venerdì 30 marzo 2007

MENO CONCENTRAZIONE NEGLI OPEN SPACE


Negli open space le persone sono a stretto contatto tra loro. Rumori, chiacchiericcio di sottofondo, fax e fotocopiatrici sono continue fonti di distrazioni. Senza contare l’assenza di privacy dovuta alla mancanza di muri separatori. Un recente studio del Politecnico di Bari ha rilevato i fattori di maggiore disturbo per i lavoratori.


Avete presente gli open space? Quegli uffici ampi, luminosi e modernissimi. Non più ognuno segregato nel suo piccolo ufficio, ma tutti insieme in un unico grande spazio. Questa è la tendenza attualmente più seguita dalla grandi imprese. Una grande rivoluzione architettonica e di design, che facilita le relazioni sociali tra lavoratori. Ma gli effetti di questa tipologia di struttura non solo positivi. Infatti, la gran parte di coloro che lavorano negli open space lamentano la mancanza di privacy. Essere gomito a gomito con i propri colleghi, non consente di avere degli spazi personali, tutto ciò che si compie è pubblico e spiato.


La mancanza di privacy non è il solo effetto negativo. Recenti studi della psicologia ambientale, sottolineano come gli open space siano fonte di numerose distrazioni che certamente non facilitano la concentrazione. Continui trilli del telefono, colleghi in pausa che chiacchierano o che si avvicinano, nonché il rumore di fax e stampanti, caratterizzano questi luoghi di lavoro. In base ad un recente studio realizzato dal dipartimento di Fisica tecnica del Politecnico di Bari, che ha preso in esame 85 luoghi di lavoro, i lavoratori più coinvolti sono coloro che svolgono attività amministrative. Altre fascie colpite sono i lavoratori che si occupano di programmazione informatica e attività di ricerca.


Le fonti di distrazione sono molteplici. Colloqui e discussioni tra colleghi risultano essere gli elementi più distraenti (31%), ma anche le telefonate (27%). “Ci sono anche tutta una serie di rumori che rientrano nei nostri ambienti di ufficio che danno fastidio e producono effetti di stress e riducono l’efficienza del lavoro” dice Ettore Cirillo, docente del Politecnico di Bari e autore della ricerca. “Per difendersi dalle parole pronunciate spesso ad alta voce – prosegue Cirillo – molti arrivano ad alzare i rumori di fondo. Musica o qualsiasi altro si tratti”.


Per diminuire gli effetti delle distrazioni indotte dagli open space è però sufficiente che la scrivania sia posizionata vicino ad una finestra o un separatore di circa un metro e quaranta centimetri. Infatti secondo "The effects of window proximity, partition height, and gender on perceptions of open-plan offices”, studio che verrà trabreve publlicato sulla rivista Journal of Environmental Psychology, chi lavora vicino ad una finestra risente meno dell’effetto negative degli open space. Quest’ultimo studio, conferma chi lavora in un open space lamenta una scarsa privacy acustica e visuale ed è sottoposto ad un elevato numero di distrazione, ha ricercato gli efetti che possono alleviarne gli effetti negativi. L’associazione tra la presenza di una finestra vicina e un separatore risulta essere migliore per la salvaguardia della privacy, nonché della concentrazione.


Queste ricerche mettono in luce come sia facile sottovalutare i molteplici fattori di stress presenti in luoghi di lavoro. Infatti, oltre al fatto che gli open space diminuiscono la concentrazione e privacy, il fatto che mi sembra più rilevante è che di fatto immergono il lavoratore in un luogo altamente stressante.
foto by steve green



NUOVI STUDI SULL’AUTOLESIONISMO

Nell’ultimo numero di Clinical Psychology Review appaiono i risultati della ricerca sull’autolesionismo giovanile condotta da David Klonsky, professore di psicologia alla Stony Brook University di New York. L’autolesionismo non deriverebbe da ideazioni e tendenze suicidarie, ma sarebbe connesso alle sindromi depressive. E questo soprattutto nell’adolescenza.

La ricerca condotta da Klonsky inizia già cinque anni fa dall’interesse dello studioso per i comportamenti violenti autodiretti che in America (ma non solo) riguardano un numero sempre maggiore di adolescenti. Lo psicologo non esclude infatti una possibile influenza da parte dei media e degli idoli musicali/televisivi.

La novità della ricerca consiste nello svincolare questo tipo di comportamenti dalla volontà di suicidio, che nei giovani studiati da Klonsky non è presente, e nel legarli invece a stati depressivi e d’ansia.

Si tratterebbe di una sorta di strategia di coping attivata per far fronte e arginare i vissuti ansiogeni e deprimenti. Tale tendenza intrinseca, data dalla difficoltà di elaborazione delle difficoltà a livello inconscio, risulta poi aumentata dalla pubblicità di cui godono tali manifestazioni all’interno della cultura pubblica.

A parere dell’autrice parlare dell’autolesionismo come un’addiction che si sviluppa per imitazione e che non viene più abbandonata per una sorta di assuefazione come nel caso delle tossicodipendenze sembra eccessivo. L’influenza di esempi mediatici da sola non basta all’instaurarsi di una sindrome, non avendo di per sé effetto assoluto, così come probabilmente la predisposizione non è così preponderante.

Trattare questi disturbi in modo simile alle sindromi alimentari sembra invece avere maggiore possibilità di indagare il campo e pervenire a motivazioni esplicative reali. D’altronde è lo stesso Klonsky che proseguirà nella ricerca per rivedere in sensi nuovi e ulteriori i neonati risultati odierni.

foto by Nausica_FisherMan's

PSICO FLASH: VIOLENZA SULLE DONNE

Aumentano vertiginosamente i casi di violenza sulle donne che, lungi dal coinvolgere soltanto quelle immigrate e straniere, si diffondono sempre più nel quotidiano, entro famiglie insospettabili.
Se ne è parlato ieri sera anche all’interno del programma Annovero, grazie al reportage a firma di Maria Grazia Mazzola e Natasha Lucenti.
Stime inquietanti che fanno riflettere, sulla cultura, ma soprattutto sui meccanismi psicologici che stanno alla base di affetti distorti e episodi violenti.

foto by strabica

giovedì 29 marzo 2007

CERVELLO ATTIVO FINO A CENT'ANNI


E’ stata riconosciuta una proteina utile a mantenere attivo il cervello, presente soprattutto nei centenari. Questa proteina ha una duplice funzione, quella di bloccare l’azione del colesterolo sulla circolazione del sangue e consente di tenere il cervello attivo anche il tarda età.


