identificati in:
  • Trauma, ovvero l’entità dello shock che il soggetto ha riportato, che comprende i diversi punti del coinvolgimento o dell’assistere alla preparazione del crimine,
  • Armi, la loro presenza o meno influisce sia sul fattore sopradetto, sai sul grado di ricordo-amnesia;
  • Razza, la differenza di etnia agisce come fattore elicitante stereotipi e letture errate/distorte dell’altro;
  • Illuminazione, colore e intensità delle luci, sia durante la scena del crimine, che durante l’interrogatorio/processo, influiscono sulla memoria del soggetto e le caratteristiche emotive.

Studi precedenti hanno inoltre annoverato ulteriori fattori come la distanza dell’osservazione e le modalità di interazione con le forze dell’ordine al momento della convocazione e della deposizione.

I rimedi sono molteplici, anche se ovviamente nessuno di essi può avere carattere tale da garantire la perfetta veridicità e interpretazione delle testimonianze giuridiche.
Già da tempo lo psicologo viene convocato, in sede di interrogatorio o durante il processo, ma tale intervento è spesso limitato ad utenze specifiche, come minori e persone con deficit evidenti di personalità e malattia mentale, o riguarda la stesura di perizie.
La presenza dello psicologo dovrebbe invece essere estesa ad un numero maggiore, se non alla totalità dei casi. I limiti però, oltre che ai tempi e alla procedura, sono legati anche al costo economico.

Sono invece rari i casi in cui i giurati vengono istruiti sulla modalità di funzionamento della mente del testimone e sui possibili bias che la cognizione umana necessariamente comporta.
I corsi stessi di Giurisprudenza dovrebbero contenere discipline di ordine psicologico, perlomeno per sensibilizzare alle tematiche ed aumentare la consapevolezza del rischio. Durante i corsi di specializzazione e il praticantato inoltre la pratica e i seminari sulle variabili di disturbo sono irrinunciabili. Purtroppo tale pratica è ad oggi molto rara. Ci auguriamo che questa esigenza aumenti fino a divenire un obbligo: l’innocenza o la colpevolezza di una persona sono punti troppo importanti perché la psicologia non intervenga.

Per una stima dei processi “errati” si veda il progetto americano Innocence

Foto by aghezz

SOMMARIO DELLA SETTIMANA

foto by giuli@
Questa settimana abbiamo parlato di:


  • Stress sul lavoro: sarà che le vacanze sono vicine, le persone vivono in questo periodo un picco nel loro stress lavorativo. Ma se pensate che il vostro disagio sia solo un capriccio siete lontani. L’Associazione degli psichiatri italiana ha infatti messo a punto un disegno di ricerca per valutare lo stress lavorativo delle diverse categorie professionali, si inizia con sanità e educazione. Potete partecipare anche voi.
  • Realtà virtuale: la piattaforma Second Life si è trasferita per un giorno nel reale e ha incontrato il suo pubblico, un’occasione per conoscerne gusti e opinioni dal vivo e per “iniziare” nuovi soggetti alla vita on-line.

giovedì 19 luglio 2007

PSICO-FLASH: TEST SULLO STRESS LAVORATIVO

L’Associazione Italiana Psichiatri sta promuovendo una ricerca per studiare lo stress lavorativo. Il progetto prevede diverse sezioni di ricerca: in questo momento è attiva l’indagine sul burn-out, ma in seguito sono in programma test su altre categorie professionali. La seconda sezione dell’iniziativa riguarda invece il mobbing.

Il burn-out è una sindrome diffusa nell’ambito clinico-assistenziale, ma anche in quello educativo, sebbene se ne senta poco parlare. Si tratta di un vero e proprio esaurimento, spiegato efficacemente dalla parola “bruciato”, su tutti i livelli: la persona si trova priva delle forze fisiche e psicologiche per continuare e dare assistenza a chi ne ha bisogno, e questo a causa di ambineti e compiti lavorativi inadeguati, eccessivi stress e ore lavorative e relazioni insoddisfacenti con colleghi e pazienti.

Il mobbing è invece un fenomeno a connotazione sociale che consiste nel venire ostacolati, persino perseguitati, dai colleghi di lavoro, uno solo o più spesso una coalizione. Si esplica sotto numerose forme che vanno da quella fisica a quella psicologica.

L’associazione degli psichiatri ha creato un test, di breve durata, pensato e somministrato da parte di personale specialistico, che indaga il livello di stress che gli operatori del settore sperimentano nella loro quotidianità. Chi fosse interessato può informarsi sul sito dell’Aipsi e compilare il form via Internet.

Foto by Paolo C.

mercoledì 18 luglio 2007

REAL PARTY BY SECOND LIFE

Second Life, il sito di incontri e di conoscenze virtuali ormai affermato anche in Italia, è spesso nominato il luogo della Real life. Niente di più vero, tant'è che viene organizzato il primo raduno degli avatar, o meglio, delle persone titolari degli stessi.

