mercoledì 9 giugno 2010

BUONO A SAPERSI

Il successo riproduttivo dell'uomo segue le leggi naturali e dipende in buona misura dalla salute fisica dei due partner. Tuttavia un ricerca recente condotta da tre importanti università dimostra che esiste un'ulteriore incidenza dovuta ai fattori di personalità.
La rivista Proceedings of the National Academy of Sciences ha infatti pubblicato uno studio in collaborazione tra l'University College di Londra, l'Università di Shieffield e l'Università di Helsinki.
Dai risultati sperimentali emerge che specifiche caratteristiche di personalità sono favorevolmente correlate alla fertilità. Nello specifico gli uomini estroversi hanno maggiori probabilità di avere una prole numerosa, come già affermato dagli studi evoluzionisti riguardo alla tendenza da parte del genere maschile di diffondere quanto più possibile le proprie caratteristche per garantire la sopravvivenza della specie.
Più ambigua è invece l'affermazione che per le donne sarebbe la personalità nevrotica a favorire il tasso di natalità. Al di là della necessità di definire in termini precisi cosa si intenda per personalità nevrotica, o piuttosto per tratti di nevroticismo, sembra insolito che una situazione patologica e ricca di stressor possa indurre a condizioni maggiormente favorevoli alla riproduzione.

Incontro sulla salute mentale: Da Basaglia ai giorni nostri

Domani a Roma presso il Senato si svolgerà l'incontro Cosa non serve oggi alla salute mentale organizzato dalla Fondazione Franca e Franco Basaglia e le associazioni AReSaM, Cgil, UNASam, Forum salute mentale e Legambiente.
L'occasione è stata istituita per discutere la rappresentazione della salute mentale, anche rispetto alla normativa attuale e alla sua possibile revisione. E' oggi quanto mai importante definire le risorse da impiegare e le professionalità autorizzate ada agire sui temi.
All'incontro interverranno esponenti della politica e delle rispettive associazioni tra cui si segnalano Livia Turco, Massimo D'Alema, Alberta Basaglia e Giovanna Del Giudice.

venerdì 16 ottobre 2009

CONNECTIVITY: ANSIA E IT

L'istituto inglese The Future Laboratory ha indagato il legame tra ansia e connessione telematica. dalla ricerca emerge che due terzi degli utenti si sentono maggiormente sicuri se hanno la possbilità di conntersi a Internet, sia come tramite computer che tramite device mobili. L'ansia, reazione adattiva in caso di pericolo, si manifesterebbe invece in mancanza di connettività, soprattutto nel caso di mancanza di contatto digitale con la famiglia ( figli, coniuge...) Tuttavia anche la "google addiction" contribuisce a innalzare il livello di stress, se ci si ritrova in situazioni sconosciute o problemetiche viene vissuto come ansiogeno il non poter ricorrere alla consultazione delle pagine web. Lo psicologo James Brook distingue tuttavia due tipologie di persone: gli ansiogeni da non connessione e invece chi si sente libero e non oppresso proprio dalla mancanza di reperibilità, che nelle vite quotidiane è diventata la norma. La net-dipendenza intesa come assorbimento dal mondo virtuale interessa ormai quasi il 4% dei soggetti studiati, anche se i picchi più alti si registrano nei paesi asiatici e oltreoceano, negli USA. Sembra sempre più vicina lìipotesi di rehab per internet dipendenti anche in italia, soprattutto per quegli adolescenti ormai assorbiti dalla socialità cibernetica e incapaci di vivere altrove una vita reale, con conseguenti possibili disturbi comportamentali.

