mercoledì 28 febbraio 2007

TELEVISIONE, ANCORA UN MALE

Lo psicologo Aric Sigman, in un recente articolo apparso su Biologist, sintetizza i risultati di più ricerche, evidenziando come l’eccesso di televisione provochi disturbi fisici e psicologici di elevata entità. A distanza di anni dalla sua nascita la televisione suscita ancora ansie e timori che si rivelano di giorno in giorno sempre più fondati; vale la pena prenderli in esame.

I problemi di salute che si riscontrano sono senza dubbio quantitativamente maggiori nei giovani, e comprendono miopia e in generale disturbi della vista; soprappeso, se non addirittura obesità; insonnia e, anche se in misura statisticamente non significativa (presenza di sole correlazioni), diabete e cancri.
Non soltanto, si associano anche disturbi psicologici, primo fra tutti la riduzione dell’autostima e dell’immagine positiva di sé, insieme ai correlati psichici delle malattie sovracitate. Non manca inoltre l’incidenza della sindrome artistica.
Anche la popolazione anziana è a rischio con un significativo aumento di casi e un abbassamento dell’età di insorgenza di sindromi degenerative, tra cui in primis l’Alzheimer, in base al numero di ore trascorse davanti all’apparecchio.

La causa risiede nello squilibrio che la visione continuativa e abituale della televisione comporta nella regolazione della melatonina, sostanza che regola i ritmi del corpo e nello specifico il ciclo sonno-veglia, da cui le deriva appunto la denominazione di “ormone del sonno”.
La melatonina inoltre, come emerge da ricerche precedenti, gioca un ruolo, sebbene non ancora del tutto definito, nella maturità sessuale: ecco perché Sigman ritiene che la tv sia causa anche della precocizzazione della pubertà.

Gli effetti negativi sussistono indipendentemente dai contenuti, in quanto derivano dal fissare uno schermo luminoso con immagini in movimento, e sono più pervasivi al di sotto dei tre anni. I dati risultano impressionanti se si pensa che un bambino di sei anni ha già trascorso l’equivalente di un anno di vita davanti alla televisione.

La puntualizzazione fatta dallo psicologo invita i genitori a riflettere sull’educazione dei figli e la gestione del loro tempo libero, ma interroga anche la società sulle alternative effettivamente praticabili che vengono offerte ai bambini di oggi. E ancora, se la negatività dipende dal supporto, anche altre tecnologie, il computer per primo, presentano le stesse caratteristiche: anche loro devono venire ridotti? E soprattutto, basterà una riduzione e un mutamento della cultura intrafamiliare laddove la società spinge sempre più verso un utilizzo diffuso dei media?
Domande inquietanti che richiedono che psicologia, scienza ed etica dialoghino tra loro per la prevenzione dei rischi.

Foto by Kruder396

PSICO FLASH: CERVELLO DA GALLINA?

Presso il Palladium di Roma (Università di Roma Tre), fino al 2 marzo, i maggiri esperti di mente e cervello propongono ricerche, discussioni e suggestioni sulle capacità cognitive di uomo e primati.

Le capacità percettive, le operazioni cognitive e le capacità intellettive sono sì sviluppate in modo massivo nell’uomo, ma risiedono anche nelle altre specie animali, filogeneticamente legate a noi.
Così studiosi del calibro di Elisabetta Visalberghi e Giorgio Vallortigara, esponenti del Cnr, indagano le basi neuroanatomiche di galline e cebi per comprendere fin dove arrivino le loro competenze cognitive, ed insieme scoprire la basi delle nostre capacità affinatesi nel tempo.

Foto by roperman

FENOMENI SOCIALI EMERGENTI: IL MOBBING

Lo stare in relazione dell’uomo è una caratteristica inscindibile dal suo essere, così come lo è la comunicazione con gli altri; tuttavia spesso queste forme del convivere umano assumono toni di patologia e disturbo del benessere. Uno di questi è rappresentato dal mobbing, fenomeno di recente teorizzazione, ma assai radicato. Consiste nella creazione di un ambiente ostile attorno ad un dato soggetto, all’interno dell’ambito lavorativo, anche se è potenzialmente attuabile in una molteplicità di contesti.

