Nell’ultimo numero di Clinical Psychology Review appaiono i risultati della ricerca sull’autolesionismo giovanile condotta da David Klonsky, professore di psicologia alla Stony Brook University di New York. L’autolesionismo non deriverebbe da ideazioni e tendenze suicidarie, ma sarebbe connesso alle sindromi depressive. E questo soprattutto nell’adolescenza.
La ricerca condotta da Klonsky inizia già cinque anni fa dall’interesse dello studioso per i comportamenti violenti autodiretti che in America (ma non solo) riguardano un numero sempre maggiore di adolescenti. Lo psicologo non esclude infatti una possibile influenza da parte dei media e degli idoli musicali/televisivi.
La novità della ricerca consiste nello svincolare questo tipo di comportamenti dalla volontà di suicidio, che nei giovani studiati da Klonsky non è presente, e nel legarli invece a stati depressivi e d’ansia.
Si tratterebbe di una sorta di strategia di coping attivata per far fronte e arginare i vissuti ansiogeni e deprimenti. Tale tendenza intrinseca, data dalla difficoltà di elaborazione delle difficoltà a livello inconscio, risulta poi aumentata dalla pubblicità di cui godono tali manifestazioni all’interno della cultura pubblica.
A parere dell’autrice parlare dell’autolesionismo come un’addiction che si sviluppa per imitazione e che non viene più abbandonata per una sorta di assuefazione come nel caso delle tossicodipendenze sembra eccessivo. L’influenza di esempi mediatici da sola non basta all’instaurarsi di una sindrome, non avendo di per sé effetto assoluto, così come probabilmente la predisposizione non è così preponderante.
Trattare questi disturbi in modo simile alle sindromi alimentari sembra invece avere maggiore possibilità di indagare il campo e pervenire a motivazioni esplicative reali. D’altronde è lo stesso Klonsky che proseguirà nella ricerca per rivedere in sensi nuovi e ulteriori i neonati risultati odierni.
La ricerca condotta da Klonsky inizia già cinque anni fa dall’interesse dello studioso per i comportamenti violenti autodiretti che in America (ma non solo) riguardano un numero sempre maggiore di adolescenti. Lo psicologo non esclude infatti una possibile influenza da parte dei media e degli idoli musicali/televisivi.
La novità della ricerca consiste nello svincolare questo tipo di comportamenti dalla volontà di suicidio, che nei giovani studiati da Klonsky non è presente, e nel legarli invece a stati depressivi e d’ansia.
Si tratterebbe di una sorta di strategia di coping attivata per far fronte e arginare i vissuti ansiogeni e deprimenti. Tale tendenza intrinseca, data dalla difficoltà di elaborazione delle difficoltà a livello inconscio, risulta poi aumentata dalla pubblicità di cui godono tali manifestazioni all’interno della cultura pubblica.
A parere dell’autrice parlare dell’autolesionismo come un’addiction che si sviluppa per imitazione e che non viene più abbandonata per una sorta di assuefazione come nel caso delle tossicodipendenze sembra eccessivo. L’influenza di esempi mediatici da sola non basta all’instaurarsi di una sindrome, non avendo di per sé effetto assoluto, così come probabilmente la predisposizione non è così preponderante.
Trattare questi disturbi in modo simile alle sindromi alimentari sembra invece avere maggiore possibilità di indagare il campo e pervenire a motivazioni esplicative reali. D’altronde è lo stesso Klonsky che proseguirà nella ricerca per rivedere in sensi nuovi e ulteriori i neonati risultati odierni.
foto by Nausica_FisherMan's
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