I centenari hanno la probabilità tre volte superiore rispetto alla media di avere la proteina che consente di mantenere i vasi sanguigni più puliti. Questo fatto ha una diretta conseguenza sul cervello, che subisce un degrado molto più lento.
Tale proteina è prodotta dalla variante di un gene chiamata CEPT VV , e che produce, a sua volta una lipoproteina. E’ questo composto che nel sangue trasporta il colesterolo, sia HDL sia LDL, anche conosciuti come colesterolo “buono” e “cattivo”. Più è grossa, minore sono le probabilità che si agganci alle pareti cei vasi sanguigni, aumentando il rischio di ictus o infarti.


Nir Barzilai, dell’Albert Einstein College of Medicine a New York, attraverso uno studio su 158 anziani dai 95 anni in su, ha scoperto che i centenari possiedono questa proteina in quantità tre volte superiore rispetto alla restante popolazione. Questo gene CEPT VV, oltre a ridurre le probabilità di attacchi cardiaci, ha effetti benefici sul cervello. Infatti, con vasi sanguigni più aperti, il degrado delle facoltà mentali risulta essere molto più lento.


Questa scoperta costituisce un ulteriore passo avanti nella comprensione del funzionamento del sistema cerebrale. Apre inoltre la strada alla ricerca e alla sperimentazione di farmaci che svolgano lo stesso compito del gene CEPT VV.
Naturalmente, i risultati della scienza, sono più utili se supportati da esercizi mentali individuali. Infatti, la proteina CEPT VV aiuta a mantenere il cervello in forma, ma esercizi cognitivi sono il miglior modo per mantenere attivo il cervello fino a tarda età.
foto by Barbera

lunedì 26 marzo 2007

GLI OROLOGI INTERNI

foto by rabinal


Percepiamo il tempo in base a ciò che osserviamo e attraverso diversi orologi interni. E’ quanto è emerso dal recente studio pubblicato dalla rivista “Nature Neuroscience” e condotto da ricercatori delle Università di Firenze, Pisa e Milano.




La percezione del tempo da parte del cervello dipende da cosa si osserva. Gli stimoli visivi che raggiungono il nostro cervello sono cronometrati da tanti orologi interni regolati a ritmi diversi, che suddividono la realtà che ci circonda in tanti “fusi orari” . Questo ci fa percepire uno stimolo in modo dilatato o compresso in base alle nostre necessità.



La scoperta è stata fatta dai ricercatori David Burr del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Firenze, Maria Concetta Morrone dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e Arianna Tozzi dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, grazie ad un progetto sostenuto dai finanziamenti del VI Programma Quadro dell’Unione Europea (NEST, MEMORY), del National Health and Medical Research Council australiano e del Ministero dell’Università e della Ricerca italiano.



Il disegno di ricerca prevedeva che i soggetti venissero monitorati mentre guardavano linee bianche e nere che si muovevano velocemente in una piccola finestra circolare. Veniva poi visualizzata una differente immagine, sempre nella stessa finestra, di cui il soggetto doveva indicarne la durata di visualizzazione.



I soggetti in generale ritenevano che l’immagine mostrata rimanesse visualizzata per un tempo sempre più breve, come atteso dai ricercatori. Infatti il nostro cervello, dopo una prolungata esposizione, incorre nell’adattamento, diventando meno reattivo allo stimolo stesso, come, per esempio, avviene in un ambiente con elevata illuminazione.
Non era atteso invece che tale meccanismo si attivasse anche nei confronti del tempo e che fosse legata alla posizione nello schermo. Infatti, se l’immagine veniva proiettata in altre parti del campo visivo il soggetto aveva una percezione del tempo maggiormente corretta.



Il nostro cervello non è dunque governato da un unico orologio centrale, ma da tanti orologi interni, alcuni più lenti e altri più veloci, che ci fanno percepire in modo variabile lo scorrere del tempo.

NEUROBIOLOGIA DELL'AMORE

foto by dutchy


L’attrazione e l’amore che due individui percepiscono quando si vedono è anche questione di chimica; in realtà il ruolo delle componenti fisiologiche è ancora maggiore. Secondo le ricerche condotte da D. Marazziti e colleghi presso l’Università di Pisa, l’amore sarebbe mediato da numerosi regolatori neurobiologici, trasformandosi a sua volta in uno di essi.

Le esperienze affettive che viviamo hanno un grande ruolo nella definizione del nostro benessere. In particolare i circuiti maggiormente coinvolti sono quelli di serotonina, con livelli inferiori, e di dopamina, con tassi invece superiori. Questi due neurotrasmettitori sarebbero rispettivamente responsabili di umore altalenante e euforia che si percepiscono durante l’innamoramento.

Tali effetti vengono poi ulteriormente mediati da altre componenti, che modificano la loro presenza col passare del tempo e lo stabilizzarsi della situazione: quando cioè provo meno stress e timore di abbandono e vengono pertanto prodotte endorfine in maggiore quantità. Se inoltre la relazione si svolge anche sul piano sessuale e non soltanto su quello dell’affetto “platonico” aumentano anche le concentrazioni di vasopressina e ossitocina.

L’insieme di queste sostanze crea un circolo di attivazione-funzionamento che diviene in toto responsabile del benessere dell’individuo e può venire indicato appunto come “neurotrasmettitore amore”.

SOMMARIO DELLA SETTIMANA

questa settimana ci siamo occupate di:

comunicazione: fondamentale nella nostra vita quotidiana, è in continuo mutamento anche a causa dell'introduzione di nuove tecnologie. Ma comunicare in modo efficace non è sempre facile, ed errori di comunicazione, possono causare danni ben più gravi come può avvenire in campo medico.

nuove tecnologie a servizio di disturbi psicologici: "Hello Wordl" è una tecnologia tutta italiana che consente di monitorare l'ansia.

ictus: un nuovo studio che si basa sulla teoria dell'architettura modulare del cervello ha evidenziato che l'ictus danneggia le connessioni cerebrali

foto by ubernostrum

giovedì 22 marzo 2007

L'ICTUS DANNEGGIA LE CONNESSIONI CEREBRALI


La rivista Neuron ha pubblicato uno studio sui danni provocati dall’ictus condotto dalla Washington University di St. Louis. Secondo la teoria dell’architettura modulare del cervello le lesioni di un’area possono andare a colpire le funzionalità di un’altra, così come in alcuni casi a sopperirle. La ricerca recente ne è un’ulteriore conferma, relativamente all’ictus.