L'esigenza nasce dai creatori stessi della piattaforma virtuale, incuriositi dalle caratteristiche del loro pubblico. Si tratta certo di una sfida, dato che impiegare tanto tempo alla creazione di una avatar che viva una nostra vita parallela è più un'esigenza di fuga che non di appartenenza alla realtà. Ma in fondo questi luoghi hanno ormai caratteristiche vivide tali da intersecarsi con la quotidianità. Forse l'aspetto delle persone in Second life è radicalmente differente dalla loro fisionomia, ma sentimenti e atteggiamenti tendono sempre più ad essere realistici. C'è chi usa la piattaforma come luogo di lavoro, per convention e incontri, e chi come sostituto all'uscita con gli amici.

Insolito il posto, la campagna toscana, un parco adibito e attrezzato con le tecnologie avanzate e lineee ad alta velocità, normalmente non presenti. Il messaggio: un avatar vive anche con computer lenti e fa parte della realtà. Un'ottima occasione per chi, alla parola Second life, si guarda intorno preoccupato.


Foto by rikolikesbikes

giovedì 5 luglio 2007

IL CYBERBULLO


Bulli nel cyberspazio: si appostano nei giochi multilayer per infastidire gli altri giocatori e ostacolarne appositamente le mosse.

Da tempo si è a conoscenza dei pericoli insiti nella reta. Internet diventa infatti valvola di sfogo per molte persone, che approfittano di questo luogo protetto, dove la propria identità può di fatto rimanere nascosta, per infastidire e talvolta molestare gli altri utenti.

Una nuova forma di aggressione on-line è emersa negli ultimi periodi. Sono i ‘griefer’, veri e propri cyberbulli che utilizzano i giochi multi-player, non con la semplice finalità di vincere, ma per tormentare la vittima prescelta, attraverso sgarbi, e ostacolandone le mosse.

"I griefer intrappolano la vittima e l'attaccano attraverso il gioco", ha spiegato in un'intervista la dottoressa Sally Black, della Saint Joseph University di Filadelfia.
Questo presenza si aggiunge ai già molteplici rischi connessi con questa tipologia di giochi. Sempre secondo Black, questi giochi sono infatti in grado di creare dipendenza, poiché incollano i ragazzi per molte ore al giorno davanti allo schermo del computer.


Foto by PVCC Survey

IMPARARE A PARLARE CON I TELETUBBIES


I bambini molto piccoli traggono qualche insegnamento dalla fruizione televisiva? Probabilmente no, o, da quanto risulta da una ricerca della Wake Forest University, certamente non migliorano le loro capacità linguistiche.

Alcune trasmissioni televisive sono specificatamente progettate e realizzate per i bambini più piccoli. In molti casi questi programmi si propongono anche fini pedagogici, ma il loro potenziale educativo è piuttosto incerto. I ricercatori della Wake Forest University, nella Caroline del Nord, si sono interrogati sulle capacità delle trasmissioni televisive di incrementare il vocabolario dei bambini.
"Visto l'enorme successo di programmi come i 'Teletubbies', che hanno un pubblico di bambini molto piccoli, è divenuto importante capire che cosa recepiscono i bambini da questi programmi", ha dichiarato Marina Krcmar, professore associato di Comunicazione alla Wake Forest University.

Dalla ricerca è però emerso che in realtà questi miglioramenti, sebbene auspicabili, non sono raggiunti.
Lo studio ha coinvolto bambini con meno di 22 mesi, provando a verificare se erano in grado di collegare un oggetto ed una nuova parola dopo che essi erano stati presentati all’interno della trasmissione televisiva. I bambini fallivano a questa prova. Al contrario, se a presentare la parola era stato un adulto, i bambini erano in grado di effettuare il collegamento.

Emerge, dunque, che i migliori insegnanti per i bambini più piccoli rimangono le persone in carne ed ossa, per lo meno per quanto riguarda le abilità linguistiche. La ricerca è stata condotta anche su bambini di 3 anni d’età: in questo caso i bambini sembrano apprendere dalla televisione.

"Ci piacerebbe credere che i Teletubbies e altri programmi possano trasmettere le prime abilità linguistiche. Questo non è vero", spiega la Krcmar.
La ricerca non ci aiuta a chiarire le motivazioni di questo non-apprendimento e quale sia l’età specifica da cui si inizia ad imparare tramite la fruizione televisiva, o quale sia l’acquisizione cognitiva lo permette.

Foto by nimasco

PSYCO-FLASH: PSICOLOGIA DEL LAVORO E DELLA SICUREZZA

Consigli per la lettura on-line.

PdE è una rivista on line sulla Psicologia che in questo numero, l'ottavo, propone interessanti articoli e riflessioni sul tema della sicurezza lavorativa, grazie a report e ricerche tuttora in corso da parte di ANVU.