venerdì 24 luglio 2009

PSYCHO-FLASH: CREDERE ALLE COINCIDENZE

In vista delle vostre letture estive vi segnaliamo il libro Nulla succede per caso di R. H. Hopcke che illustra in modo approfondito e con un'ottica originale il senso delle coincidenze nella vita.
L'autore seguendo un'ottica di lettura Junghiana mette in luce come le coincidenze che spesso ci accadono nella vita non siano dovute a mera fatalità ma dipendano invece da un inconscio collettivo, che tutti gli uomini condividono e che fa sì che le persone possano entrare in sintonia al momento giusto con l'individuo giusto.
Questo accade non soltanto in positivo, quando ci sentiamo più legati agli altri, ma anche quando vorremmo per vari motivi allentare il legame con altri, emergono eventi in grado di ricordarci i nostri legami con gli altri
Il significato e la struttura che gli eventi hanno fanno sì che si possa instaurare una sincronicità: da un semplice incontro casuale asce così un evento significativo che possiede rilevanza emotiva.
Per Jung i simboli hanno un forte potere nella vita dell'uomo, e tra di essi n archetipo è sicuarmente l'Amore che, come tutti possiamo ben immaghinare,è altamente esplicativo di come semplici coincidenze possano mutare il corso della nostra vita
Sperando di avervi passto un po' di curiosità psicologica verso l'argomento, aspettiamo le vostre riflessioni post-lettura!
Foto by Gettyimages

LA DIPENDENZA MENTALE DEL FUMO

Studi e ricerche sui fumatori sono numerosi e purtroppo molto spesso si tratta di metodi pseudo-medici di ordine miracoloso che rendono l'argomento ancora più fumoso.
In tempi in cui gli effetti nocivi sulla salute sono di dominio publico, vale la pena interrogarsi su cosa davvero spinge i tabagisti a non perdere il vizio. Ci viene in aiuto un recente studio di Psicofarmacologia.
La dipendenza da sigaretta è prima di tutto un fattore di contenuto: la nicotina è una sostanza stimolante che crea dipendenza fisica inducendo le persone a continuare nel consumo e ad aumentarne progressivamente la quantità di fronte alla diminuizione dell'appagamento e all'assuefazione del fisico alla sostanza.
La nicotina è uno stimolante derivato dal tabacco che agisce direttamente sui neurotrasmettitoori, innalzando il livello di produzione della dopamina. L'aumentare delle concentrazioni di quest'ultima provoca una sensazione di benessere difuso, di appagamento e piacere, tuttavia un costante livello più alto della media porta a malattie di vario ordine.
Chiarito quindi che la prima causa è fisica, sappiamo che il potere stimolante di una sigaretta no è tale, come nel caso di droghe pesanti, a giustificare l'instaurarsi di una dipendenza anche se il basso contenuto di stupefacenti non dve eindurre al contrario alla sottovalutazione del rischio di non poterne più fare a meno.
Esistono tuttavia numerosi fattori psicologici che incidono sulla scelta o meno di tabagismo.
Secondo Matthew Palmatier che ha recentemente pubblicato un articolo su Neuropsychopharmacology il piacere non deriva dalla sigaretta in sè, ma dalle esperienze piacevoli che ad essa si accompagnano.
Non sarebbe il fumo la "causa" del poacere ma il legare l'atto di fumare a esperienze e contesti di vita piacevoli. Approfondendo tale punto il professore ha infatti notato come nella maggior parte dei casi il consumo di stupefacenti sia strettamente legato alla compagnia di persone specifiche o al trovarsi in posti particolari.
La sigaretta assume così il valore di un premio, al pari di un ben più innocuo gelato, che ci si concefde in situazioni di rilassatezza e che diviene poi imprescindibile perchè la compagnia di tale persona o il trovarsi nel medesimo posto siano ugualmente piacevoli.
Nelle affermazioni dello studioso americano è contenuto un terzo fattore implicato nel tabagismo, ovvero l'instaurarsi di un'abitudine automatica che ci porta a ripetere gesti e usi in situazioni simili così come giorno dopo giorno. Lo stesso fumare una prima sigaretta aumenta così la probabilità di fumarne una seconda.
Resta poi un ampio discors che si aggira intorno al valore sociale e personale della sigaretta, laddove i due termini spesso sono solo virtualmente distinguibili.
I fumo come rito di passaggio o conferma della propria identità è ancora fortmente presente nell'età adoloescenziale, così come un contesto sociale eccessivamente permissivo o al contrario restrittivo son fattori facilitanti la scorretta abitudine.
Foto by Gettyimages