Lo studio è stato condotto sottoponendo 11 pazienti colpiti da ictus ad un test visivo. Tali soggetti soffrono di "negligenza spaziale unilaterale", dovuta a lesioni dell’emisfero destro che inibiscono l’attenzione di uno dei due emisferi del campo visivo.
Il compito, monitorato tramite risonanza magnetica funzionale, consisteva nell’indicare la presenza di un simbolo nel campo visivo destro o sinistro, e veniva ripetuto una settimana dopo l’ictus e a distanza di 6 mesi.



Tramite il confronto con le rilevazioni sul gruppo di controllo si è visto che i sintomi sono direttamente proporzionali alla compromissione dei collegamenti neurali e non tanto al danneggiamento dei neuroni stessi. Infatti spesso erano le aree associate ( relative all’attenzione) e la sospensione dei collegamenti con esse le cause della negligenza e non le lesioni dirette.



Oltre a consentire diagnosi più precise, studi del genere possono venire applicati alla cura di altri disturbi cerebrali e aprire il campo delle malattie ad insorgenza “ignota”.

"HELLO WORLD": TENERE SOTTO CONTROLLO L'ANSIA


Una tecnologia che aiuta i medici a tenere sotto controllo l’ansia dei propri pazienti. E’ il risultato del geniale progetto di quattro studenti del Politecnico di Torino che gli ha permesso di vincere il concorso internazionale Immagine Cup.


Quattro giovani studenti del Politecnico di Torino, Massimo Paternoster, Silvia Perrone, Giorgio Sardo e Andrea Sossich hanno progettato “Hello World”, posizionandosi primi al concorso “Immagine Cup” indetto ogni anno dalla Microsoft.
“Hello World” è costituito da un orologio da polso (Dream Watch) che rileva alcuni paramentri utili a rilevare l’attivazione dello stato di ansia come la frequenza cardiaca e la temperatura della pelle, un telefonino in grado di memorizzare immagini e suoni, un Gps che registra dove si è verificata e un software che elabora e visualizza tutte queste informazioni. Il risultato è una sorta di diario multimediale della giornata che permette al dottore di analizzare tutti gli indici predittivi dell’ansia.


Si tratta di una nuova metodologia diagnostica che permette di analizzare patologie legate all’ansia e ai disturbi alimentari. Il vantaggio maggiore consite nel fatto che consentirebbe ai pazienti di avere continui feedback del loro stato e quindi di riuscire a riconoscere situazioni, luoghi e persone che scatenano lo stato d’ansia.
I giovani quattro “inventori” del Politecnico di Torino con “Hello World” sono riusciti a sbaragliare la concorrenza di altri 65 mila studenti, e ora ricercano nuovi finanziamenti per proseguire la ricerca.

lunedì 19 marzo 2007

MALASANITA’ O DISCOMUNICAZIONE?

Proprio in questi giorni si è assistito ad una serie di notizie in cui interventi “semplici” e malattie comuni hanno portato a danni irreversibili e morte dei pazienti. Come mai accadono questi errori? Il New York Times ha pubblicato uno studio condotto dalla United States Pharmacopeia (USP) e dalla Uniformed Services University of the Health Science a Brethsda sulle cause degli errori di medici e personale ospedaliero. È emerso che nella maggior parte dei casi gli sbagli non derivano da incompetenze del personale, ma da mancate comunicazioni.

La maggior parte dei danni si hanno per errori nella somministrazione dei farmaci (eccesso, difetto o inattenzione ad allergie dichiarate), e comunque nella fasi pre/post-operatorie.
A livello di organizzazione i rimedi possono essere molteplici, dalla supervisione da parte di un farmacista, alla creazione di gruppi di controllo; ma a livello psicologico i problemi si moltiplicano.

Non si tratta infatti di incompetenza degli operatori, ma del flusso di comunicazione tra di essi. Sembra impossibile che in un ambiente ristretto non ci sia scambio diinformazioni, ma , come sottolinea anche Diane Cousins della USP: “Anche se disposti lungo uno stesso corridoio i vari reparti possono essere notevolmente disconnessi tra loro”.

Infatti la ricerca svela che gli errori sono dovuti alla mancanza di trasmissione delle informazioni relative al paziente da un reparto all’altro, o da uno specialista all’altro. Ciò provoca ridondanze o mancanze che risultano fatali.

Il rimedio consiste nel trovare mezzi per “mettere in rete” gli operatori, in una trama che li tenga connessi seppure in luoghi diversi e che faccia sì che ogni modifica apportata dall’uno sia sempre visibile in tempo reale dall’altro. Queste caratteristiche sono peculiari dei sistemi informatizzati, se fosse possibile svilupparne uno interno ai nosocomi probabilmente aumenterebbero le connessioni. Se invece l’onere delle modifica del sistema è un prezzo troppo alto per vantaggi non certi, allora pratiche dialogiche e incontri d’equipè devono essere sempre in primo piano.

Foto by Ernesto de

COME LA TECNOLOGIA CAMBIA LA COMUNICAZIONE

La IAA International Advertising Association ha condotto una ricerca sul legame tra tecnologie e strategie di comunicazione pubblicitaria. Oltre ad evidenziare quali siano strumenti e figure professionali ora di spicco, l’indagine mostra che le nuove tecnologie stanno cambiando il modo di comunicare delle persone ed insieme il loro rapporto con l’advertising.

Il mezzo ritenuto più innovativo è sicuramente Internet, con l’85% di accordo, mentre le nuove vie della comunicazione come cellulari televisioni on-line restano maggiormente ignote (62%), pur con una percentuale tale da scalzare quella della televisione, al di sotto del 50%.
Ecco trovato uno dei motivi che spingono le aziende a investire nelle pubblicità attraverso canali indiretti e digitali, piuttosto che sui media tradizionali. È proprio la figura del media planner, capace di gestire costi e presenza sulla totalità dei media disponibili ad essere la più richiesta, assieme a graphic designer e copywriter.

I pareri sono diversi: c’è chi sostiene che i nuovissimi mezzi di comunicazione si affiancheranno a quelli esistenti, offrendo contenuti di nicchia e settorializzati a fianco dell’informazione di base; chi invece li vede come la futura ed esclusiva forma d’informazione. Tra gli esperti pubblicitari prevale la seconda, dato anche lo spostamento di risorse maggiori in questo campo, rispetto al calo in quello tradizionale.

