L’emetofobia consiste nella paura di vomitare o di vedere gli altri farlo e si correla con altri disturbi. Legata alla sfera dell’ansia, da cui origina per ragioni ancora sconosciute, può diventare causa di disturbi alimentari. Poco conosciuta è però un male assai diffuso tra le persone che una volta affetti faticano a condurre una vita normale e molto spesso si vergognano di un timore tanto “sciocco”. Ecco le sue caratteristiche.
L’insorgenza del disturbo si colloca nella maggior parte dei casi nell’adolescenza, anche se vi sono casi che esordiscono solamente in età adulta, per i più svariati motivi. Solitamente si riconduce la causa a un episodio traumatico vissuto, sia relativo al tema del vomito stesso (malattie, intossicazioni…), sia relativo a esperienze che si desidera inconsciamente rigettare e mantenere insieme.
I sintomi sono costituiti da una forte ansia, si anticipatoria che successiva all’episodio, che sfocia spesso in episodi e attacchi di panico. Si provano sensazioni di soffocamento, di impotenza, di irrigidimento e persino timore di morire. Tali manifestazioni si accentuano quando l’esperienza viene vissuta in solitaria, mentre diminuiscono se in compagnia di persone care o familiari. La presenza di altri individui non è però sempre un fattore facilitante, anzi il trovarsi in situazioni sociali e soprattutto in quelle dove è necessario dare una buona immagine di sé (riunioni, appuntamenti di lavoro o personali) aumenta l’ansia, dato che si teme la brutta figura che un episodio di nausea comporterebbe.
Il timore porta all’evitamento di tutte quelle situazioni in cui l’attacco potrebbe verificarsi: dapprima si rinuncia a luoghi clinici o dove sono presenti bambini, si passa poi a situazioni meno tematiche fino a che tutto l’ambito vitale ne viene compromesso: non si esce a cena, non si pranza nelle mense e così via. Ci sono serie conseguenze: vengono evitati farmaci e visite mediche, per i possibili effetti collaterali espettoranti, con seri rischi e complicazioni per la salute; le donne rinunciano ad intraprendere una gravidanza per le nausee ad essa connesse e per l’incapcità di gestire i successivi malesseri del nascituro.
Le occasioni sociali, abbiamo visto, si riducono, ma anche i contatti con conoscenti e amici vengono a mancare perchè si instaura il timore di essere contagiati: virus e bacilli sono visti come nemici mortali. Si sviluppa un’ossessione verso l’igiene e la pulizia, che raggiunge livelli anormali: frequentissime abluzioni, attento ponderaggio di cibi potenzialmente a rischio. Ecco che insorgono possibili disturbi alimentari.
Certi alimenti vengono sistematicamente evitati, creando carenze nutritive, ma anche la quantità del cibo viene notevolmente ridotta, in casi gravi fino alla quasi nullità, creando il terreno fertile per l’instaurarsi di una patologia anoressica.
Le cure si basano principalmente su farmaci e psicofarmaci (dei quali il soggetto spesso abusa, se non controllato), o sulla terapia psicoanalitica. In ogni caso una cura psicologica, comportamentale o di altro genere, da sola o in concomitanza col trattamento farmacologico, sembra essere la soluzione migliore. Potersi confrontare con una persona competente, che riconosca la gravità del fatto senza liquidare l’ assurda paura con il “ma vomitano tutti, non fare il bambino!”è un aiuto irrinunciabile, tanto meglio se il confronto si estende anche a chi soffre dello stesso male grazie a gruppi di auto-mutuo aiuto o semplicemente a contatti presso le strutture di cura.
Foto by OkayPro
L’insorgenza del disturbo si colloca nella maggior parte dei casi nell’adolescenza, anche se vi sono casi che esordiscono solamente in età adulta, per i più svariati motivi. Solitamente si riconduce la causa a un episodio traumatico vissuto, sia relativo al tema del vomito stesso (malattie, intossicazioni…), sia relativo a esperienze che si desidera inconsciamente rigettare e mantenere insieme.
I sintomi sono costituiti da una forte ansia, si anticipatoria che successiva all’episodio, che sfocia spesso in episodi e attacchi di panico. Si provano sensazioni di soffocamento, di impotenza, di irrigidimento e persino timore di morire. Tali manifestazioni si accentuano quando l’esperienza viene vissuta in solitaria, mentre diminuiscono se in compagnia di persone care o familiari. La presenza di altri individui non è però sempre un fattore facilitante, anzi il trovarsi in situazioni sociali e soprattutto in quelle dove è necessario dare una buona immagine di sé (riunioni, appuntamenti di lavoro o personali) aumenta l’ansia, dato che si teme la brutta figura che un episodio di nausea comporterebbe.
Il timore porta all’evitamento di tutte quelle situazioni in cui l’attacco potrebbe verificarsi: dapprima si rinuncia a luoghi clinici o dove sono presenti bambini, si passa poi a situazioni meno tematiche fino a che tutto l’ambito vitale ne viene compromesso: non si esce a cena, non si pranza nelle mense e così via. Ci sono serie conseguenze: vengono evitati farmaci e visite mediche, per i possibili effetti collaterali espettoranti, con seri rischi e complicazioni per la salute; le donne rinunciano ad intraprendere una gravidanza per le nausee ad essa connesse e per l’incapcità di gestire i successivi malesseri del nascituro.
Le occasioni sociali, abbiamo visto, si riducono, ma anche i contatti con conoscenti e amici vengono a mancare perchè si instaura il timore di essere contagiati: virus e bacilli sono visti come nemici mortali. Si sviluppa un’ossessione verso l’igiene e la pulizia, che raggiunge livelli anormali: frequentissime abluzioni, attento ponderaggio di cibi potenzialmente a rischio. Ecco che insorgono possibili disturbi alimentari.
Certi alimenti vengono sistematicamente evitati, creando carenze nutritive, ma anche la quantità del cibo viene notevolmente ridotta, in casi gravi fino alla quasi nullità, creando il terreno fertile per l’instaurarsi di una patologia anoressica.
Le cure si basano principalmente su farmaci e psicofarmaci (dei quali il soggetto spesso abusa, se non controllato), o sulla terapia psicoanalitica. In ogni caso una cura psicologica, comportamentale o di altro genere, da sola o in concomitanza col trattamento farmacologico, sembra essere la soluzione migliore. Potersi confrontare con una persona competente, che riconosca la gravità del fatto senza liquidare l’ assurda paura con il “ma vomitano tutti, non fare il bambino!”è un aiuto irrinunciabile, tanto meglio se il confronto si estende anche a chi soffre dello stesso male grazie a gruppi di auto-mutuo aiuto o semplicemente a contatti presso le strutture di cura.
Foto by OkayPro
6 commenti:
Aiutatemi soffro da poco di questa "malattia" che mi stà rovinando la vita!!! Cosa dovrei fare???
mi trovo anche io in questa situazione assurda quanto limitante, avete qualche suggerimento?
il mio contatto messenger è rinascimento@hotmail.it vuoi che ne parliamo un po? ciao
io posso aiutarvi a superarlo basta parlandone perke tralaltro ankio un po ne sofffro. ecco il mio contatto akkiappa.ceffi@hotmail.it
ciao a tutti
sono una ragazza di 23 che soffre di questa patologia da quando ne aveva 6...
ne sto parlando con una psicologa ma non mi sta aiutando molto.sapete indicarmi dove posso trovare qualcuno che si occupi nello specifico di questa patologia?
grazie mille
martina
Buongiorno a tutti, siamo felici che la discussione sul nostro articolo vi abbia interessato.
Non possiamo purtroppo consigliarvi specialisti perchè il nostro blog ha finalità esclusivamente illustrativa. Ci permettiamo di segnalarvi, a scopo indicativo e ricordando la nostra non responsabilità circa ciò che troverete nel link indicato, questo collegamentoo che viene citato anche presso opsonline:
www.emetofobia.info
Nel web inoltre è possibile trovare notizie più dettagliate, anche se rimandiamo sempre al vostro buon senso il riferirvi a dati di fonti attendibili e possibilmente colegate ad enti specializzati o riconosciuti.
In bocca al lupo a tutti!
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