Il mobbing può essere definito come abuso psicologico consistente in ostracizzazione, vessazione e persecuzione di un dipendente sul suo posto di lavoro, ma anche fuori. Nasce in ambito etologico, soprattutto nell’ornitologia, con Lorenz che indica con questo fenomeno l’allontanamento di un membro dal gruppo, in modo aggressivo e rumoroso; trova la prima applicazione in ambito psicologico con Leymann.
Oggi Luciano Pastore, psicologo e psicoterapeuta, esperto in psicosomatica e disagio lavorativo, pubblica un volume sul fenomeno mobbing. Partendo da esperienze concrete, in parte personali, arriva a delineare le caratteristiche del fenomeno, tramite l’indicazione di criteri specifici che ne permettono diagnosi e valutazione differenziale rispetto ad altri problemi analoghi. La riflessione riguarda sia aspetti di metodo che teorici, da un lato infatti ci si scontra con la difficoltà di una definizione operativa e la criticità della scelta degli strumenti per la rilevazione; dall’altro vengono ipotizzate possibili cause scatenanti, sia sul versante individuale che su quello più ampio delle relazioni sociali.

Il problema, sviscerato nelle sue componenti essenziali può così essere curato dal punto di vista clinico, tramite appositi strumenti e training. La parte applicativa prevede sia il campo vasto e allargato della prevenzione, sia il trattamento individuale, compresi specifici strumenti come questionari mirati (test di Wartegg e Q.R.P.C.L.).

L’osservazione e l’analisi dei legami tra le persone e dei motivi per cui nascano antipatie, rifiuti e violazioni al benessere di ciascuno sono un tema che merita sempre più attenzione, in vista di una società aperta e disponibile nei confronti di ideologie e culture diverse. Non solo, l’accettazione delle differenze e la riflessione sulle proprie resistenze non è solamente fattore di cambiamento verso gli altri, ma anche di ristrutturazione e accrescimento delle risorse proprie di ognuno.

Per saperne di più:
Luciano Pastore, Il fenomeno del mobbing. Aspetti psicologici e strumenti di ricerca-intervento, Roma 2006
foto by Luca

domenica 25 febbraio 2007

LEGGERE IN ANTICIPO LE INTENZIONI DELLE PERSONE: UNA MACCHINA E' IN GRADO DI CODIFICARLE


E’ stato messa a punto una macchina in grado di decifrare in anticipo le intenzioni di una persona. Lo studio è stato condotto dal team di J.D. Haynes e recentemente pubblicato sulla rivista “Current Biology”.


Presso l’istituto Max Planck per le Scienze cognitive e il Cervello in Germania, il gruppo di neuroscienziati di John-Dylan Haynes, ha messo a punto una macchina in grado di decifrare in anticipo con il 70% della precisione le intenzioni delle persone. L’impresa fantascientifica è stata possibile grazie alla messa a punto di complessi programmi informatici, sviluppati in collaborazione con ricercatori dell’University London College e dell’università di Oxford. La macchina si basa sullo scanning cerebrale ad alta risoluzione, che mostra sul nascere i processi mentali.


L’esperimento è stato effettuato su otto volontari a cui era chiesto di effettuare dei calcoli aritmetici. I soggetti dovevano scegliere se sottrarre o addizionare a loro piacimento due numeri, senza riferire le proprie intenzioni, quindi effettuare i calcoli solo mentalmente. Attraverso lo scanning cerebrale, i ricercatori erano in grado di prevedere in anticipo ed accuratamente il calcolo (addizione o sottrazione) che il soggetto aveva scelto di svolgere con una precisione del 70%.

I risultati ottenuti risultano molto entusiasmanti, soprattutto per l’incessante e progresso delle scienze e delle tecniche, che potrebbero addirittura consentire in un prossimo futuro di leggere pensieri astratti delle persone.
Inoltre Haynes sottolinea che i dati raccolti “hanno dimostrato che le intenzioni non sono codificate in neuroni singoli, ma in una struttura spaziale di attività cerebrale. Le intenzioni sono immagazzinate nella parte anteriore del cervello e per l'esecuzione devono essere 'copiate' in una regione differente, più indietro".

Le scoperte del team dell’istituto Max Planck senza dubbio introducono delle innovazioni per accertare la credibilità dei testimoni nelle aule giudiziarie. Tuttavia prospettare un futuro fantascientifico, come quello messo in scena da molti film, sembra piuttosto irrealistico e piuttosto lontano. I risultati del professor Haynes, sebbene entusiasmanti, sono comunque da collocare all’interno di un paradigma di ricerca in cui le operazioni mentali svolte erano piuttosto semplici. Non è, infatti, prevedibile se lo strumento sviluppato sia altrettanto accurato nel caso di pensieri mentali più complessi e caratterizzati da molteplici livelli di intenzioni tra loro sovrapposti.
Infine, queste avveniristiche scoperte aprono il campo di discussione dell’etica, come lo stesso Haynes auspica.
foto by Noek

mercoledì 21 febbraio 2007

DEPRESSIONE COME RICHIESTA D'AIUTO


Nuova interpretazione alla depressione. Secondo lo psichiatra J. Anderson Thomson jr non è da leggere come una patologia da curare, ma come una strategia comportamentale per ottenere attenzioni da parte dei familiari e che può avere degli esiti positivi.


Lo psichiatra j. Anderson Thomson ha condotto presso l’Università della Virginia uno studio sulla depressione, recentemente pubblicato sul “Los Angeles Times”. La ricerca è partita dall’analisi di un caso clinico dello stesso Thomson. Il caso riguardava una ragazza iscritta al college, protagonista di ripetuti episodi di autolesionismo e pensieri suicidari. Tali comportamenti depressivi, non si verificarono più in seguito al cambio di facoltà ed ad una ritrovata complicità con i genitori. Il comportamento della ragazza è stato letto dal ricercatore come meccanismo evolutivo. “qualche anno fa – dice Thomson – avrei interpretato la depressione della ragazza come rabbia rivolta all’interno, ma ora mi rendo conto che potrebbe trattarsi ‘semplicemente’ di un modo contorto per segnalare l’infelicità ai suoi cari”.


Nell’ottica della psicologia evolutiva la depressione è dunque da leggere come comportamento con possibili risvolti positivi. D’altra parte sono molti i comportamenti di cui la psicologia evolutiva enfatizzi i benefici piuttosto che definirli definitivamente come condizioni patologiche.
Sempre riguardo la depressione anche lo psicologo tedesco Edward H. Hagen della Humboldt University di Berlino, la descrive come una complessa tattica per attirare l’attenzione e l’affetto degli altri. I comportamenti tipici della depressione sarebbero dunque manipolatori e immersi in una specifica strategia per ottenere cure e supporto altrimenti non ottenibile.


Le ricerche rivalutano i meccanismi depressivi. Tuttavia non emerge chiaramente se questa ipotesi sia valida per tutti i casi e per tutte le fasce d’età. Non spiegano infatti il perché alcune persone scelgano questi comportamenti apparentemente disadattivi, mentre molti altri riescono ad attrarre l’attenzione degli altri senza bisogno di tentati suicidi o comportamenti autolesionistici.
foto by Vickyck

mercoledì 7 febbraio 2007

"THE DIGITAL LIFE", ricerca sull'impatto delle nuove tecnologie sulla vita familiare


L’impatto delle nuove tecnologie sulla vita familiare, relazionale e sociale di bambini e adolescenti è stato analizzato dalla recente ricerca chiamata “The digital family”, condotta negli Stati Uniti. Lo studio sulle abitudini delle giovani famiglie americane ha evidenziato tendenze verso le innovazioni tecnologiche che determinano un cambiamento nella struttura stessa della famiglia, negli stili comunicativi, di intrattenimento e nell’educazione.

