martedì 19 dicembre 2006

TERAPIE BREVI EFFICACI PER LA CURA DELLA DEPRESSIONE

L’American Journal of Pshychiatry ha pubblicato i risultati dello studio “Star*D” condotto in America nei sei anni scorsi: emerge che persone depresse ricavano maggior beneficio da terapie psicologiche rispetto ai farmaci, e che il valore di questi ultimi va di molto ridimensionato.

La depressione è una malattia grave, soggetta al rischio di recidive e che sappiamo subirà un notevole incremento nei prossimi anni. Attualmente si trova già al quarto posto nella spesa sanitaria nazionale (593 milioni di euro nel 2005), nonostante ciò in Italia mancano posti ambulatoriali e in generale in ospedale per la cura della malattia. Le stesse Asl hanno difficoltà nella cura dei pazienti depressi.

La depressione è multicomponenziale: nasce da fattori biologici, psicologici e ambientali. È caratterizzata da tristezza cronica, associata a pianto frequente, disturbi del sonno e dell’alimentazione, ipo motricità, idee negative e sensi di colpa. Richiede pertanto approcci di cura diversificati.

Lo studio ha come obiettivo verificare l’efficacia dei farmaci antidepressivi, ma offre anche spunti per cure di tipo psicologico e di miglioramento della qualità di vita.
I soggetti vengono trattati inizialmente con Ssri (anti-riassorbimento della serotonina): tre su dieci guariscono, gli altri continuano le cure. L’elemento insolito è la libertà di scegliere se continuare ad assumere l’Ssri, o un altro farmaco con lo stesso principio o uno totalmente diverso.
La scelta può essere ripetuta per quattro volte. Alla fine solo sei pazienti sono guariti, mentre ci sono state ricadute tanto più numerose, quanti più sono stati i trattamenti. In media ritornano in depressione un soggetto su due.

Le conclusioni, sebbene scoraggianti, mostrano che è comunque possibile ripetere i trattamenti fino alla remissione completa e che non si deve necessariamente variare il farmaco. A parere dell’autrice la terapia farmacologia è utile laddove la gravità del caso la richieda, mentre si auspica un utilizzo limitato, e se possibile nullo, in concomitanza con terapie psicologiche. I dati mostrano che così il rischio di ricadute passa dal 90 al 40%.

Le cure psicologiche più efficaci risultano non tanto l’analisi di tipo freudiana, data la difficoltà di prescrizione (il paziente potrebbe avere giustificate resistenze verso una cura tanto intima) e le difficoltà economiche dovute alla durata, ma le terapie brevi. Queste si focalizzano sulle relazioni e sui meccanismi cognitivi distorti (pensieri negativi), senza indagare la cause profonde. Nello specifico si trovano:


  • Terapia cognitivo-comportamentale: lavora sul doppio livello di modificazione dei pensieri e del comportamento, fornendone di più funzionali;
  • Terapia interpersonale: mira alla ripresa delle relazioni perse e ad una migliore gestione delle stesse;
  • Terapia del benessere: aiuta la creazione e il riconoscimento di momenti di well-being;
  • Terapia della mindfulness: meno psicologica, abbina al trattamento cognitivo pratiche di rilassamento corporeo.

Si nota finalmente una presa in carico del problema dal punto di vista psicologico all’interno delle politiche nazionali (ne è esempio la Gran Bretagna), ma a parere dell’autrice non bisogna puntare sulle terapie brevi solo perchè efficaci nell’ottica gestionale pubblica. Altri orientamenti potrebbero risultare maggiormente fruttuosi e mi auguro che si possa tenere aperto un doppio binario dove la sperimentazione si affianchi alla cura, cosicché non si propini la periodica panacea e non si applichino trattamenti inadatti al soggetto. Quando si lavora con la psiche delle persone il centro dell’attenzione dev’essere il singolo e non le logiche (utilitaristiche) in cui è immerso.

foto by Pictionary

Nessun commento: