La rivista Brain ha pubblicato uno studio condotto da Raffaella Rumiati su di una nuova modalità di diagnosticare l’aprassia. Si tratterebbe di una versione più accurata del comune test di De Renzi, rispetto al quale permetterebbe un’imitazione più complessa, a due vie.
L’aprassia deriva da una lesione dell’emisfero sinistro che impedisce, a chi ne sia colpito, di ricordare sequenze motorie elementari acquisite con l’esperienza. Anche i gesti più comuni, che normalmente compiamo in automatico, richiedono loro impegno cognitivo alto e attenzione costante.
Il test che tradizionalmente si usa perla diagnosi è stato creato da De Renzi nel 1980 e prevede la somministrazione di 24 gesti che si chiede al paziente di riprodurre.
Nel test proposto invece da Raffaella Rumiati, neuroscienziata cognitiva, la metodologia di somministrazione è la stessa, così come la richiesta di imitazione, ma c’è una selezione dei gesti da proporre sulla base di due differenti vie di elaborazione cerebrale.
L’imitazione può avvenire infatti in modo automatico, come ripetizione pura del gesto, o in modo consapevole, come recupero di informazioni immagazzinate in memoria sotto forma di script. Rumiati parla nel primo caso di via diretta, impiegata nelle azioni nuove, mentre nel secondo di via semantica, in quanto richiede il riferimento alla memoria semantica, appunto, ed è invece usata per le azioni note e routinarie.
Proponendo gesti dell’uno e dell’altro tipo possibile vedere se la lesione riguardi entrambe le modalità o soltanto una, mentre con il test tradizionale si tendeva ad elicitare esclusivamente una modalità di risposta di tipo diretta, rischiando di sovrastimare i danni.
Si tratta, a parere dell’autrice, di una ricerca molto interessante che mostra chiaramente come anche nelle situazioni note sia sempre possibile progredire verso il meglio. Il bello della scienza è di essere in continua evoluzione e, laddove questa vada a favore della cura, non si può che rallegrarsene.
L’aprassia deriva da una lesione dell’emisfero sinistro che impedisce, a chi ne sia colpito, di ricordare sequenze motorie elementari acquisite con l’esperienza. Anche i gesti più comuni, che normalmente compiamo in automatico, richiedono loro impegno cognitivo alto e attenzione costante.
Il test che tradizionalmente si usa perla diagnosi è stato creato da De Renzi nel 1980 e prevede la somministrazione di 24 gesti che si chiede al paziente di riprodurre.
Nel test proposto invece da Raffaella Rumiati, neuroscienziata cognitiva, la metodologia di somministrazione è la stessa, così come la richiesta di imitazione, ma c’è una selezione dei gesti da proporre sulla base di due differenti vie di elaborazione cerebrale.
L’imitazione può avvenire infatti in modo automatico, come ripetizione pura del gesto, o in modo consapevole, come recupero di informazioni immagazzinate in memoria sotto forma di script. Rumiati parla nel primo caso di via diretta, impiegata nelle azioni nuove, mentre nel secondo di via semantica, in quanto richiede il riferimento alla memoria semantica, appunto, ed è invece usata per le azioni note e routinarie.
Proponendo gesti dell’uno e dell’altro tipo possibile vedere se la lesione riguardi entrambe le modalità o soltanto una, mentre con il test tradizionale si tendeva ad elicitare esclusivamente una modalità di risposta di tipo diretta, rischiando di sovrastimare i danni.
Si tratta, a parere dell’autrice, di una ricerca molto interessante che mostra chiaramente come anche nelle situazioni note sia sempre possibile progredire verso il meglio. Il bello della scienza è di essere in continua evoluzione e, laddove questa vada a favore della cura, non si può che rallegrarsene.
foto by ..Mari..
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