lunedì 11 dicembre 2006

PSICOTERAPIA COGNITIVA E PREVENZIONE DEL CRIMINE

Secondo una recente scoperta dell’Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra, la propensione a commettere crimini cruenti sarebbe correlata con un deficit cognitivo.
Nello specifico si tratterebbe di un’incapacità nel processamento dei feedback della vittima. Gli aggressori non sarebbero in grado di recepire gli indicatori vocali e mimico-facciali di paura come tali, non risultano perciò indotti a frenarsi.
Valutati inoltre alla scala “Hare Psychopathy Checklist” mostrano frequenti agiti incontrollati, mancanza di senso di colpa o rimorsi.


Lo studio è stato condotto su un campione di 6 soggetti accusati di tentato omicidio e di aggressione con lesioni, cui venivano mostrati volti di persone impaurite.
Nei soggetti viene rilevata, tramite risonanza magnetica, attivazione minore delle aree deputate alla percezione del dolore altrui, rispetto al gruppo di controllo. Nei confronti della vittima avvengono una disumanizzazione (la persona diviene oggetto) e una dispercezione (connessione e valutazione errata di determinati segnali percettivi-sensoriali).

La causa scatenante il comportamento criminale, dice Tom Fahy, uno degli autori dello studio, resta però ancora in discussione.
Secondo alcuni si tratterebbe di un deficit con trasmissione genetica-ereditaria, mentre per altri pare maggiormente accreditata l’ipotesi esperienziale: aver subito violenze e deprivazioni o averne commesse di previe desensibilizza l’aggressore.

In attesa di ulteriori risultati una psicoterapia cognitiva può agire sulla disposizione mentale del soggetto e sull’eventuale associazione stimolo-risposta aggressiva instauratasi. Il vero passo da compiere è però agire non solo sulla restituzione di consapevolezza prima e durante l’atto, ma soprattutto interrompere il passaggio all’atto, anche con un’attenzione al contesto scatenante.

(foto by woodgate)

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