Al di là della logica economica degli investimenti è interessante notare come il ruolo di comunicazione di Internet sia avanzato, come sottolinea D’Aragona, Industry Head Retail & Local di Google Italia: "L'incremento costante nell'utilizzo di Internet, unito alle grandi potenzialità che caratterizzano questo mezzo, sta rivoluzionando il tradizionale modo di concepire il processo comunicativo. Prende quindi forma un nuovo paradigma della comunicazione, che da monologo diventa dialogo ed interazione costante con gli utenti, i quali non sono più soggetti passivi del processo comunicativo ma ne fanno parte a tutti gli effetti. La bidirezionalità dell'informazione viene guidata dai driver di cambiamento offerti da Internet: interazione, flessibilità, misurabilità ed immediatezza”.

Il futuro non soltanto della pubblicità, ma anche delle comunicazioni informative e di relazione sta nel web e nelle sue evoluzioni: cellulari, mondi virtuali e televisioni on-line.
Foto by gargattina

domenica 18 marzo 2007

SOMMARIO DELLA SETTIMANA

foto by inari.it

La salute è uno degli argomenti maggiormente inflazionati, anche nel quotidiano, ma molto spesso si sottovalutano i rischi connessi alle nostre piccole fobie. Accanto all’effetto placebo infatti, esiste il corrispettivo nocebo che predice una maggiore sensibilità e predisposizione alle malattie ad esempio se leggiamo con ansia gli effetti collaterali dei farmaci.

La salute mentale poi sta diventando appannaggio dei più, anche grazie all’implementazione di test “autosomministrati” tramite interfacce digitali di entertainment. Sia gli scienziati che la grande industria si muovono in questa direzione.

Con l’apertura del CEBIT in Germania, sono state numerose le notizie riguardanti le nuove tecnologie che teniamo ad indagare sempre nei loro risvolti psicologici.
A questo proposito un’iniziativa di rilevo è la creazione di un motore di ricerca collaborativo, sul modello di Wikipedia. I vantaggi della comunicazione e del lavoro tra pari possono così venire incrementati esponenzialmente grazie all’impiego di strumenti comunicativi on-line.

Il mondo dei cellulari, analogamente, ha visto allargarsi le sue possibilità e proprio perché queste possano essere fruite indipendentemente dalle barriere territoriali è stato al centro degli incontri tra i Paesi europei riguardo alle spese di roaming.

Una ricerca psicologica invece svela che certi colori possono modificare la nostra capacità di cognizione: lo studio mostra come il colore rosso, per la sua connotazione di segnali di divieto e paura, possa inibire lo svolgimento di compiti mentali.

Infine il tema della maternità è l’argomento di un recente libro sulla sindrome post-partum e delle possibilità concrete di farvi fronte. Grazie a un aiuto capillare e ad un rapido intervento possono venire scongiurati gli effetti più dannosi di questa sindrome assai diffusa.

sabato 17 marzo 2007

COLLABORARE PER IL PRIMO MOTORE DI RICERCA WIKI

Wikipedia è largamente conosciuta come l’enciclopedia free ricca e affidabile, ma il suo creatore, Jimmy Wales, ha deciso di ampliarne le potenzialità. Entro l’anno corrente mira alla realizzazione di un motore di ricerca dal nome “Wiki” che offra servizi informativi, ma anche commerciali.
La novità è che verrà realizzato grazie alla collaborazione non soltanto di esperti, ma di appassionati del web e cultori delle differenti aree, tramite una logica collaborativa.

Le nuove tecnologie informatiche stanno dimostrando che la loro forza risiede più nella dimensione relazionale, che in quella strumentale. Wales ha deciso di sfruttare questa tendenza dei navigatori a comunicare tra loro e a esprimere le proprie idee e interessi in vista di un progetto ambizioso: creare un motore più ampio dell’originale Wikipedia che contiene ad oggi un milione e 700mila voci.

La logica prevede il coinvolgimento di esperti, scientifici o per passione, e la creazione di directory di siti specializzati, non da ultimi i blog di settore per creare una rete ampia ma precisa. La collaborazione avverrà inoltre ad un livello il più possibile orizzontale: si è infatti visto che sono gli utenti e i loro suggerimenti a fare il successo di colossi come Google.
Ecco come il lavoro tra pari riceve una spinta dall’applicazione delle nuove tecnologie e si trasforma in comunitariamente prima, e socialmente dopo, utile.
foto by karimblog

CELLULARI NEL MONDO

Il cellulare è ormai dichiarato uno strumento lavorativo al pari del pc e ultimamente occupa i riflettori del paese. A Bruxelles i Paesi europei hanno discusso delle nuove norme per il roaming internazionale. Al di là degli interessi delle aziende e dei consumatori, si tratta di una questione che illumina sulla psicologia dei nuovi media e sull’importanza di questi ultimi nella vita quotidiana.

Il Commissario UE Viviane Reding ha sottolineato che i gestori di telefonia applicano ad oggi tariffe molto alte che, se non regolamentate autonomamente nei prossimi mesi, verranno calmierate dalla Commissione Europea con tagli anche del 60-70%.

La crescente preoccupazione per i costi è dovuta anche al nuovo ruolo assunto dalla telefonia. Grazie alla loro digitalizzazione e all’introduzione di standard di trasmissione dati con velocità elevate (UMTS e I-mode), il telefonino si è emancipato assumendo le connotazioni del pc, unite alla audio-video trasmissione.

Se la rete di Internet è per definizione globale, anche le barriere nazionali telefoniche devono essere rimosse, in modo da consentire la comunicabilità in ogni luogo, così come la possibilità di agire tramite SMS, mail e scambi/acquisizioni di file. Ecco perché i nuovi protocolli riguarderanno non solo il traffico voce ma anche quello dati.
Vodafone ha già inaugurato un servizio, attivo da luglio, che permette una connessione a consumo, indipendentemente dal paese di locazione, con una tariffa quindi flat. Più paragone di così.

