sabato 30 giugno 2007

COMUNICARE ATTRAVERSO STEREOTIPI


La comunicazione nei bambini autistici è fortemente compromessa. Uno studio inglese, della University College di Londra, ha evidenziato che l’uso di stereotipi può coadiuvare il bambino artistico a comunicare. Nonostante la pericolosità insita nell’uso massiccio di stereotipi, per i bambini autistici possono significare un aiuto alla socializzazione e all’integrazione delle proprie risorse.

L’autismo è una grave forma di psicopatologia dello sviluppo che compromette fortemente le capacità di relazione e di comunicazione nel bambino. Inoltre è gravemente compromesso il repertorio delle attività e degli interessi, e la presenza di comportamenti disfunzionali tipici dell’autismo, come lo “sfarfallamento”. Attualmente non si è ancora a conoscenza della causa scatenante la sindrome autistica, anche se attualmente alcune ricerche hanno confermato il contributo dei fattori genetici.

Una ricerca condotta dalla University College di Londra, attraverso la collaborazione di ricercatori inglesi e americani, ha evidenziato che i bambini autistici sono in grado di predire il comportamento altrui facendo riferimento a stereotipi sociali (di genere o di razza). Questo comportamento è solitamente frequente anche in bambini normali. I pregiudizi emergono intorno ai 3-5 anni di età e sono trasmessi culturalmente tra i membri di uno stesso gruppo sociale.

La ricerca ha coinvolto 49 bambini di una scuola primaria inglese, di cui 21 con autismo e 29 bambini normali. Ai soggetti veniva sottoposto il Pram (Preschool Racial Attitudes measure), questionario che valuta la conoscenza degli stereotipi di razza, composto da semplici vignette con disegni di maschi e femmine colorati di rosa o di marrone. Le risposte date venivano valutate in relazione allo stato mentale del bambino oppure al gruppo sociale di appartenenza.

I risultati mostrano che nel 75% dei casi le risposte dei bambini autistici erano in linea con quelle date dai bambini normali.
La scoperta è inaspettata. Infatti, l’utilizzo di stereotipi per comprendere il comportamento mentale altrui è evidentemente connesso con l’interesse verso gli altri ed i loro stati mentali, a cui i bambini autistici sono disinteressati. L’uso di stereotipi fa parte di uno stesso processo cognitivo che permette di comprendere le motivazioni altrui e di ‘mettersi nella mente degli altri’: i bambini autistici dovrebbero mostrare difficoltà.

I risultati sono interessanti nell’ottica di possibili forme di insegnamento, e di apprendimento, per i bambini autistici. Uta Frith, coautore dello studio afferma: “ben 500.000 famiglie nel Regno Unito hanno un bambino autistico e dare la possibilità di migliorare il loro modo di relazionarsi significa migliorare la qualità della vita di queste famiglie". E aggiunge: “Nonostante la pericolosità nell’uso massiccio degli stereotipi perché alla base dei pregiudizi, non si può negare che tutti li utilizziamo quando dobbiamo prendere decisioni affrettate e non sappiamo nulla della persona che abbiamo di fronte. Speriamo altresì che gli insegnanti e gli educatori utilizzino concetti sui gruppi che aiutino i bambini ad imparare a socializzare e a integrare le loro risorse".
Per legger atri articoli sull'autismo clicca qui
foto by foreversouls

venerdì 29 giugno 2007

AUTOMOBILI INTELLIGENTI

IBM sta studiando della automobili dotati di particolari sensori che permettono di rendere sicure le manovre degli utenti e intervenire sugli errori umani per correggerli. Quello che fino a poco tempo sembrava fantasia ora sta per diventare realtà. Vediamo in cosa consiste la loro intelligenza.

Le nuove automobili saranno fornite di meccanismi sofisticatissimi che permetteranno il controllo delle manovre del guidatore nei casi di necessità e che consentiranno la trasmissione di dati da una vettura all’altra. Le auto saranno infatti capaci di riconoscere la presenza di altri veicoli e di comportarsi di conseguenza, anche in quelle situazioni dove chi guida tende a perdere momentaneamente il controllo (incidenti, tamponamenti...).

Alcuni dei sistemi comprendono l’accelerazione automatica per il cambio o l’immissione in una corsia libera o, al contrario, la riduzione della velocità di marcia in caso di strade intasate o di eccessiva riduzione della distanza di sicurezza. Una sorta di pilota automatico o di secondo che vigila sulle nostre azioni.

La sicurezza, in questo modo verrà incrementata e queste ricerche vanno ad aggiungersi a quelle sulla costruzione di materiali intelligenti capaci di ripartire uniformemente gli urti o di assorbire la forza d’urto in modo favorevole al guidatore.

La tecnologia in questi anni sta facendo enormi passi avanti, ma come sempre serve una riflessione critica. Al di là degli evidenti benefici, che non serve discutere data la loro autoevidenza, bisogna ricordarsi che le macchine sono ben lungi dal sostituire le persone, tantomeno alla guida.
Serve che il guidatore sia attento, non assuma sostanze che possano alterare le sue capacità e deve lui per primo mantenere una condotta ineccepibile. Solo in quel caso gli ausili tecnologici andranno ad incrementare quella fetta di sicurezza che può sempre sfuggire. Non vanno invece interpretati questi vantaggi come sostitutivi o palliativi di carenze personali che inducano a guidare anche quando non ci si sente in forma.

Da psicologi poi ci attendiamo che tutte queste ricerche vengano impiegate, oltre che per il benessere di noi tutti, anche per migliorare le autovetture di soggetti affetti da handicap, in modo da migliorare le loro capacità e assicurare ancora maggiore adattabilità alle esigenze degli specifici deficit. Una fetta di guidatori della strada che spesso viene dimenticata dal grande marketing automobilistico.

giovedì 28 giugno 2007

DEMENZA E COGNIZIONE AIUTATE DALL’ACIDO FOLICO

Lo studio FACIT Folic Acid and Carotid Intima-media Thickness ha dimostrato che la somministrazione di acido folico in pazienti di età avanzata permette un miglioramento delle loro capacità cognitive e previene dal rischio della demenza senile.

Con l’aumento dell’età le capacità cognitive diminuiscono, soprattutto per quanto riguarda la velocità di processamento delle informazioni, e tale diminuizione è stata studiata in termini biologici. Si è visto che tali mutamenti si associano con basse concentrazioni di folati e l’aumento delle concentrazioni di omocisteina plasmatici.
Tali indicatori possono pertanto essere considerati fattori di rischio nell’insorgenza della demenza in età anziana.

Lo studio FACIT ha coinvolto 818 soggetti, divisi casualmente in due gruppi. Il gruppo sperimentale riceveva 800milligrammi al giorno di Acido Folico, mentre al gruppo di controllo veniva somministrato soltanto un placebo. La durata dello studio era di tre anni.

I risultati hanno mostrato che le funzioni cognitive dei soggetti a quali era stato somministrato Acido Folico erano significativamente migliori di quelle del gruppo di controllo. Nello specifico i valori migliori si sono registrati nella memoria e nella velocità di processamento delle informazioni.

Foto by valentina_virtual

mercoledì 27 giugno 2007

IL PRIMOGENITO E' IL PIU' INTELLIGENTE


Oslo. Uno studio, dopo aver analizzato 240.000 giovani, ha evidenziato un quoziente intellettivo maggiore dei fratelli maggiori rispetto i fratelli minori.