La ricerca “The digital Family”, commissionata dalla Nickelodeon (di proprietà della MTV Networks) e recentemente pubblicata sul Wall Street Journal, si proponeva di analizzare l’influenza delle nuove tecnologie sulle famiglie americane e sugli stili educativi. E’ stata condotta tra settembre e dicembre 2006, intervistando i genitori di bambini fino a 14 anni di età e i bambini stessi tra i 6 e i 14 anni, ponendo domande riguardo l’uso di televisione, registratori, internet, cellulari, videogames e lettori mp3.
Le tecnologie maggiormente utilizzate e che incidono fortemente sulle abitudini familiari sono il televisore, il computer, cellulare e lettore mp3. I risultati mostrano che nonostante il continuo aumento delle connessioni Internet, la rete non ha ancora preso il posto della televisione. La tv infatti viene ancora utilizzata per rilassarsi, come intrattenimento e troppo spesso come babysitter.
La rete tuttavia occupa moltissime delle ore libere delle famiglie americane (una media di 33 ore al mese): viene utilizzato non solo per terminare il lavoro a casa, ma spesso come strumento utilizzato per creare e mantenere le amicizie, anche a distanza.

Oltre a questi cambiamenti nelle abitudini, le nuove tecnologie hanno di fatto preso il posto di altre conoscenze. Le famiglie tendono a non considerare più necessario saper leggere mappe stradali, giornali stampati, fare lo spelling corretto delle parole, utilizzare dizionari e ricordare a memoria i numeri telefonici.
L’impatto delle nuove tecnologie era da tempo risaputo, e dalla ricerca emerge come troppo spesso le nuove tecnologie adesso, come da alcuni anni la televisione, vengano utilizzate come capro espiatorio. Infatti, accusare le nuove tecnologie per spiegare la perdita di interessi delle famiglie per conoscenze importanti per i bambini, sembra essere un po’ troppo riduttivo.
foto by ictpdpes

martedì 6 febbraio 2007

PSICOLOGIA E TECNOLOGIE

la copertina del libro

Francesca Alby, ricercatrice presso l’università la sapienza di Roma, presenta un nuovo libro sulle tecnologie e sulla loro influenza nella vita quotidiana e scientifica. Già autrice di "Gruppi e tecnologie al lavoro" e interessata al tema dell’interazione uomo-artefatti, pubblica per Carocci il volume “Le tecnologie nella vita quotidiana”.

La rilevanza delle tecnologie e la loro influenza vengono inquadrate sotto i due aspetti della psicologia e dell’ergonomia, evidenziando in entrambi i casi la mediazione che gli artefatti permettono in ambito individuale e sociale.
Se da un lato la focalizzazione è sullo sviluppo delle tecnologie e il loro progresso in termini storici, dall’altro vengono analizzati i risvolti empirici e pratici del loro impiego.
Il percorso narrativo evidenzia le fasi generali della progettazione tecnologica, mostrando anche episodi concreti.

Si sa che la vita umana è sempre più sottoposta alla tecnologizzazione in differenti ambiti, a partire dalla ricerca fino ai compiti formativi-educativi. Uno studio approfondito dei processi e delle caratteristiche delle tecnologie diventa allora un requisito necessario per operare e restare al passo con le acquisizioni moderne.

venerdì 2 febbraio 2007

IL NUOVO LIBRO DI HOWARD GARDNER

L’otto febbraio esce il libro “Cambiare idee” dello psicologo famoso per le teorie sulla creatività e le intelligenze multiple. Il volume esamina come sia possibile modificare le proprie cognizioni e come questo processo avvenga, anche alla luce di esempi di uomini famosi. Ma il libro è anche ricco di riferimenti alla quotidianità e alle esperienze di tutti i giorni.