Inoltre la possibilità di un accesso globale si sta sviluppando anche a livello di connessioni wireless, per dispositivi come computer, smartphones, notebook.., in modo da avere standard di trasmissione e riconoscimento analoghi nelle differenti parti del mondo. È quanto stanno tentando di sviluppare alcunitecnici coreani tramite il Portable Internet Service (tecnologia WiBro).
Anche l’Europa ne parla: nell’incontro scorso a Bruxelles si è infatti discusso di una omologazione dei sistemi di trasmissione e codifica tra dispositivi differenti, dal computer al telefonino, dalla televisione al web.
Foto by annicucchi

giovedì 15 marzo 2007

PSICO FLASH: APRE LA FIERA DI NUOVE TECNOLOGIE E HI-TECH

Il CEBIT è una fiera conosciuta a livello mondiale per la presentazione di nuove innovazioni che riguardano il campo della tecnologia e dell’Ict. Si è tenuta oggi ad Hannover, in Germania, la conferenza di inaugurazione da parte del vice presidente Sven Pruser, ma la durata dell’evento si estenderà fino al 21 marzo.

Vai al sito informativo

Foto by nonsolosoft

RICONOSCERE PER TEMPO LA SINDROME POST-PARTUM

Riconoscere la sindrome post-partum e distinguerla dalle forme più lievi e fisiologiche come la cosiddetta “Maternity Blues” è un compito delicato, ma molto importante. Di questa patologia soffre il 30% delle partorienti, che oltre a recare danni a se stesse, possono alterare il normale sviluppo del bambino. Un libro fa luce su sintomi e prevenzione.

La Maternity Blues è uno stato emotivo transitorio, caratterizzato da alterazioni dell’umore e melanconia dovuti ai cambiamenti ormonali. Tuttavia tale disposizione può proseguire oltre il decimo giorno e diventare una vera e propria depressione post-partum.
I criteri diagnostici comprendono, oltre ai sentimenti di distima e umore depresso, anche un percepito abbassamento delle proprie capacità che aumenta il livello di stress fino ad uno stato di disperazione. Non è coinvolta soltanto la propria immagine, come persona e come madre, ma anche il bambino viene investito di sentimentiche percepisce come ostili o di freddezza. La madre infatti lo vive come “oggetto” ansiogeno o comunque come territorio sconosciuto e ingestibile, creandosi ossessioni sulla sua salute e la possibilità di danneggiarlo in modo irreversibile.

Le soluzioni sono numerose e vanno dal consulto psicologico individuale alla terapia di gruppo, passando per gli interventi di home-visiting, validi per i casi minori e come sostegno in quelli più gravi. Confrontarsi con altri, esperti o con esperienze simili alle nostre, restituisce fiducia e la convinzione di poter contare su di una rete sociale stabile e competente.

Per saperne di più:
M. Ammaniti, S. Cimino, C. Trentini, Quando le madri non sono felici, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2007

Foto by Musa

martedì 13 marzo 2007

EFFETTO NOCEBO

immagine by carso


La paura di stare male può portare a provare veramente dolore. Gli effetti collaterali descritti sulle confeszioni dei farmaci possono influenzare a tal punto che alcune persone arrivano a mostrare i sintomi elencati. Questo è l’effetto nocebo, molto indagato recentemente dagli scienziati.


La forza dell’effetto placebo è da tempo conosciuta, ma da poco si è iniziato ad indagare la forza del suo corrispettivo “negativo”. Pensare ad una malattia, pensare che ci possa colpire, sembra facilitare l’insorgenza della stessa.
L’effetto nocebo, dal latino nocere (nuocere) è particolarmente dannoso per la nostra salute. Basta semplicemente leggere gli effetti collaterali descritti sulle confezioni dei farmaci, per provocare i sintomi descritti. Il professor Arthur J. Barsky, direttore del centro di ricerche psicosomatiche Brigham and Women’s Hospital a Boston, ha condotto uno studio dimostrando che pazienti che si aspettano la comparsa di effetti collaterali abbiano molte più possibilità di manifestarne gli effetti.


Arthur Barsky ha infatti rilevato che persone che erano informate sui possibili problemi gastrointestinali dovuti all’assunzione di aspirina hanno manifestato questi sintomi, in una quantità di casi significativamente superiore a chi non ne era a conoscenza. In un ulteriore studio ha rilevato che tra le persone che dichiarano di essere allergiche alla penicillina, solo il 10% era realmente allergico.


Le persone che risultano essere le vittime favorite dell’effetto nocebo, spesso soffrono d’ansia e di depressione. Non risultano invece esserci diferenze significative di genere. Nei molteplici studi al riguardo, iniziati dal 1992, non c’è alcuna prova scientificamente valida che si presenti maggiormente in uomini o donne o in categorie specifiche di persone. E’ stato invece verificato la forte influenza sociale e culturale, poiché l’effetto nocebo è sostanzialmente la proiezione delle nostre aspettative.


Personalmente ritengo che i risultati ottenuti sull’effetto nocebo dovrebbero essere maggiormente divulgati. Spesso infatti c’è un uso sconsiderato dei farmaci, dovuto alla paura del dolore. Le suggestioni hanno un peso rilevante sulla nostra salute ma sono ancora troppo spesso sottovalutate.

lunedì 12 marzo 2007

VIDEOGIOCHI COME TEST PSICOLOGICI

Il nuovo mercato dei videogiochi si muove in direzione della psicologia: le nuove consolle infatti si ispirano a test di intelligenza e di salute mentale e psicofisica. Tramite interazioni mirate, verbali o in 3D il giocatore viene guidato nella conoscenza di se stesso e delle proprie abitudini di vita. Ne sono esempi Nintendo DS e il gioco “Mind Habit Booster”.

La Nintendo ha commercializzato da poco il videogioco Brain Age, che fornisce una stima delle proprie capacità mentali tramite giochi di logica e calcoli matematici. Il nuovo obiettivo della casa è però “DS Therapy” (sul mercato in Giappone da maggio), che permetterà di valutare la propria salute mentale ed emotiva con domande molto simili ai test psicoattitudinali.

L’uso dei videogiochi come strumento di indagine e di riabilitazione però, oltre che da equipe composite come quella della casa di videogiochi, è un’ipotesi presente anche all’interno della ricerca psicologica in senso stretto.
M. Baldwin ha creato infatti il gioco Mind Habit Booster, basandosi sulle acquisizioni della psicologia sociale al fine di migliorare l’autostima del giocatore.
L’immagine che abbiamo di noi stessi dipende dalle interazioni quotidiane con l’ambiente e gli altri, ed è specialmente influenzata dalle interazioni ripetute (chiamate script nella psicologia cognitiva): per questo agire in un videogioco, la cui caratteristica è appunto quella della ripetitività delle situazioni modifica la valutazione di noi stessi. Ovviamente gli stimoli forniti devono essere adeguati e adatti a creare stati positivi.