L’annosa questione sull’importanza dell’ordine di nascita sembra aver trovato una parziale soluzione. Uno studio norvegese ha sentenziato la superiorità intellettiva dei primogeniti.
La ricerca, recentemente pubblicata in Spagna su El Pais e di prossima pubblicazione sulle riviste internazionali Science e Intelligence, ha coinvolto 240 mila giovani maschi tra i 18 e i 19 anni. I ricercatori Petter Kristensen e Tor Bjerkedal hanno somministrato test sul quoziente di intelligenza.

I dati mostrano dei risultati leggermente migliori nei casi dei fratelli maggiori, di circa 3 punti. I ricercatori leggono questa differenza, seppur lieve, come significativa. Interpretano questi risultati come legati a dinamiche famigliare e alle reti relazionali. Infatti non sembrerebbero legati all’ordine biologico o a fattori genetici. Il primogenito risulterebbe più intelligente perché viene trattato, e considerato, dai genitori come più adulto.

Lo studio ha essenzialmente il limite di essere stato condotto solo su maschi. Secondo i ricercatori tuttavia i risultati sono validi anche per le donne e intendono condurre esperimenti più approfonditi al riguardo.


foto by Geo8

LA FORMALIZZAZIONE DELLE NEUROSCIENZE

La disciplina delle neuroscienze è abbastanza recente, nondimeno negli ultimi anni ha condotto a progressi impensabili prima. Il riconoscimento giuridico e scientifico non va però di pari passo con il riconoscimento delle sue scoperte, tra i rappresentanti e gli studiosi del settore serpeggia infatti malumore, come dichiarava una dei partecipanti al convegno tenutosi in Cattolica questo mese. Ora una rete europea si propone di riunire tutti glia addetti in materia per analizzare l’impatto che le neuroscienze hanno sui modi di vivere e sulla società. Nella speranza che la visibilità permetta infine di costituirsi come disciplina riconosciuta a tutti gli effetti.

La FES, Fondazione Europea delle Scienze, e la società ENSN hanno sviluppato un progetto per la creazione di una rete europea delle neuroscienze che riunisca scienziati e sociologi, favorendo la circolazione delle idee e la nascita di una vera e propria cerchia di esperti.

Il programma prevede numerose iniziative, che vanno dall’organizzazione di workshop alla preparazione di incontri e conferenze, fino alla pubblicazione su importanti giornali di settore. I fondi stanziati permetteranno inoltre la creazione di borse di studio e incentivi per le ricerche, in tutta l’Europa.

Le neuroscienze sono un campo blandamente definito dalla professionalità che vi operano e una delle difficoltà dell’istituzionalizzazione sta proprio qui: si tratta di medici, psichiatri, psicologi, ma anche di studiosi appartenenti all’area umanistica, quali antropologi e sociologi. È difficile e richiede tempi lunghi la creazione di uno statuto giuridico e deontologico che tenga conto delle rispettive figure professionali, anche se si tratta di un passo che abbisogna sempre di più.

Molte delle scoperte recenti, nel campo dell’educazione, dell’apprendimento, ma anche del comportamento sociale fino alle sue manifestazioni violente, sono state opera (anche ) delle neuroscienze. Tuttavia la scoperta di funzionalità e aree del cervello umano deputate a determinate categorie di azioni non deve in alcun modo far ricadere in uno sterile determinismo psichico, ed è questo rischio che si invitano gli psicologi a valutare con attenzione, prima di aderire con fervore a quella che, purtroppo spiace dirlo, è il trend attuale della psicologia.

I risultati da soli non bastano a giustificare i mezzi, e prudenza e studio nel tempo sono gli unici indicatori di un processo tanto labile come quello delle certezze scientifiche. Si auspica che questa rete di neuropsicologi voglia sviluppare proprio questo, evidenziando sì i meriti, ma senza dimenticare i limiti. In bocca al lupo!

Foto by PsicoCafè

martedì 26 giugno 2007

MEMORIA DA CAMPIONE



La memoria occupa un ruolo chiave nella formula uno. Percorsi d’allenamento specifici possono incrementare le abilità del pilota, permettendogli di ottenere risultati migliori. Lewis Hamilton ne è un esempio.

Lewis Hamilton, l’esordiente pilota ventunenne della formula uno, che sta collezionando pool position e vittorie, sorprendendo anche i più esperti, si affida alle capacità di Kerry Spackman, che da alcuni anni studia cosa avviene nel cervello di uno sportivo. Kerry Spackman, ormai da molti anni inserito nel mondo della formula uno, nasce come matematico ed astrofisico, ma ha conseguito il dottorato in neuroscienze. Questo suo interesse si è declinato nello studio della mente dei piloti, di cosa avviene a livello cerebrale durante le corse ed in che modo si possano migliorare le prestazioni.

Dalle sue ricerche, che come possiamo osservare hanno una conferma oggettiva nelle ultime gare disputate, Spackman ha dedotto che la memoria è uno degli aspetti fondamentali per la buona riuscita della gara, e per questo è necessario incrementarla con appositi training. La memoria risulta essere un aspetto fondamentale in quanto il pilota deve essere in grado di memorizzare moltissimi aspetti del circuito di gara, del veicolo e delle gomme, e deve essere in grado di attivare tutta questa serie di elementi immagazzinati in tempi brevissimi. Le decisioni, infatti, in formula uno devono essere prese in millesimi di secondi, ed una scelta sbagliata può avere effetti veramente negativi, non solo per l’esito della corsa, ma per la stessa vita del pilota! Spackman spiega “se vuoi migliorare la memoria per i movimenti e i cambiamenti in un pilota ci sono alcune cose da fare per allenare alcune aree del cervello e aiutarle ad identificare ogni singolo dettaglio”.

Gli esercizi messi a punto da Spacman e i suoi training d’allenamento sono al momento top secret e forse una delle chiavi del successo del giovane pilota!


foto by ChrisMRichards

CAMPAGNA PER I MINORI SUL CORRETTO USO DI INTERNET

La Presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero delle Comunicazioni hanno ideato una campagna televisiva e di stampa per consigliare e diffondere un corretto uso dei media all’interno delle famiglie. La campagna, curata da Saatchi&Saatchi è già in onda sulle emittenti televisive dove resterà in programmazione fin a luglio e prevede una seconda fase, su stampa, a settembre. Un modo divertente e intelligente di sensibilizzare l’opinione sulla difficile regolamentazione domestica delle tecnologie.

Nello spot ora in onda si vede una madre intenta a cucinare e a cercare, in modo inadatto, la ricetta”nel computer”. Dato il fallimento della sua ricerca si vede il figlio che collabora con lei in una navigazione web alla ricerca del manicaretto. L’idea nasce dalla duplice volontà di:
  1. promuovere l’utilizzo delle nuove tecnologie senza che vengano demonizzate per i loro, ormai ben noti, possibili effetti deleteri;
  2. favorire la fruizione congiunta in modo da unire proficuamente le capacità tecnologiche dei giovani e lo spirito critico delle figure parentali.

Alla campagna televisiva si affiancano anche dei comunicati radiofonici a tema.
Un terzo obiettivo viene invece sviluppato tramite la campagna stampa che si propone di familiarizzare i genitori al linguaggio slang del computer tanto padroneggiato dai giovani, quanto a loro ignoto.

Per saperne di più sui rapporti tra i giovani e le nuove tecnologie si rimanda ad un recente blog di settore.

Per approfondire il tema dei giovani e di Internet invece si consiglia di consultare questo sito nella sezione Progetti-Internet generation.

Foto by [Ben Hunter]

lunedì 25 giugno 2007

VERBALIZZARE LE EMOZIONI DIMINISCE L'ATTIVAZIONE DELL'AMIGDALA


Verbalizzare le proprie emozioni e sensazioni attiva dei cambiamenti a livello cerebrale che ci fanno sentire meglio. E’ la recente scoperta del professor Lieberman che ha osservato una differente attivazione cerebrale nel momento in cui si da voce alle proprie emozioni.

