mercoledì 13 dicembre 2006

AUTISMO E DIMENSIONI DELL’AMIGDALA

by Bergeronnett

La University of Wisconsin negli Stati Uniti ha condotto uno studio pilota al fine di individuare la presenza di un possibile legame tra amigdala e la patologia autistica.
L’autismo è un disturbo generalizzato dello sviluppo, caratterizzato da gravi deficit relativi alle aree della comunicazione/interazione con l’altro e del comportamento, che si presenta come ripetitivo e fortemente stereotipato. Il funzionamento intellettivo può essere compromesso (ritardi mentali), o mantenere aree di efficienza elevata (solitamente espressa in straordinarie capacità artistiche o logico-matematiche).

Abbandonata l’affascinante ipotesi psicoanalitica (Bettelheim in primis) del ritiro del bambino nel suo mondo a fronte di un ambiente frustrante e di carenze affettive ed empatiche da parte dei care-giver; la ricerca si è orientata verso ipotesi organiche e neurali. L’ipotesi prevalente è che l’amigdala sia sovrastimolata e che questo eccesso porti alla morte delle cellule nervose del cervello. Tanto maggiore è la stimolazione, tanto più gravi sono i sintomi che il soggetto presenta.

Dallo studio attuale, condotto da Richard Davison e colleghi, emerge che le dimensioni dell’amigdala sono rilevanti: quanto più è piccola, maggiore è l’intensità del disturbo, ipotesi che si affianca a quella della sovrastimolazione, senza contraddirla.

L’esperimento condotto consiste di due momenti: uno di rilevazione della grandezza dell’amigdala, l’altro dei tempi di contatto oculare. Questa variabile è indicativa perché una difficoltà tipica degli autistici consiste nel sostenere lo sguardo diretto verso una persona (in questo caso si tratta di riproduzioni di volti esprimenti un’emozione).
I risultati mostrano che dimensioni minori dell’amigdala sono correlate a tempi di fissazione più brevi e evidenziano anche che la grandezza tende a diminuire con l’avanzare dell’età del soggetto. I dati sono ancora in fase di sperimentazione, ma è facile intravederne da subito impieghi nella diagnosi tempestiva del disturbo.


L’esperimento è stato pubblicato dalla rivista The Archives of General Psychiatry.

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