Si possono fare due considerazioni. In senso negativo la manipolazione eccessivamente positiva potrebbe ingenerare complessi di inferiorità nel momento in cui nel mondo “reale” non si riescano a riscontrare le medesime sensazioni positive, con una sindrome di dipendenza simile alla Internet addiction.

In un senso più ottimistico invece la creazione di interfacce maggiormente piacevoli rispetto ai test paper and pencil e maggiormente interattive nei confronti dell’utente potrebbe facilitare la somministrazione dei classici test diagnostici ad un pubblico più giovane, così come dissimulare meglio lo scopo delle domande anche per il pubblico adulto. Si otterrebbe così un minor numero di risposte attese e una maggiore spontaneità di risposta.

Foto by Fintan

L’INFLUENZA DEL COLORE ROSSO

Sembrerebbe che il colore rosso provochi specifiche reazioni nei soggetti esposti a tale cromia, anche se non si sa ancora se si tratti di un “imprinting culturale” o faccia parte della disposizione percettiva dell’essere umano. Spunti interessanti sono forniti dalla ricerca condotta da A. J. Elliot.

L’esperimento consisteva nell’esporre i partecipanti ad una luce rossa per una frazione infinitesimale di secondo, in modo da non poter essere colta consciamente ma comunque venendo percepita dai recettori sensoriali. Il gruppo di controllo non riceveva invece questo trattamento.
Entrambi compilavano poi dei test cognitivi per la rilevazione del livello intellettivo.
Il primo gruppo presentava risultati significativamente inferiori, con un livello minore di competenza e la preferenza per compiti più semplici quando era possibile evitare i più gravosi.

L’ipotesi sottostante è che sin da piccoli si tenda ad associare il colore rosso con situazioni di pericolo e di errore, come ad esempio i semafori o le correzioni, appunto con penna rossa, delle insegnanti. Tali conoscenze pregresse e interiorizzate porterebbero pertanto ad associare il colore rosso con situazioni negative, stressanti e in cui è necessario restare inattivi piuttosto che agire.

La “motivazione di evitamento”, come viene definita dall’autore, si attiva però in automatico, non soltanto per i contesti in cui risulta adattiva, ma anche nel caso di compiti cognitivi o durante attività lavorative, influenzandole negativamente.

Gli esempi contrari sono numerosi in realtà, e serve chiedersi se sia necessario avvalersi delle conoscenze della cromoterapia, per aggiungervi una veste di scientificità, o se non si tratti invece di preferenze personali. In sintesi: il colore ha un valore di per sé o dipende da altro? E nel secondo caso, si tratta di variabili culturali o di dimensioni intrinseche alla struttura della luce o a quella percettiva umana?

Vedi articolo originale

Foto by faustroll

domenica 11 marzo 2007

SOMMARIO DELLA SETTIMANA

foto by galabgal

In questa settimana abbiamo parlato di patologie diffuse, ma ancora per buona parte sconosciute.
I disturbi alimentari, come la bulimia, hanno visto un aumento esponenziale negli ultimi anni, soprattutto tra i giovanissimi. Al di là delle cause strettamente psicologiche però, la diagnosi comporta di volta in volta attenzione a tutti gli elementi in gioco, così come dimostra una recente ricerca. Tra le possibili cause genetiche ci sarebbe un eccesso di testosterone che spinge a maggiare maggiormente e in modo compulsivo, un fattore da diagnosticarsi quanto prima.

Il gioco d’azzardo invece, seppur presente dalla notte dei tempi, miete ora numerosi casi, tra cui le donne e occupa purtroppo ancora un posto di rilievo nella cronaca quotidiana. Una motivazione in più a prevenire e sradicare definitivamente la spicciola definizione di “vizio”.

In campo relazionale e cognitivo invece arrivano due ricerche per così dire “controcorrente”.
I ritmi circadiani hanno spinto gli psicologi a categorizzare i soggetti in due categorie, denominate gufi e allodole in base ai ritmi di sonno-veglia e alle fasi di attività-rilassamento durante l’arco della giornata. Ancora però non si sapeva che i gufi sarebbero dotati, in base a queste loro preferenze di ritmi, di una maggiore creatività.

Anche l’idea che la conoscenza approfondita permetta di superare i bias della comunicazione per arrivare ad un’intesa più efficace sembra vacillare. Infatti chi si conosce bene rischia di dimenticare alcune delle regole che garantiscono la corretta comunicazione e di creare discomunicazioni ed errori di attribuzione. Lo dimostra una ricerca recente.

Al di là di conferme e smentite, la psicologia e la sua storia sono fatte di continue ricerche e approfondimenti, e il giudizio finale deve arrivare soltanto dopo analisi approfondite dei fenomeni. La strada deve però essere aperta sempre da ricerche sporadiche e a volte opposte alla visione predominante fino a quel momento. Solo così nascono le innovazioni.


Ecco allora che non vanno ignorati i contribuiti delle altre discipline, in prticolare dell'ambito artistico che già tanto affascinava Freud e che in seguito è diventato persiano una branca della psicologia stessa. in particolare si è visto come la musica può interagire con i circuiti neurali, fino a modificarli.

mercoledì 7 marzo 2007

LE NEUROSCIENZE CONFERMANO L’EFFICACIA DELLA MUSICOTERAPIA

Che la musica migliorasse le capacità dell’uomo e il suo benessere si sapeva già dal 1993, anno in cui G. Shaw e F. Rauscher introdussero l’effetto Mozart. Da allora continue conferme e smentite si sono avvicendate, ma con l’ultimo numero di Brain, interamente dedicato all’argomento, iniziano ad esserci conferme anche anatomiche.

Oliver Sacks parla di “Neuromusic”, per sottolineare la stretta connessione tra aree cerebrali e ascolto musicale, passibili di miglioramenti della comprensione e di effetti riabilitativi.
Tramite il neuroimaging infatti è possibile vedere come l’ascolto attivi aree cerebrali diverse, anche se non c’è ancora chiarezza sui circuiti neurali sensibili al suono.

Anche l’ultimo numero del Journal of Neurology propone conferme al merito, tramite uno studio in cui la riabilitazione di soggetti affetti da paresi avveniva in modo migliore per pazienti trattati anche con musicoterapica rispetto ad altri seguiti con la cura di base. La possibilità di esercitarsi con una pianola o una batteria migliorava sia la velocità sia la finezza dei movimenti.