“Sfogati, raccontami quello che senti e vedrai che starai meglio”. Queste parole hanno oggi una validità scientifica. Secondo uno studio condotto dal team del professor Lieberman presso l’università californiana UCLA (University of California, Los Angeles), dare un nome all’emozione provata, verbalizzarla, fa sentire meglio.

Lieberman e i suoi colleghi hanno osservato cosa avviene a livello cerebrale mentre si esperisce un’emozione. I soggetti sono stati sottoposti alla fRMI (risonanza magnetica funzionale) in tre diverse condizioni: mentre osservavano la foto di una persona arrabbiata o impaurita, sottoposti a stimolazione subliminale ed infine mentre definivano con una parola l’emozione sperimentata. E’ stato osservato che nei casi in cui osservavano la fotografia ed erano sottoposti a stimolazione prossimale, si verificava un aumento dell’attivazione dell’amigdala, zona del cervello che determina le reazioni in caso di pericolo. Quando invece verbalizzavano le emozioni, la risposta dell’amigdala diminuisce, e contemporaneamente si attiva la regione prefrontale dell’emisfero destro, implicata nel processo di elaborazione delle emozioni e inibizione del comportamento.

Lieberman descrive il processo :“Allo stesso modo in cui si preme sul freno alla vista del semaforo giallo, così si mette un freno alle proprie risposte emotive nella messa in parole delle emozioni”. Lo studio spiega il senso di sollievo che si prova dopo aver confidato un segreto o raccontato un episodio negativo.
E’ inoltre molto interessante rileggere i risultati di questa ricerca nell’ottica delle sedute psicoterapeutiche: la psicoanalisi infatti attiva dei processi fisiologici da cui derivano benefici fisici e psicologici.

domenica 24 giugno 2007

SOMMARIO DELLA SETTIMANA


Foto by Luigino

Questa settimana ci siamo occupate di…

  • Disturbi psicologici: il disturbo da attacchi di panico è uno dei mali ricorrenti della nostra età, e può avere più di una declinazione. Si può infatti avere il timore di vomitare o vedere gli altri che stanno male, fino a non vivere più per i timori di performance ad esso connessi. Ci sono inoltre implicazioni anche sull’alimentazione.

  • Cognizione: la capacità di comprendere la lingua è precoce nei bambini, e nei primi mesi di età è diffusa tanto da permetterci di distinguere tra idiomi diversi anche solo dall’osservazione del volto del parlante.

  • Psicologia&Tecnologia: la ricerca di un’usabilità sempre maggiore per gli utenti ha guidato la creazione di un’interfaccia tecnologica ad elevate prestazioni che presto apparirà in commercio.

  • Psicologia di attualità: in Campidoglio a Roma si è svolto un importante convegno sulla Psicologia, segno del rinnovato interesse dei politici per le tematiche del benessere. In questo incontro si è vista anche la partecipazione dell’unico psicologo ad aver ricevuto il Nobel, D. Kahneman.

sabato 23 giugno 2007

L’EMETOFOBIA TRA ANORESSIA E ATTACCHI DI PANICO

L’emetofobia consiste nella paura di vomitare o di vedere gli altri farlo e si correla con altri disturbi. Legata alla sfera dell’ansia, da cui origina per ragioni ancora sconosciute, può diventare causa di disturbi alimentari. Poco conosciuta è però un male assai diffuso tra le persone che una volta affetti faticano a condurre una vita normale e molto spesso si vergognano di un timore tanto “sciocco”. Ecco le sue caratteristiche.

L’insorgenza del disturbo si colloca nella maggior parte dei casi nell’adolescenza, anche se vi sono casi che esordiscono solamente in età adulta, per i più svariati motivi. Solitamente si riconduce la causa a un episodio traumatico vissuto, sia relativo al tema del vomito stesso (malattie, intossicazioni…), sia relativo a esperienze che si desidera inconsciamente rigettare e mantenere insieme.

I sintomi sono costituiti da una forte ansia, si anticipatoria che successiva all’episodio, che sfocia spesso in episodi e attacchi di panico. Si provano sensazioni di soffocamento, di impotenza, di irrigidimento e persino timore di morire. Tali manifestazioni si accentuano quando l’esperienza viene vissuta in solitaria, mentre diminuiscono se in compagnia di persone care o familiari. La presenza di altri individui non è però sempre un fattore facilitante, anzi il trovarsi in situazioni sociali e soprattutto in quelle dove è necessario dare una buona immagine di sé (riunioni, appuntamenti di lavoro o personali) aumenta l’ansia, dato che si teme la brutta figura che un episodio di nausea comporterebbe.

Il timore porta all’evitamento di tutte quelle situazioni in cui l’attacco potrebbe verificarsi: dapprima si rinuncia a luoghi clinici o dove sono presenti bambini, si passa poi a situazioni meno tematiche fino a che tutto l’ambito vitale ne viene compromesso: non si esce a cena, non si pranza nelle mense e così via. Ci sono serie conseguenze: vengono evitati farmaci e visite mediche, per i possibili effetti collaterali espettoranti, con seri rischi e complicazioni per la salute; le donne rinunciano ad intraprendere una gravidanza per le nausee ad essa connesse e per l’incapcità di gestire i successivi malesseri del nascituro.

Le occasioni sociali, abbiamo visto, si riducono, ma anche i contatti con conoscenti e amici vengono a mancare perchè si instaura il timore di essere contagiati: virus e bacilli sono visti come nemici mortali. Si sviluppa un’ossessione verso l’igiene e la pulizia, che raggiunge livelli anormali: frequentissime abluzioni, attento ponderaggio di cibi potenzialmente a rischio. Ecco che insorgono possibili disturbi alimentari.

Certi alimenti vengono sistematicamente evitati, creando carenze nutritive, ma anche la quantità del cibo viene notevolmente ridotta, in casi gravi fino alla quasi nullità, creando il terreno fertile per l’instaurarsi di una patologia anoressica.

Le cure si basano principalmente su farmaci e psicofarmaci (dei quali il soggetto spesso abusa, se non controllato), o sulla terapia psicoanalitica. In ogni caso una cura psicologica, comportamentale o di altro genere, da sola o in concomitanza col trattamento farmacologico, sembra essere la soluzione migliore. Potersi confrontare con una persona competente, che riconosca la gravità del fatto senza liquidare l’ assurda paura con il “ma vomitano tutti, non fare il bambino!”è un aiuto irrinunciabile, tanto meglio se il confronto si estende anche a chi soffre dello stesso male grazie a gruppi di auto-mutuo aiuto o semplicemente a contatti presso le strutture di cura.

Foto by OkayPro

IL PC E L’AFFORDANCE ASSOLUTA

Il nucleo di ricerca della Microsoft ha messo a punto un nuovo dispositivo telematico, presto in commercio, che sintetizza in modo ottimale e al alta usabilità le funzioni normalmente espletate dal pc. Surface, questo il suo nome, è una sorta di supporto intelligente che permette di compiere azioni fino ad ora di fantascienza grazie allo studio attento delle funzionalità interattive che un utente potrebbe desiderare dalla tecnologia. Vediamo quali.

A forma di tavolo, Surface è un interfaccia avanzata costituita da una superficie dove è inglobato lo schermo touch-screen e priva di fili e mouse. È possibile appoggiarvi oggetti, lavorare in più di una persona sia allo stesso progetto sia a file differenti. Il concetto di Usb viene inoltre rivoluzionato, per scaricare le fotografie dalla macchina digitale sufficiente appoggiarla sulla superficie e dare il via al trasferimento, così come avviene per i collegamenti wireless con le altre periferiche.

