Il nuovo mercato dei videogiochi si muove in direzione della psicologia: le nuove consolle infatti si ispirano a test di intelligenza e di salute mentale e psicofisica. Tramite interazioni mirate, verbali o in 3D il giocatore viene guidato nella conoscenza di se stesso e delle proprie abitudini di vita. Ne sono esempi Nintendo DS e il gioco “Mind Habit Booster”.
La Nintendo ha commercializzato da poco il videogioco Brain Age, che fornisce una stima delle proprie capacità mentali tramite giochi di logica e calcoli matematici. Il nuovo obiettivo della casa è però “DS Therapy” (sul mercato in Giappone da maggio), che permetterà di valutare la propria salute mentale ed emotiva con domande molto simili ai test psicoattitudinali.
L’uso dei videogiochi come strumento di indagine e di riabilitazione però, oltre che da equipe composite come quella della casa di videogiochi, è un’ipotesi presente anche all’interno della ricerca psicologica in senso stretto.
M. Baldwin ha creato infatti il gioco Mind Habit Booster, basandosi sulle acquisizioni della psicologia sociale al fine di migliorare l’autostima del giocatore.
L’immagine che abbiamo di noi stessi dipende dalle interazioni quotidiane con l’ambiente e gli altri, ed è specialmente influenzata dalle interazioni ripetute (chiamate script nella psicologia cognitiva): per questo agire in un videogioco, la cui caratteristica è appunto quella della ripetitività delle situazioni modifica la valutazione di noi stessi. Ovviamente gli stimoli forniti devono essere adeguati e adatti a creare stati positivi.
Si possono fare due considerazioni. In senso negativo la manipolazione eccessivamente positiva potrebbe ingenerare complessi di inferiorità nel momento in cui nel mondo “reale” non si riescano a riscontrare le medesime sensazioni positive, con una sindrome di dipendenza simile alla Internet addiction.
In un senso più ottimistico invece la creazione di interfacce maggiormente piacevoli rispetto ai test paper and pencil e maggiormente interattive nei confronti dell’utente potrebbe facilitare la somministrazione dei classici test diagnostici ad un pubblico più giovane, così come dissimulare meglio lo scopo delle domande anche per il pubblico adulto. Si otterrebbe così un minor numero di risposte attese e una maggiore spontaneità di risposta.
Foto by Fintan
La Nintendo ha commercializzato da poco il videogioco Brain Age, che fornisce una stima delle proprie capacità mentali tramite giochi di logica e calcoli matematici. Il nuovo obiettivo della casa è però “DS Therapy” (sul mercato in Giappone da maggio), che permetterà di valutare la propria salute mentale ed emotiva con domande molto simili ai test psicoattitudinali.
L’uso dei videogiochi come strumento di indagine e di riabilitazione però, oltre che da equipe composite come quella della casa di videogiochi, è un’ipotesi presente anche all’interno della ricerca psicologica in senso stretto.
M. Baldwin ha creato infatti il gioco Mind Habit Booster, basandosi sulle acquisizioni della psicologia sociale al fine di migliorare l’autostima del giocatore.
L’immagine che abbiamo di noi stessi dipende dalle interazioni quotidiane con l’ambiente e gli altri, ed è specialmente influenzata dalle interazioni ripetute (chiamate script nella psicologia cognitiva): per questo agire in un videogioco, la cui caratteristica è appunto quella della ripetitività delle situazioni modifica la valutazione di noi stessi. Ovviamente gli stimoli forniti devono essere adeguati e adatti a creare stati positivi.
Si possono fare due considerazioni. In senso negativo la manipolazione eccessivamente positiva potrebbe ingenerare complessi di inferiorità nel momento in cui nel mondo “reale” non si riescano a riscontrare le medesime sensazioni positive, con una sindrome di dipendenza simile alla Internet addiction.
In un senso più ottimistico invece la creazione di interfacce maggiormente piacevoli rispetto ai test paper and pencil e maggiormente interattive nei confronti dell’utente potrebbe facilitare la somministrazione dei classici test diagnostici ad un pubblico più giovane, così come dissimulare meglio lo scopo delle domande anche per il pubblico adulto. Si otterrebbe così un minor numero di risposte attese e una maggiore spontaneità di risposta.
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