Nello steso numero è poi presente un interessante articolo sulla sicurezza stradale, tema che anche noi abbiamo recentemente trattato.


Foto by emiliebjork

martedì 3 luglio 2007

I RISCHI DEL CYBERSPAZIO

Il report Giochi psicologici condotto da McAffee e diretto dallo psicologo legale Clive Hollin dell’Università di Leicester in Inghilterra mostra che sono sempre di più i soggetti che nello spazio web utilizzano tecniche psicologiche per truffare gli utenti.

Gli scopi consistono nella cessione di dati personali, nel fate accettare e aprire file o finestre illegali o infette da virus, capaci di costare anche care all’utente.

Le nuove tecniche consistono nello studio della psicologia della persona con cui si ha a che fare, tramite la costruzione di identità fittizie e ad hoc per coinvolgere e colpire l’ignaro visitatore. Ma non soltanto, vengono studiate anche situazioni dove, dopo grazie a interazioni piacevoli e di carattere amichevole, la fiducia dell’utente viene shiftata verso mete pericolose.
I sentimenti che si tendono di più a sviluppare sono quelli della fiducia, o, secondo una strategia all’incontrario, di riduzione della paura e dell’incertezza.

Sicuramente dietro a questi tentativi non si trovano psicologi pagati per questo, ma si tratta di tecniche di psicologia spicciola, che se applicate possono comunque coinvolgere le persoane meno esperte in materia. Un invito a tutti a fare attenzione.
Foto by Cavuccio1is

lunedì 2 luglio 2007

PSYCO-FLASH: GENITORI E FIGLI UNITI NEL WEB

Al Siena Design Project 2007 il Royal Institute of Technology di Londra ha presentato il progetto WeAgree.

Si tratta di un interfaccia web che permette di tenere in contatti genitori e figli, quando si trovano fisicamente distanti gli uni dagli altri. I designer hanno supposto che in tal modo il giovane mantiene i propri spazi di libertà ed esplorazione, sapendo però che le figure parentali sono sempre disponibili. Si potrebbe definire una sorta di spazio protetto dove l’adolescente sperimenta più delle sue capacità proprio perché gode dell’assistenza, virtuale certo, dell’adulto come figura di appoggio e non sostitutiva.

Non solo: l’applicazione permette anche di tenere in contatto i genitori che abitano nella medesima zona, così se mamma e papà dovessero essere occupati, possono sempre contare su di un network fidato e con le loro stesse esigenze.

Un’ interfaccia ricco di implicazioni psicologiche dunque, dallo sviluppo delle competenze infantili, alla creazione di un network sociale ibrido tra il reale e il virtuale.

Foto by Leeander

domenica 1 luglio 2007

SOMMARIO DELLA SETTIMANA

Foto by Psicocafè

La Psicologia questa settimana si è interessata di:

Emozioni: uno studio ha dimostrato come la capacità di nominare e raccontare le esperienze emotive che si vivono permetta di abbassare i livelli di attivazione dell’amigdala, con conseguenze positive e di rassicurazione per il soggetto.

Cognizione:un primo studio ha mostrato come la somministrazione di acido folico a pazienti con deficit di memoria o affetti da demenza senile migliori notevolmente le loro performance. Il farmaco può inoltre costituirsi come oggetto di prevenzione in casi che si prevedono andare incontro a carenze cognitive. Un secondo studio ha invece legato Psicologia e sport: i training psicologici vengono infatti utilizzati dai piloti di Formula Uno per ricordare meglio i percorsi di gara. La Psicologia dello sport è infatti un settore promettente del futuro della disciplina, date le numerose applicazioni e la possibilità della gestione di ansia e competizione. Infine un terzo si è occupato in generale di Intelligenza, mostrando come in famiglie con più di un figlio sia il primogenito a mostrare le doti migliori nelle capacità intellettive.

Disturbi psicologici: l’autismo è una sindrome difficile da gestire per l’impossibilità, a volte totale, di comunicare con il soggetto che si isola sempre più nel suo mondo. Uno studio mostra che la comunicazione attraverso stereotipi può essere un valido aiuto per comunicare con questi pazienti, trattandosi di una forma semplice e facile da gestire.

Neuroscienze: una rete di studiosi ed esperti di neuroscienze va a colmare l’insoddisfazione di quanti lavorano in uno degli ambiti ora più fecondi e non vendono ancora riconosciuti e formalizzati adeguatamente i propri sforzi.

Tecnologia: ci aspetta un futuro da fantascienza, le vecchie automobili verranno infatti sostituite da autovetture intelligenti in grado di correggere e facilitare le nostre manovre per garantire un livello ancora maggiore di sicurezza. Per quanto riguarda invece Internet, una nuova campagna di sensibilizzazione, promossa dal ministero, viene trasmessa in questi giorni via radio e tv. Educare i giovani ad un utilizzo corretto del web e favorire una condivisione del momento di fruizione con la figura di accadimento sono gli obiettivi dichiarati.