Elemento di nicchia vedrà presto la sua diffusione anche all’interno dell’ambito domestico, senza contare le vantaggiose applicazioni che potrà vere nell’ambito del commercio e della fornitura di servizi: riconosce carte di credito e permette di memorizzare dati importanti, come colazione o menù tipici dei clienti, o le loro taglie di scarpe e vestiti.

Le opportunità che offre non sono ovviamente illimitate, ma al momento rappresenta il top dell’interattività e delle funzionalità che un computer può fornire ai suoi utenti. Le affordances diventano innumerevoli e facilmente accessibili: non soltanto rimozione del comando da tastiera, ma anche dell’interazione via mouse, sostituiti dalle dita in una fusione quasi bionica di capacità umane e tecniche. Si potrebbe parlare di una realtà virtuale a sole due dimensioni.

Le persone interagiscono e utilizzano maggiormente le tecnologie quando le vivono come trasparenti nel loro utilizzo e nei processi che queste compiono: la manualità e l’intuitività dei comandi permettono di realizzare questo scopo al meglio.

Guarda il video di Surface

Foto by Daniel Williams

mercoledì 20 giugno 2007

PSYCO-FLASH: KAHNEMAN IN CAMPIDOGLIO

Oggi alle 15.30 presso la Promoteca del Campidoglio si svolgerà il convegno internazionale “Psicologia ed economia della felicità: verso un cambiamento dell’agire politico” promossa dal Comune di Roma e dalla Scuola di specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università La sapienza di Roma.

Tra i partecipanti illustri si segnalano Daniel Kahneman, Romano Prodi, Mariapia Garavaglia, Piero Fassino Ermete Realacci e molti altri.

Foto by Calovi

FINO A 4 MESI SIAMO POLIGLOTTI

Una curiosa ricerca dell’Università di Vancouver mostra come già a 4 mesi i neonati siano in grado di distinguere tra la propria lingua e idiomi differenti. Lo studio si presenta come innovativo perché, a differenza dei precedenti, rileva indici visivi e non legati invece all’ascolto del parlato. Questa capacità straordinaria non si conserva però nel tempo, per permettere l’apprendimento approfondito della propria lingua madre.

Lo studio longitudinale è stato condotto su 36 bambini anglofobi: la metà di loro osservava volti di persone che parlavano in inglese, mentre la metà sperimentale parlanti di lingua inglese e francese.
I tempi di fissazione registrati hanno mostrato differenze significative:
  • nel gruppo sperimentale la durata della fissazione è più lunga con i parlanti francesi rispetto a quelli inglesi;
  • i tempi di fissazione sono differenti non solo entro il gruppo sperimentale, ma anche tra questo e il gruppo di controllo.

Tali dati mostrano chiaramente che c’è già in età precoce la capacità di distinguere tra lingue differenti, inferendo gli indizi linguistici anche da una situazione puramente visiva (mimica).

I risultati si sono rivelati stabili anche col successivo test condotto a 6 mesi, mentre la discriminazione è risultata compromessa a 8 mesi. Gli unici soggetti che mantenevano un’elevata capacità discriminativi sono risultati i bambini bilingui. Questi inizialmente presentano maggiori difficoltà nella discriminazione, ma la mantengono anche in età successive.

La spiegazione data dai ricercatori è che una volta stabilita la lingua di appartenenza, si riduce l’interesse e l’attenzione per altri idiomi, in modo da concentrarsi sull’apprendimento di quella per noi significativa. Ecco perché bambini poliglotti invece non sviluppano questa elevata differenziazione e dividono costantemente la loro attenzione tra più lingue: per la loro comunicazione e sopravvivenza è infatti necessario padroneggiare non soltanto uno, ma due idiomi.

Foto by sacherfire

venerdì 15 giugno 2007

E' SCOMPARSO RUDOLF ARNHEIM


E’ morto a 102 anni, nel Michigan Rudolf Arnheim, psicologo della percezione e critico d’arte.

Rudolf Arnheim è forse il protagonista degli studi di psicologia delle arti visive, ed il suo lavoro è un punto di riferimento importante. Tra le sue opere ricordiamo‘Verso una psicologia dell’arte’. I suoi studi si sono sviluppati in un arco di tempo di circa 40 anni, con numerosi articoli e libri.
Arnheim nacque a Berlino nel 1904, e approfondì i suoi studi di psicologia presso la scuola della Psicologia della Gestalt fondata da Max Wertheimer. Nel 1933, poco dopo l’ascesa del nazismo fu costrettoa fuggire dalla patria natale a causa delle sue origini ebraiche. Si rifugiò in un primo tempo a Roma dove collaborò con l’ l’Istituto Internazionale per la Cinematografia Educativa e con il Centro Sperimentale per la Cinematografia, ed in un secondo tempo, nel 1938 a Londra. Giunse infine negli Stati Uniti dove iniziò la sua lunga carriera di psicologo dell’arte presso la Columbia University e ad Harvard e collaborando con le fondazioni Rockefeller e Guggenheim.
Basato sui principi della Gestalt nel 1954 scrive ‘Arte e percezione visiva’, che rimane uno dei testi fondamentali della psicologia dell’arte di tutto il Novecento.
foto by rodeomilano

giovedì 14 giugno 2007

TROPPO CELLULARE: APPRENDIMENTO PIU' DIFFICILE


Quali effetti producono le nuove tecnologie sugli adolescenti? Sono costosi, nonchè una delle loro 'occupazioni' preferite. Ma da uno studio dell'Università di Palermo emerge che possono influire negativamente anche sulle modalità d'apprendimento.


Le nuove tecnologie invadono la vita di tutti i giorni, soprattutto quella degli adolescenti. E’ risaputo, infatti, che la gran parte dei giovanissimi possiedono un cellulare e spendono gran parte della loro paghetta per le ricariche. Inoltre, chat e messaggistica istantanea sono diventati i luoghi, anche se virtuali, privilegiati per dialogare e comunicare con i propri amici.

Ma oltre ad influire sui comportamenti e sulle modalità comunicative, l’uso continuo di queste tecnologie sta rapidamente cambiando anche le capacità di apprendimento.
Il Dipartimento di psicologia e clinica psichiatrica dell’Univerisità di Palermo ha condotto una ricerca sull’uso delle nuove tecnologie da parte dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni. E’ emerso che generalmente i giovani occupano circa 5 ore e mezza del loro pomeriggio rispondendo a messaggi. Il dato più interessante, e contemporaneamente preoccupante, sono gli effetti negativi che l’uso smodato di queste tecnologie portano con sè. Infatti, continuare a controllare il cellulare influisce sulle capacità di concentrazione dei ragazzi. Inoltre producono un deficit nella sintassi: scrivere messaggi implica l’utilizzo di abbreviazioni e lo scarso uso della punteggiatura. Queste abitudini si riflettono nello sgretolamento della sintassi, che indica anche uno sgretolamento della temporalità.

I risultati della ricerca sono stati descritti nella conferenza tenuta dalla Coirag a Milano ‘Psiche, affetti e tecne’. "I sistemi tecnologici che dovrebbero promuovere la comunicazione - spiega Renato de Polo, presidente della Coirag - possono avere paradossalmente un effetto opposto, un ripiegamento su se stessi, una fuga dal mondo sensoriale e delle relazioni reali".