Spesso le persone credono che per i cambiamenti sia necessario poco sforzo mentale e che addirittura alcune scelte avvengano in automatico. Tanto più lo sono coloro che si occupano di persuasione, una argomento che nel testo ha molta voce in capitolo.
Se da un lato Gardner ammette l’influenza determinante di personaggi divenuti storici, come la Thatcher e Mandela nella politica, Darwin e Freud nelle scienze, e Picasso e Stravinskji nelle arti, dall’altro ribadisce la lentezza e laboriosità di qualunque modificazione.
Le rivoluzioni, che prima di divenire pratiche devono essere mentali, avvengono gradatamente, per piccoli passi e seguono percorsi che possono essere identificati. Così come sono rinvenibili dei possibili agenti di cambiamento, analizzati analiticamente nel libro.

In qualunque modo lo si voglia pensare il cambiamento costituisce un fenomeno mentale di rilevante importanza e questo libro contribuisce a chiarire uno dei punti di vista sul dibattito attuale. Un punto di vista che, data la personalità dell’autore, vale la pena conoscere.

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foto della copertina del libro

PSICO-FLASH: NUOVO MENSILE DI PSICOLOGIA

È nato in questi giorni un nuovo magazine, che si occupa di psicologia e neuroscienze. “Mente e Cervello” è già presente in tutte le edicole. Resta ora da vedere se si consoliderà sulla strada delle ricerche scientifiche, sino a diventare una rivista di settore vera e propria.
La presentazione data dal direttore responsabile sembra dirigersi verso questa direzione: >.
foto by bastiart

giovedì 1 febbraio 2007

POCHE ESPERIENZE, RISCHI MAGGIORI


foto by haydn sweterlitsch

I più giovani rischiano più degli adulti a causa delle scarse esperienze con cui confrontare le situazioni. E’ quanto emerge dalla recente ricerca pubblicata su “Psychological Science” dagli psicologi Reyna e Frank, che ribaltano la classica teoria dell’irrazionalità giovanile.

I ragazzi sono spesso accusati di gettarsi a capofitto in situazioni rischiose, senza ragionarci troppo. In realtà i ricercatori Valerie Reyna, professoressa presso la Corlell University di Ithaca, e Frank Farley, docente di psicologia dell’educazione alla Temple University di Philadelphia, hanno evidenziato che i giovani impiegano più tempo nella decisione rispetto gli adulti. Infatti, i dati della ricerca rivelano un ritardo di circa 170 millisecondi nel processo di decisione degli adolescenti rispetto agli adulti. Contrariamente a quello che si pensa, dunque, i ragazzi valutano attentamente i costi e i benefici di un comportamento, tuttavia finiscono spesso per adottare comportamenti o seguire abitudini rischiose. Perché i grandi pur decidendo più velocemente, riescono ad evitare i rischi? I giovani applicano un processo razionale ma che ha grossi limiti: non hanno infatti metri di paragone. Non seguono l’istinto, pregiudizio fortemente consolidato fino ad ora, ma incorrono in comportamenti potenzialmente dannosi anche per se stessi a causa delle scarse esperienze passate.

A questo “difetto” si aggiunge la tendenza degli adolescenti a sentirsi invulnerabili anche in situazioni difficili. Ma anche l’emulazione del gruppo, l’imitare gli amici è tra i motivi che porta i giovani ad adottare comportamenti rischiosi come lo skateboard o il bungee jumping.
E’ doveroso però ricordare come anche gli adulti non siano del tutto esenti da comportamenti rischiosi, anche se spesso riescono a sfuggirvi giungendo a conclusioni più caute grazie all’intuito derivante dall’esperienza.
La ricerca getta una nuova luce sulle possibilità di educare ad un processo decisionale più attento che faccia leva su motivazioni che facciano ragionare. Lo scopo deve essere quello di facilitare un processo decisionale più adulto.

La ricerca tenta di spiegare, dunque, i meccanismi alla base del processo di decision making degli adolescenti. Tuttavia sembrano essere ancora troppi i fattori intervenienti e troppo poco chiaro il peso di ciascuno.