Lo psicologo Aric Sigman, in un recente articolo apparso su Biologist, sintetizza i risultati di più ricerche, evidenziando come l’eccesso di televisione provochi disturbi fisici e psicologici di elevata entità. A distanza di anni dalla sua nascita la televisione suscita ancora ansie e timori che si rivelano di giorno in giorno sempre più fondati; vale la pena prenderli in esame.
I problemi di salute che si riscontrano sono senza dubbio quantitativamente maggiori nei giovani, e comprendono miopia e in generale disturbi della vista; soprappeso, se non addirittura obesità; insonnia e, anche se in misura statisticamente non significativa (presenza di sole correlazioni), diabete e cancri.
Non soltanto, si associano anche disturbi psicologici, primo fra tutti la riduzione dell’autostima e dell’immagine positiva di sé, insieme ai correlati psichici delle malattie sovracitate. Non manca inoltre l’incidenza della sindrome artistica.
Anche la popolazione anziana è a rischio con un significativo aumento di casi e un abbassamento dell’età di insorgenza di sindromi degenerative, tra cui in primis l’Alzheimer, in base al numero di ore trascorse davanti all’apparecchio.
La causa risiede nello squilibrio che la visione continuativa e abituale della televisione comporta nella regolazione della melatonina, sostanza che regola i ritmi del corpo e nello specifico il ciclo sonno-veglia, da cui le deriva appunto la denominazione di “ormone del sonno”.
La melatonina inoltre, come emerge da ricerche precedenti, gioca un ruolo, sebbene non ancora del tutto definito, nella maturità sessuale: ecco perché Sigman ritiene che la tv sia causa anche della precocizzazione della pubertà.
Gli effetti negativi sussistono indipendentemente dai contenuti, in quanto derivano dal fissare uno schermo luminoso con immagini in movimento, e sono più pervasivi al di sotto dei tre anni. I dati risultano impressionanti se si pensa che un bambino di sei anni ha già trascorso l’equivalente di un anno di vita davanti alla televisione.
La puntualizzazione fatta dallo psicologo invita i genitori a riflettere sull’educazione dei figli e la gestione del loro tempo libero, ma interroga anche la società sulle alternative effettivamente praticabili che vengono offerte ai bambini di oggi. E ancora, se la negatività dipende dal supporto, anche altre tecnologie, il computer per primo, presentano le stesse caratteristiche: anche loro devono venire ridotti? E soprattutto, basterà una riduzione e un mutamento della cultura intrafamiliare laddove la società spinge sempre più verso un utilizzo diffuso dei media?
Domande inquietanti che richiedono che psicologia, scienza ed etica dialoghino tra loro per la prevenzione dei rischi.
Foto by Kruder396
I problemi di salute che si riscontrano sono senza dubbio quantitativamente maggiori nei giovani, e comprendono miopia e in generale disturbi della vista; soprappeso, se non addirittura obesità; insonnia e, anche se in misura statisticamente non significativa (presenza di sole correlazioni), diabete e cancri.
Non soltanto, si associano anche disturbi psicologici, primo fra tutti la riduzione dell’autostima e dell’immagine positiva di sé, insieme ai correlati psichici delle malattie sovracitate. Non manca inoltre l’incidenza della sindrome artistica.
Anche la popolazione anziana è a rischio con un significativo aumento di casi e un abbassamento dell’età di insorgenza di sindromi degenerative, tra cui in primis l’Alzheimer, in base al numero di ore trascorse davanti all’apparecchio.
La causa risiede nello squilibrio che la visione continuativa e abituale della televisione comporta nella regolazione della melatonina, sostanza che regola i ritmi del corpo e nello specifico il ciclo sonno-veglia, da cui le deriva appunto la denominazione di “ormone del sonno”.
La melatonina inoltre, come emerge da ricerche precedenti, gioca un ruolo, sebbene non ancora del tutto definito, nella maturità sessuale: ecco perché Sigman ritiene che la tv sia causa anche della precocizzazione della pubertà.
Gli effetti negativi sussistono indipendentemente dai contenuti, in quanto derivano dal fissare uno schermo luminoso con immagini in movimento, e sono più pervasivi al di sotto dei tre anni. I dati risultano impressionanti se si pensa che un bambino di sei anni ha già trascorso l’equivalente di un anno di vita davanti alla televisione.
La puntualizzazione fatta dallo psicologo invita i genitori a riflettere sull’educazione dei figli e la gestione del loro tempo libero, ma interroga anche la società sulle alternative effettivamente praticabili che vengono offerte ai bambini di oggi. E ancora, se la negatività dipende dal supporto, anche altre tecnologie, il computer per primo, presentano le stesse caratteristiche: anche loro devono venire ridotti? E soprattutto, basterà una riduzione e un mutamento della cultura intrafamiliare laddove la società spinge sempre più verso un utilizzo diffuso dei media?
Domande inquietanti che richiedono che psicologia, scienza ed etica dialoghino tra loro per la prevenzione dei rischi.
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