Incontri e studi sul tema aumentano di giorno in giorno, ad esempio a Lipsia si è tenuto il convegno "The Neurosciences and Music". Questi segnali dimostrano che l’interesse sta crescendo e in modo proficuo. Finora si è guardato alle discipline artistiche con sospetto e talvolta rifiuto, ma se queste possono fornire validi aiuti per la cura e si dimostrano scientificamente testate, sebbene per ora soltanto in parte, la ricerca può e deve occuparsene.

Foto by Novatillo

"GUFI" E CREATIVITA'

foto by sussurro

Essere abituati ad andare a letto tardi stimola la creatività. E' quanto emerge dalla ricerca di M. Giampietro e G.M. Cavallera, dove sono state messe a confronto le performance creative di "gufi" e "allodole".


Addormentarsi e svegliarsi tardi, nonostante il fatto che sia da molti considerata una cattiva abitudine, incide positivamente sulla capacità di elaborazione creativa. Secondo una recente ricerca, pubblicata sul numero di febbraio di Personality and Individual Differences, essere "gufi" o "allodole" non è esclusivamente questione di abitudini. I "gufi" sarebbero infatti predisposti ad utilizzare un pensiero di tipo divergente, capace di partire dagli elementi dati per rielaborarli in una configurazione alternativa.


La ricerca è stata condotta da Marina Giampietro e G.M. Cavallera, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, coinvolgendo 120 soggetti. Il campione, pareggiato per età e genere, è stato suddiviso in base al gruppo d'appartenenza: gufi, allodole o intermedi. Sono stati sottoposti a tre test differenti, che richiedevano l'uso del pensiero divergente. I dati raccolti mostrano che i nottambuli raggiungono risultati migliori per quanto riguarda originalità, elaborazione, fluidità e flessibilità.


Gli sperimentatori spiegano questa sorprendente correlazione come una forma di adattamento ad una vita vissuta fuori dalla norme. Sembrerebbe, infatti, che la sregolazione del ritmo sonno-veglia, porti a sperimentare l'"anormalità abitudinaria", che rende incline a sviluppare uno spirito non convenzionale e abilità nel trovare soluzioni alternative.

Molti poeti e artisti trovano fonti di ispirazione durante le ore notturne, e sembra che anche Einstein abbia raggiunto le sue eccezionali scoperte alla luce delle stelle.

La ricerca è interessante perchè mostra come abitudini innocue e consolidate nel tempo abbiano un diretto effetto sulle nostre modalità di pensiero, anche se la creatività è una caratteristica che tutte le persone posseggono anche se èiù o meno inclini ad utilizzarla!

PSICO_FLASH: IL GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO

Oggi a Rimini è stato arrestato un uomo di mezza età per il quale le puntate al lotto, erano diventate una vera dipendenza, tale da spingerlo a compiere rapine per ottenere somme da investire nel gioco. Il GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) è un fenomeno largamente diffuso, ma di cui si parla troppo poco, etichettandolo conme vizio e non come dipendenza curabile psicologicamente.

Le abitudini di gioco in questi ultimi anni sembrano essere molto mutate e il gioco d’azzardo è diventato un fenomeno del quotidiano molto più di quanto si creda.
Gli italiani scommettono in misura maggiore grazie alla liberalizzazione e alla diffusione di forme di gioco alternative; le fasce coinvolte sono sempre di più, soprattutto si rileva un notevole incremento tra gli adolescenti e tra le donne.

Si parla di gioco d’azzardo nel caso di scommesse di denaro o di altri beni sull’esito di un futuro evento, le cui quote vengono pagate in contanti con un saldo che varia dalle poche ore a settimane, in base alla tipologia del gioco. Il GAP presenta le caratteristiche tipiche della dipendenza, cioè la tolleranza, intesa come sempre maggiore necessità di giocare per raggiungere un medesimo livello di eccitazione; l’astinenza, ossia delle reazioni psicofisiche negative all’interruzione volontaria o meno del comportamento (nervosismo, ansia, crisi di panico); e la perdita di controllo, altresì l’incapacità di smettere.


L’Italia ha per lungo tempo ignorato il fenomeno, catalogandolo alla stregua di vizio, senza occuparsi delle gravi ricadute sul singolo, sulla sua famiglia e sulle spese sociali che lo Stato deve sostenere a seguito di un opera di recupero tardiva o di costi giudiziari-penali.
La diffusione di episodi come quello odierno deve invece spingere a fare qualcosa di concreto in tempi brevi.

Foto by greenshot00

martedì 6 marzo 2007

PERCHE' SI MANGIA TROPPO


La bulimia potrebbe essere causata dalla presenza di testosterone. E' quanto emerge dalla ricerca di Sabine Naessén, che ha osservato la presenza dell'ormone maschile in ragazze bulimiche.
Una recente ricerca ha messo in evidenza una correlazione tra bulimia e un eccesso di testosterone. La ricercatrice svedese Sabine Naessén, presso l'isituto Karolinska, ha rilevato come le abbuffate caratteristiche della bulimia sono dovute in alcuni casi ad uno squilibrio degli ormoni femminili. La bulimia, ossia il disturbo alimentare che porta a mangiare compulsivamente, non sarebbe determinata esclusivamente da una componente psicologica, ma potrebbe avere importanza anche quella genetica. Alla base potrebbe, dunque, esserci una disregolazione nella produzione ormonale, con un eccesso di testosterone maschile, l'ormone sessuale maschile.


La ricerca ha coinvolto 12 ragazze bulimiche, somministrandogli contraccettvi orali a base di estrogeni. La finalità era proprio quella di sopperire alla carenza di ormoni femminili (estrogeni). La ricercatrice ha osservato effetti positivi nel giro di tre mesi.
Alla luce dei risultati, la Naessén ipotizza un trattamento farmacologico associato alle terapie cognitivo-comportamentale, solitamente usate per curare questo disturbo.