Abbiamo già più volte trattato il tema dell’influenza delle nuove tecnologie sulle persone più o meno giovani. Riportiamo qui di seguito alcuni articoli riguardanti questa tematica:

mercoledì 13 giugno 2007

RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE: PER UNA COMUNICAZIONE EFFICACE


Una stretta di mano aiuta a rompere il ghiaccio e sciogliere la tensione. E’ il modo con cui dovrebbe iniziare un colloquio medico-paziente,secondo la recente ricerca condotta a Chicago dai ricercatori della Northwestern University.

Quando si va dal medico ci si sente spesso a disagio: si può essere in ansia per la propria salute, imbarazzati all’idea di spogliarsi, preoccupati per dover svelare i propri problemi personali, talvolta intimi e privati. Per tutte queste motivazioni è necessario che tra medico e paziente si sviluppi un rapporto di reciproca fiducia, in modo che il paziente si senta accolto, compreso.
Alcuni comportamenti da parte del medico possono facilitare l’instaurarsi di un rapporto di questo tipo.

Una recente ricerca condotto dal team di Gregory Makoul, ricercatore presso la Northwestern University di Chicago, ha evidenziato che già una semplice stretta di mano all’inizio del colloquio facilita un buon avvio del rapporto.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Archives of Internal Medicine, ha coinvolto 415 adulti, che sono stati intervistati sulle loro preferenze ed aspettative rispetto alla visita medica. E’ emerso che una calorosa stretta di mano tra medico e paziente all’inizio del rapporto è giudicato come gesto molto importante. Inoltre è giudicato in modo molto positivo il fatto di essere chiamati con il proprio nome di battesimo dal 50% del campione intervistato, mentre il restante 23% e 17% preferisce esser chiamato rispettivamente con nome e cognome e solo con il cognome.
La ricerca non si è conclusa qui. Sono stati, infatti, filmati123 primi incontri tra medici e pazienti, per verificare in un setting reale come fosse gestita la situazione dai medici.
Le videoregistrazioni hanno evidenziato che il colloquio nell’82% dei casi inizia con una stretta di mano, come auspicato dagli intervistati. Il problema nasce invece nel resto del colloquio che si sviluppa nella maggior parte dei casi nell’anonimato, nel senso che il nome del paziente non viene mai pronunciato.

Instaurare un buon rapporto con il medico è cruciale: ci fa sentire più liberi di esprimere le nostre problematiche. Spesso però non viene compresa l’importanza della comunicazione, non solo verbale, ma anche di quella non verbale. «Giusto incoraggiare i dottori a stringere la mano ai pazienti – spiegano gli autori dello studio - ma raccomandando loro di essere sensibili ai messaggi non verbali del paziente, che potrebbero indicare che non è propenso a questo atteggiamento».

Abbiamo già trattato la tematica medico paziente. Ti invitiamo a leggere alcuni dei nostri articoli d’archivio:
“Comunicazione medico-paziente”



foto by raffaelebrustia

lunedì 11 giugno 2007

IL GENE DEL DEJA-VU


Il premio Nobel per la medicina Tonegawa ha individuato la zona del cervello responsabile del fenomeno del déjà-vu. La ricerca è stata condotta su una colonia di topi il cui cervello era stato modificato geneticamente.


Il déjà-vu è un fenomeno affascinante. Capita spesso di chiedersi come sia possibile avere la sensazione di essere già stati in un posto o di aver già vissuto una situazione. Qualche mese fa, in occasione dell’uscita nelle sale cinematografiche del film ‘Déjà-vu’ abbiamo dedicato un articolo a questa tematica che tanto ha interessato gli psicologi. Nell’ultimo numero della rivista Science è riportata una rilevante ricerca al riguardo.

La ricerca è stata condotta presso il Massachusetts Institute of Technology di Boston dal professor Susumu Tonegawa, premio Nobel per la medicina nel 1987 e professore di biologia e neuroscienze.
L’equipe ha utilizzato una colonia di topi dal cervello geneticamente modificato: il loro ippocampo, zona cerebrale deputata alla memorizzazione di luoghi e di esperienze, era stato privato di un gene indispensabile per tale abilità. Questi topi venivamo posti in due gabbie simili ma non identitiche: in una venivano colpiti da una leggera scossa alle gambe, nell’altra no. I topi, indifferentemente dall gabbietta in cui erano posti iniziavano ad irrigidirsi, non riuscendo a distinguerle. Al contrario i topi ‘normali’, ossia del gruppo di controllo, si irrigidivano soltanto nella gabbia in cui veniva data la scossa.


L’ippocampo anche negli uomini è la zona cerebrale legata alla memoria episodica, deputata a categorizzare e memorizzare esperienze e luoghi per un uso successivo. Questa è un’abilità fondamentale per l’uomo “perchè permette di organizzare l'informazione presente rendendola fruibile per il futuro" dice il professor Tonegawa .
Il fenomeno del déjà-vu incorre quando le due esperienze incominciano a somigliarsi troppo sovrapponendosi e in qualche caso confondendosi. Tonegawa spiega "Il fenomeno del déjà-vu capita quando questa capacità che abbiamo tocca i suoi limiti".

La scoperta risulta molto importante per tutte quelle malattie degenerative, come l’Alzheimer, o per il naturale decadimento della memoria dovuta all’età. Infatti la scoperta permetterà lo sviluppo di farmaci in grado di andare a sopperire il deterioramento di tali abilità manestiche.

Se vuoi leggere il nostro articolo riguardante il déjà-vu clicca qui

Foto by ThunderChild5

domenica 10 giugno 2007

COMPRENDERE LA PERSONALITA' DALLA FORMA DEL CERVELLO


Uno studio italo-inglese, condotto dall'università di Modena-Reggio Emilia e da quella inglese di Hull, ha individuato l’esistenza di una correlazione tra tratti di personalità e specifiche conformazioni cerebrali. Lo studio sarà presentato all’importante congresso OHBM che si terrà Chicago dal 10 al 14 giugno 2007.


Alcuni aspetti della nostra personalità sono correlati a specifiche conformazioni cerebrali. E’ quanto emerge dalla ricerca sviluppata dall’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, in collaborazione con l’Università di Hull (Gran Bretagna). Sono stati analizzati specifici tratti di personalità: ricerca di personalità, dipendenza dalla gratificazione e tendenza ad evitare il pericolo.


Lo studio ha coinvolto 85 soggetti a cui è stato somministrato un questionario di personalità, per individuare i tratti sopracitati, ed in seguito sono stati sottoposti a risonanza magnetica strutturale del cervello.
Sono emerse notevoli correlazioni tra la conformazione fisica del cervello e le strutture di personalità. Sembra, infatti, che persone con alti punteggi nella tendenza nella ricerca della novità presentavano un maggior sviluppo della parte inferiore del lobo frontale, nella zona sotto l’orbita oculare. Chi invece ha ottenuto alti punteggi nella ricerca di gratificazione mostra un minore sviluppo dell’area anteriore centrale del lobo frontale.

“A fronte della sua apparente complessità, questo studio – chiarisce la prof. Annalena Venneri dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia - suggerisce che i tratti di personalità studiati hanno corrispondenti associazioni con specifiche variazioni nello sviluppo di specifiche strutture cerebrali”.
La scoperta spiega in parte come sono possibili modificazioni della personalità in seguito a traumi o lesioni cerebrali.

L’importanza della scoperta è testimoniato dalla presenza del team italo-inglese al congresso di Chicago, dove sono stati scelti tra gli oltre oltre 5.000 lavori presentati al comitato scientifico. I risultati saranno, infatti, presentanti nel corso dell’annuale congresso internazionale dell’Organisation for Human Brain Mapping (OHBM) che si terrà a Chicago da domenica 10 a giovedì 14 giugno 2007.



foto by ojeano

SOMMARIO DELLA SETTIMANA


Questa settimana ci siamo occupati di...