La bulimia è un disturbo alimentare spesso difficile da scoprire, perchè si maschera molto bene. Chi è affetto da questo disturbo, infatti, non si priva del cibo come le ragazze anoressiche, ma mangia normalmente. Inoltre aggiunge ai pranzi regolari abbuffate notturne o consumate in solitudine, che compensano con lassativi, vomito autoindotto o una compulsiva attività fisica. Questa ricerca offre un supporto ai trattamenti psicologici solitamente utilizzati per curare la bulimia. Tuttavia, sebbene possano offrire un supporto, la semplice somministrazione di farmaci non può essere risolutiva, in quanto la bulimia deriva essenzialmente da un rapporto compulsivo con il cibo e da una distorta percezione dell'immagine corporea.
foto by brightmedusa

CONOSCERSI BENE AUMENTA IL RISCHIO DELLA DISCOMUNICAZIONE

Una ricerca condotta dall’Università di Chicago e pubblicata su Cognitive Science si muove controcorrente rispetto alle assunzioni sulla comunicazione. Invece di migliorare la competenza cognitiva diminuisce quando ci si trova di fronte a partner ben conosciuti, che non abbiamo necessità di analizzare nel profondo dato che ci fidiamo. Alcuni importanti segnali verrebbero così bypassati, portando a conclusioni erronee e esiti differenti da quelli attesi.

In breve, se conosciamo bene una persona, tendiamo ad attribuirle un numero maggiore di conoscenze condivise con noi e tendiamo a comunicare utilizzando frasi più brevi e ambigue. Tale processo è particolarmente evidente quando si vogliono comunicare informazioni nuove, di cui il ricevente non è a conoscenza.

L’esperimento condotto da B. Keysar e colleghi prevedeva di assegnare ai soggetti un numero ineguale di informazioni su di una serie di figure, contraddistinte da un nome e da un numero. Si è potuto osservare che il maggiore scambio di informazioni a livello quantitativo avveniva tra partner che già si conoscevano, ma che era necessario un doppio numero di chiarimenti tra loro rispetto a coppie di “sconosciuti”. Non solo, per descrivere una figura all’altro che non la conosceva, veniva usato più spesso il nome della forma, dando per scontato che l’interlocutore la conoscesse.

Questi risultati vanno contro le precedenti teoriche affermano come la comunicazione migliori in quantità e qualità proprio all’aumentare della conoscenza reciproca. Se da un lato la familiarità porta a messaggi più stringati, dall’altro i partner dovrebbero avere dalla loro una maggiore capacità di decodifica, essendo abituati a decifrare i segnali, ormai familiari, dell’altro. Resta da vedere se tra queste due facce della medesima medaglia, una possa prevalere sull’altra.
foto by LaCommendaTrecento's

lunedì 5 marzo 2007

Technorati Profile

SOMMARIO DELLA SETTIMANA

foto by confusedvision

La scorsa settimana abbiamo trattato di temi importanti sotto diversi aspetti:

  • i media, più o meno nuovi, continuano a far discutere la comunità scientifica sui loro effetti, presunti o reali, sul pubblico di riferimento. È il caso della televisione, medium sui quali si sono svolte numerose analisi e che ancora una volta si dimostra fonte di patologie e dipendenze se usato nel modo scorretto. Ma è anche il caso della nuova rivoluzione digitale, dettata dal passaggio della televisione dall’analogico al digitale, con tutti i problemi di usabilità e digital divide che tale shift comporta.
  • La neurobiologia però, oltre alle recenti applicazioni della cyberpsicologia, continua le sue ricerche su analogie e differenze tra cervello umano e animale, con tutte le conseguenze e le abilità cognitive che tal diversità comportano.
  • Sempre le abilità cognitive sono al centro di una curiosa ricerca condotta da M. Plance sulle capacità “meta” dell’uomo nella lettura anticipata delle intenzioni delle persone con cui ha a che fare.
  • Uno sguardo va rivolto, oltre che alla dimensione interazionale, a quella più strettamente sociale dell’uomo: l’ambiente di lavoro influisce sul benessere e la resa delle persone ma può essere inficiato da fenomeni come il mobbing.
  • Infine marcia indietro sulla diagnosi della depressione: il male del secolo non viene del tutto per nuocere, ma può venire letto come strategia adattiva volta alla ricerca di attenzione da parte di altri, e con sorprendenti esiti positivi.

venerdì 2 marzo 2007

DIGITALIZZAZIONE E DIGITAL DIVIDE

Del fenomeno del digital divide, dell’importanza della sua riduzione se n’è già parlato, tuttavia finora aveva sempre riguardato l’area di pc e internet. Con il passaggio dala televisione analogica a quella digitale, avvenuta oggi soltanto a Cagliari, il fenomeno si estende anche al media televisivo. Quali sono le difficoltà e quali invece i vantaggi?

Alle tre di questa mattina a Cagliari i canali Rai2 e Rete4 si sono spenti per passare alla sola modalità digitale. Il passaggio si dovrebbe completare in Sardegna per la fine di Marzo e coinvolgerà a breve il resto d’Italia.
La digitalizzazione comporta numerosi vantaggi, anche se sussitono numerosi tecnodistopici contro, purchè venga bene utilizzata.
Siamo consapevoli che ogni mutamento, in qualunque direzione avvenga, provoca sempre nei soggetti coinvolti una resistenza, dovuta alla necessità/obbligo di ristrutturare le proprie abitudini e apprendere nuove modalità di utilizzo (si veda l’uso del decoder), tuttavia l’analisi benefici/svantaggi deve essere condotta in modo realistico.

Il cambiamento viene proposto a fronte della saturazione dello spazio televisivo disponibile, che non permette a nuove emittenti di nascere e trasmettere e anche perché la qualità della visione digitale è migliore, meno influenzata dalla presenza di “rumore” e interferenze.

I problemi però non mancano. Le emittenti si trovano di fronte alla difficoltà di stabilire i tempi del passaggio, ma questo, se vogliamo, è un problema soltanto di gestione dei tempi, che si assesterà con la formazione del sistema in tutta l’Italia.
Ben più difficili sono le problematiche legate ai vantaggi diretti e propinati da questa rivoluzione tecnologica.

Primo, la democratizzazione auspicata rischia di non avvenire: ad esempio Rete4 copre sul digitale lo stesso spazio che aveva sull’analogico, con due emittenti uguali ma a definizione diversa, probabilmente offrendo comunque contenuti extra ma non aprendo la via a nuovi soggetti. E probabilmente tutte le grandi emittenti agiranno in modo analogo, offrendo sì maggiori contenuti, ma non rinnovando fonti e visioni.

Secondo, non dimentichiamoci che digital divide è anche fare in modo che tutte le persone godano delle stesse opportunità culturali, permettendosi la visione digitale e i costi aggiuntivi che questa comporta (cambio del televisore, acquisto del decoder..). Basteranno gli incentivi statali a garantire uguale televisione per tutti?

Foto by Nicola Asuni