  • Psicologia dell'emergenza: un'iniziativa presso l'Unversità Cattolica del Sacro Cuore, porta l'attenzione sulla gravità e sulle conseguenze psicologiche in una famiglia quando un componente è coinvolto in un incidente stradale. La psicologia dell'emergenza non si occupa solo di catastrofi naturali e guerre, ma anche delle piccole tragedie di tutti i giorni. Se ne vuoi sapere di più leggi "Psicologia dell'emergenza e incidenti stradali".

  • Disturbi psicologici: abbiamo riportato i dati diffusi sull'uso di marijuana negli adolescenti e gli effetti che questo tipo di stupefacenti può avere sui giovani. Ci siamo occupati inoltredel disturbo ossessivo-compulsivo: una nuova metodologia terapeutica sembra essere efficace nella cura di questo difficile disturbo. Se sei interessato a questi argomenti leggi "Psicosi e marijuana" e "La psicologia emotocognitiva contro il disturbo ossessivo compulsivo".

  • Gravidanza: alcuni studi evidenziano una possibile influenza del livello di stress della madre sul nascituro. Sono stati, infatti, rilevati livelli di cortisolo simili nella futura madre e nel feto. Vai all'articolo "Stress in gravidanza".

  • Nuove tecnologie: ingrassare guardando la televisione. Non è soltanto un luogo comune,ma da una recente ricerca è risultato che se si mangia mentre si guarda la televisione è probabile arrivare ad assumere il 44% di cibo in più: se vuoi sapere perchè leggi "Televisione e cibo: un binomio pericoloso". La pubblicità se è mirata, se insomma riese a catturare l'attenzione del fruitore perchè tocca temi di suo interesse, è più efficace. Per questo google sta mettendo a punto un programma in grado di tenere conto delle prefereze individuali. Se vuoi saperne di più leggi "Pubblibità mirata nei videogames".

foto by hot in buffalo

mercoledì 6 giugno 2007

LA PSICOLOGIA EMOTOCOGNITIVA CONTRO IL DISTURBO OSSESSIVO-COMPLUSIVO


Una nuova metodologia psicologica per il disturbo ossessivo-compulsivo. La psicologia emotocognitiva si basa sul colloquio clinico e risulta più efficace dell’uso di farmaci.

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOP) è caratterizzato, secondo la definizione del DSM-IV, dalla presenza di ossessioni (pensieri ricorrenti e persistenti che causano ansia o disagio, vissuti dall’individuo come intrusivi, inappropriati ed irragionevoli) e di compulsioni (comportamenti ingiustificati e ripetuti per neutralizzare l’ossessione; ex. connesse alla pulizia e alla decontaminazione, al controllo…) che causano marcato disagio e facciano perdere almeno un’ora al giorno, interferendo significativamente con la vita del soggetto.


La psicologia emotocognitiva basa il suo trattamento del disturbo sullo sblocco del nucleo centrale della personalità ossessiva-compulsiva. La persona ossessiva-compulsiva è caratterizzata da forte ansia anticipatoria, che nei termini della psicologia emotocognitiva è definita ‘loop disfunzionale’. La terapia emotocognitiva è innovativa: basa il trattamento sui processi fisiologici superiori. Vuole smantellare i processi ansiosi, rendendoli reversibili, trasformando il loop disfunzionale in un processo funzionale armonico con il resto dell'organismo. Il metodo si basa sempre sul il colloquio psicologico, che mira a smantellare la sofferenza legata all’ansia anticipatoria.

La nuova terapia è risultata efficace in tempi brevi, senza differenze significative su disturbi anche di lunga data. Il metodo emotocognitivo è risultato più efficace dei farmaci. Le terapie ordinarie si basano infatti sulla somministrazione di psicofarmaci, che tuttavia non mostrano una vera efficacia, ma che anzi spesso diventano uno dei fattori di mantenimento dei sintomi.

fonte: PSYREWIEW
Foto by mariemg82003

martedì 5 giugno 2007

PUBBLICITA’ MIRATA NEI VIDEOGAME

Google ha messo a punto un programma, per ora non ancora attivo, che permette di registrare e valutare il comportamento dei giocatori on-line e di ricavarne un quadro di personalità sommario grazie al quale proporre spot mirati all’interno delle sessioni di gioco stesse. La customizzazione degli spot è ormai uh trend operante all’interno della pubblicità, soprattutto di quella via web, ma ci si interroga ora sulla liceità della raccolta di dati così strettamente personali, senza tenere conto che spesso l’immagine che diamo attraverso la rete non corrisponde alla nostra personalità reale.

Innanzitutto bisogna fugare ogni allarmismo prematuro, per ora si tratta soltanto di un progetto che non prevede applicazioni pratiche ma che può aprire interessanti spazi di rifelessione. Non è sullo specifico sistema che ci si vuole interrogare ma sulle linee di sviluppo che sta attualmente prendendo il mondo dell’advertising, tra cartelloni interattivi e annunci a tema.

Il problema, dal punto di vista psicologico, che è quello che interessa, riguarda due punti:
  1. la veridicità o meno delle informazioni raccolte;
  2. gli strumenti di raccolta e codifica dei dati, con le rispettive competenze professionali coinvolte.

Partiamo dal primo punto. Valutare atteggiamenti e comportamenti delle persone durante le sessioni di gioco, e in situazioni talvolta realistiche come quelle ora offerte dai mondi 3D non è garanzia di autenticità. Ci sono soggetti che si comportano nel mondo web così come nella realtà e altri invece che costruiscono identità fittizie. Teniamo poi presente che si sta parlando della realtà dei giochi, che possono, e spesso lo sono, venire assunti come valvola di sfogo e di divertimento libero al di là dei limiti della realtà che bene si conoscono. Ad esempio: un soggetto che ingaggi folle gare di velocità automobilistiche nei game, non è per forza un pirata della strada. Il lettore dei comportamenti riuscirà a interpretare queste differenze? Oppure la pubblicità sarà mirata soltanto all’attore virtuale e non alla corrispettiva persona reale? Ma allora siamo sicuri che l’offerta pubblicitaria andrà veramente a buon fine quando il soggetto riemergerà nel mondo reale, dato che la tendenza all’acquisto on-line è per ora una pratica poco diffusa, almeno nella realtà italiana?

Il secondo punto riguarda invece i criteri di analis dei comportamenti registrati. Si auspica che si tratti di test psicologici standardizzati in grado di dare risposte scientifiche e che siano pertanto utilizzati da persone con la giusta competenza come psicologi e psicoterapeuti. In tal caso però sarà necessario avvertire l’utente e dargli la possibilità di aderire o meno tramite u consenso realmente informato, lo stesso che si richiede prima di iniziare qualunque valutazione diagnostica, comportamentale o cognitiva, perché è di questo che nella realtà si tratta.

Una volta chiariti questi punti ritorna il discorso che più volte è stato fatto nelle nostre pagine: attenzione e un giusto grado di ragionamento permettono di fronteggiare con successo qualunque strategia persuasiva d tipo commerciale. Il servizio, d’altro canto, è pensato per favorire ed andare incontro all’utenza, un utenza che deve essere sempre informata e protetta accuratamente se cade sotto la soglia della maggiore età.


Foto by steve.portigal

TELEVISIONE E CIBO: UN BINOMIO PERICOLOSO


La televisione fa ingrassare: chi mangia davanti alla televisione rischia di ingerire fino al 44% di cibo in più. Molto dipende dal tipo di spettacolo a cui stiamo assistendo: gli spettacoli comici o divertenti indurrebbero a mangiare molto di più.


La televisione fa male. Numerosi sono gli studi che indagano la potenziale influenza di questo medium sulle credenze, conoscenze e comportamenti delle persone. Ma oltre ad istigare alla violenza e a rubare tempo ad attività ben più salutari, la televisione fa ingrassare. Ebbene si, la televisione sembra incidere fortemente sul peso-forma. Questo è dovuto al fatto che guardare la televisione induce a passare ore ed ore sul divano, non favorendo il bilancio tra calorie assunte e calorie bruciate. Una recente ricerca ha però mostrato che il vero problema consiste nel fatto che mangiare davanti alla televisione induce ad assumere molto più cibo, soprattutto se si sta fruendo di programmi divertenti.

Lo studio è stato presentato a Toronto da Alan Hirsch, neurologo e direttore di una clinica di Chicago specializzata nel trattamento dei sensi del gusto e dell'olfatto. Lo studio è stato condotto su 45 volontari, che sono statiinvitati a guardare i programmi di David Letterman e Jay Leno (popolari show di intrattenimento televisivo degli States). Gli venivano inoltre fornite patatine fritte da mangiare a piacimento per un periodo di tre settimane.
I ricercatori hanno osservato che i soggetti arrivavano a mangiare ben il 44% di cibo in più durante il Letterman show, ed il 42% durante il programma di leno.

Il motivo di questa tendenza a mangiare di più davanti alla televisione è legata al funzionamento cerebrale. Infatti, i centri dell’ipotalamo sono legati al senso del gusto e dell’olfatto. Se mangiamo guardando la televisioni i nostri sensi sono ingannati: non percepiscono gusti e sapori e per questo non arriva la decisione di smettere di mangiare. Concentrandosi su gusti e sapori si avverte prima il senso di sazietà e si mangia meno.

La ricerca fa riflettere sulle abitudini sbagliate in cui spesso incappiamo senza nemmeno accorgerci. Mangiare davanti al televisore non aiuta a mantenersi in forma e men che meno chi sta cercando di seguire una dieta. Cenare in compagnia può veramente aiutare a stare meglio.


Foto by Recuerdos Desconcertantes

STRESS IN GRAVIDANZA


L’Imperial College di Londra ha osservato che dalla diciassettesima settimana di gravidanza lo stress materno può incidere sul feto, a causa di livelli più elevati di cortisolo. Sono ancora in corso le ricerche per vedere se questi bambini sono veramente i più stressati.


L’umore materno e lo stile di vita della futura mamma incidono fortemente sul nascituro. Una recente ricerca dell’Imperial College di Londra, pubblicata sulla rivista 'Clinical endocrinology', ha messo in evidenza livelli di cortisolo, secreti dal feto, significamene differenti nei casi di donne con alti livelli di stress.


La ricerca ha coinvolto 267 donne in gravidanza, che sono state sottoposte alla misurazione del cortisolo secreto dal feto, attraverso una tecnica poco invasiva e poco rischiosa. Lo studio ha evidenziato una forte correlazione in ogni donna tra i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, nei due fluidi, già dalla diciassettesima settimana. Prima di questo periodo, “la placenta fa passare meno cortisolo al feto”, spiega Pampa Sarker, coordinatrice dello studio. "Stiamo cercando - conclude la ricercatrice - i bambini nati dopo questo studio per vedere se quelli con i livelli piu' alti di esposizione al cortisolo sono davvero i piu' stressati".



Questo studio ha un forte risvolto anche dal punto di vista delle metodologie diagnostiche fetali. Infatti, la misurazione attraverso campioni di liquido amniotico, anziché di sangue fetale può essere una valida alternativa, soprattutto meno rischiosa.
foto by bettina n

lunedì 4 giugno 2007

PSICOSI E MARIJUANA



Dati allarmanti sono stati diffusi riguardanti l’uso di cannabis da parte dei giovanissimi. La Società Italiana di psichiatria, attraverso il suo presidente Mariano Bassi, avverta sulla pericolosità dell’uso continuato di questa sostanza.

Secondo le recenti ricerche dall’Espad (l'European school survey project on alcohol and other drugs), un giovane su quattro fuma marijuana, ovvero circa 700 mila giovani, tra i 15 e i 19 anni, in Europa. In Italia, secondo il Cnr, la metà dei giovani di 19 anni, ossia uno su due, ha provato almeno una volta uno spinello.

Il dato, già significativo in sé, diventa ancora più allarmante se associato alle stime delle nuove malattie psicologiche adolescenziali, che sembrano essere correlate con l’uso di questo stupefacente. Ricerche internazionali, infatti, mostrano il legame tra malattie mentali e l’uso di marijuana. Il Dipartimento di psichiatria dell'Università della California ha scoperto una significativa associazione tra il consumo di marijuana e la psicosi: su di un campione di 48 persone, il 31% di consumatori mostra problemi psicotici ( articolo pubblicato sulla rivista ‘Psychiatry Research’). Anche uno studio australiano, condotto dal Centro nazionale di ricerca sulle droghe e l'alcool di Sydney e pubblicato sul Canadian Journal of Psychiatry, conferma questi risultati.

Per la prima volta in Italia, anche gli psichiatri sostengono la pericolosità dell’uso delle droghe leggere, presentando una serie di studi scientifici in un tour in 16 città, dedicato alla formazione dei medici sui pericoli dell’hashish. Mariano Bassi, presidente del Sip (Società Italiana di Psichiatria) e docente presso le Scuole di specializzazione in Psichiatria delle Università di Parma e Bologna, spiega: «Tra le droghe leggere e i casi di psicosi e paranoia c'è uno stretto legame», e continua «L'uso di cannabinoidi provoca disturbi al sistema neurotrasmettitore, la sostanza responsabile della trasmissione degli impulsi nervosi. Per gli adolescenti i rischi sono maggiori rispetto agli adulti perché il loro cervello è ancora in fase di sviluppo». In generale i danni in cui questi giovani rischiano di incorrere vanno dalla difficoltà di concentrazione, attacchi di panico e manie di persecuzione.

Gli studi riguardanti i rischi associati all’uso di droghe leggere si susseguono da anni, e ancora oggi sembra che non si sia giunti ad un risulato inattaccabile. Ci è sembrato tuttavia importante informarvi sulle recenti ricerche, sostenute da un ente importante come la Sip, anche per i dati allarmanti sul consumo di tali sostanze.

foto by Dey

PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA E INCIDENTI STRADALI

Nasce, presso le edizioni della Università Cattolica di Milano, i Quaderni di Psicologia dell’emergenza, il cui primo volume è dedicato agli incidenti stradali. La Psicologia dell’emergenza infatti non si occupa soltanto di calamità naturali o eventi drammatici improvvisi e di enorme portata, ma anche dei fenomeni meno noti, seppure sotto l’occhio di tutti come la pericolosità della strada. Gli incidenti stradali negli ultimi anni crescono a dismisura e rappresentano una forte causa di disagio non soltanto per i soggetti coinvolti, solitamente appartenenti alla fascia dei giovani adulti, ma anche al nucleo familiare. Un problema che richiede aiuto psicologico e grandi capacità di comunicazione. Vediamo perché.

L’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, ha di recente evidenziato come il problema degli incidenti stradali sia una piaga sociale nel nostro paese: si colloca infatti come secondo fattore di mortalità e soprattutto per quella fascia che va dalla maggiore età ai 29 anni. Si tratta come è ovvio, del noto “fenomeno del sabato sera”, ma non soltanto, dato che l’incidente avviene anche nelle fasce d’età più alte, e minori frequentatrici dei locali notturni. Vi sono coinvolti fattori ampi, che vanno dalla responsabilità personale, propria e altrui, alla sicurezza delle strade, agli agenti atmosferici e così via a comprendere tutti quei fenomeni che possono alterare o rendere difficile la guida corretta del veicolo.

Le vittime principali sono le persone direttamente coinvolte, che presentano spesso lesioni gravi o permanenti, diventando un serio problema per la famiglia che li ha a carico. La presenza di soggetti lesi o disabili a causa di un incidente automobilistico, tanto più se indotto per causa propria, instaura un clima difficile e contraddittorio all’interno del nucleo familiare, alterando i normali cicli di responsabilità e le caratteristiche della comunicazione.

I quaderni di psicologia dell’emergenza nascono per volontà di Fabio Sbattella e Marilena Tettamanzi, entrambi docenti dell’Università cattolica di Milano, che ne sono i curatori. L’iniziativa si affianca ai già affermati Quaderni di psicologia Clinica. Lo scopo di queste pubblicazioni sta nella trattazione di temi attuali, favorita anche dall’agilità di tempistica di pubblicazione degli stessi, unitamente al novero di ricerche nello specifico settore trattato, in modo da fornire strumenti operativi e operazionali per la gestione delle problematiche.

La trattazione degli incidenti stradali si incentra su due punti fondamentali che sono:
il rapporto famiglia-incidenti stradali;
la gestione del dolore, anche tramite il metodo del mutuo aiuto.
Il nucleo forte ruota attorno ai processi psicologici che avvengono nella mente del soggetto vittima dell’incidente non come unità isolata, ma come facente parte di un contesto più ampio, in un’ottica relazionale. A tal fine vengono presi in considerazione il contesto sociale e nello specifico il contesto familiare di appartenenza.

La psicologia della Comunicazione rinnova qui il suo aiuto in termini maggiormente clinici, ma si badi bene non diagnostici. Al di là delle tecniche che possono essere utilizzate, ha sottolineato il professor Sbattella in un recente incontro sulla comunicazione (metti link a post), la modalità dialogica permette di avviare un percorso circolare in cui nessuno aiuta qualcuno ma tutti aiutano tutti. Se non sappiamo più distinguere chi aiuta chi, la comunicazione diviene un flusso in cui tutti servono agli altri e le comunicazione diventa un flusso.


Foto by zombo 78

SOMMARIO DELLA SETTIMANA


Questa settimana ci siamo occupati di…

arte: la neuroestetica è una disciplina a cavallo tra psicologia, medicina e arte, e si occupa degli effetti della fruizione artistica. Nel seminario svolto a Siena sulla neuroestetica si è discusso dell’impatto percettivo dell’arte e del suo risvolto psicologico, analizzando fenomeni come la sindrome di Stendhall. In un altro articolo abbiamo trattato la fruizione artistica dal punto di vista della neuropsicologia: di fronte ad un opera d’arte ci immedesimiamo grazie ai neuroni-mirror, che riconoscono i gesti compiuti dall'artista per creare l’opera e consentono di immedesimarsi emotivamente con gli stati emotivi dell’autore, attivando le stesse configurazioni cerebrali.

Web 2.0: il crescente utilizzo di internet e dei servizi di social-networking ha spinto ad inaugurare la versione italiana di MySpace.

OPG: le strutture, che in Italia ospitano circa 1200 pazienti, da settimana scorsa non ne accolgono più di nuovi. E' stata inoltre stabilita la chiusura di almeno tre dei sei centri presenti a livello nazionale.

comunicazione tra medico e paziente: un manuale viene incontro a tutti quei medici che non sanno come comunicare l’esito degli esami diagnostici ai propri pazienti, ma anche epr tutti qui medici che non attuano delle accortezze nei confronti dei propri pazienti, che possono rendere la comunicazione di un male incurabile, meno traumatica. E nato il ‘Manuale di valutazione della comunicazione in oncologia’.

marketing: un nuovo approccio psicologico al consumo. E’ il Retail-design, che consiste nella progettazione e creazione di punti vendita, appositamente studiati e strutturati in modo tale che favoriscano l’acquisto.


Vi abbiamo inoltre informato dell’organizzazione di due convegni. Il primo si è svolto presso l’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e si è occupato della psicologia della comunicazione, con interventi di esperti provenienti da ambiti diversi, ha voluto compiere una panoramica sui fenomeni comunicativi. Il secondo sempre organizzato dall’Università milanese è intitolato “Minori e internet” e prevede la trattazione del problema dal punto di vista psico-pedagogico.



foto by mythlady

venerdì 1 giugno 2007

PSYCO-FLASH: CONVEGNO INTERNET E MINORI

Oggi presso l’Università Cattolica di Milano si svolge un seminario dal titolo “Minori ed Internet”, organizzato dal Dipartimento di Psicologia. L’incontro si svolgerà presso la sede di Largo Gemelli, nell’aula Negri da Oleggio dalle ore 10 alle ore 18.

L’approccio che verrà utilizzato per la trattazione del problema è di tipo psico-pedagogico: saranno infatti presenti esperti delle due diverse discipline.
Tra i docenti di si segnalano C. Scurati, A. Quadrino e L. Dilani, ma è prevista anche la presenza di altri settori disciplinari e di interventi esterni. Ad esempio: Caroselli, De Cindio, Montasio, Merlo e il presidente della Camera Minorile di Milano Dell’Oro.


Foto by ritoateo

I NEURONI MIRROR SI SPECCHIANO NELL’ARTE

La rivista Trends in Cognitive Sciences ha pubblicato una ricerca condotta da Vittorio Gallese e Giacomo Rizzolati. I due studiosi, già scopritori dei neuroni-mirror, spiegano ora come questi abbiano un ruolo principale nella fruizione di opere artistiche. Sarebbe infatti grazie alla loro azione che ci è possibile immedesimarci ed emozionarci davanti all’arte.

Il cervello, davanti all’opera d’arte, opera una serie di operazioni che permettono all’individuo non soltanto di cogliere la configurazione che ha di fronte, ma anche di immedesimarsi, rivivere, la scena rappresentata. Ciò vale sia per le opere pittoriche e scultoree realistiche, in cui il contenuto è ben definito e riconoscibile, sia per opere astratte, dove il tratto, o la forza dell’incisione (si veda la famosa tela di Fontana), permettono comunque una traslazione immedesimativa.

I neuroni-specchio permettono di riconoscere i gesti altrui, sia che siano reali, sia che siano raffigurati, attivando in noi le stesse connessioni emotive, cognitive e motorie come se il gesto venisse compiuto da noi stessi. È grazie a questo meccanismo dunque che “entriamo” nell’opera d’arte, la viviamo come attuale e come emotigena. Secondo l’ipotesi di Gallese, saremmo in grado di cogliere, oltre a quanto di visibile, anche i gesti di creazione che stanno dietro l’opera stessa, come il lavorio dello scalpello, o le pennellate di colore.

Si tratta per ora soltanto di ipotesi, ma che sembrano avere un futuro molto plausibile. D’altro canto le neuroscienze, e anche il loro innovativo interesse per l’arte, sembrano essere uno dei trend in maggiore affermazione nel 2007. come sempre, si invita alla prudenza e a ricordare che nessuna spiegazione, nella scienza, è mai esaustiva e definitiva. Le grandi scoperte si fanno anche collaborando.

Vedi anche il recente articolo sulla neuroestetica

Foto by drproblem