venerdì 28 dicembre 2007
lunedì 17 dicembre 2007
QUESTIONE DI FAMIGLIA
Avere un fratello o una sorella influisce sulla personalità. Un team dell’Università della California ha analizzato l’influenza dell’ordine di nascita e della composizione della famiglia sulla personalità.
Le dinamiche famigliari influiscono fortemente sul comportamento. Se le situazioni e i contesti giocano un ruolo fondamentale e poco generalizzabile, una ricerca ha messo in evidenza dei comuni denominatori. Shannon Williams, ricercatrice presso l’Università della California a Davis, ha cercato di sviluppare un nuovo modello sulle complesse dinamiche familiari, in particolare analizzando l’influenza sull’aggressività.
Sembrerebbe che avere un fratello maggiore aumenta l’aggressività durante il periodo adolescenziale a causa dei frequenti scontri che si manifestano tra due fratelli maschi. Al contrario avere una sorella minore tende a smorzare l’aggressività.
Il modello proposto è stato sviluppato a partire dalle interviste di 541 coppie di fratelli, in cui sono state indagate anche le condizioni socio-economiche famigliari e l’atteggiamento dei genitori verso i figli. Questi due elementi sono considerate variabili molto importanti all’interno del modello proposto dalla Williams e recentemente pubblicato sulla rivista Child Development. Infatti emerge che la violenza tra fratelli peggiora nel caso di condizioni economiche disagiate.
I risultati, oltre al modello precedentemente citato, suggeriscono modelli di intervento psicologico che coinvolga tutti i membri della famiglia.
Le dinamiche famigliari influiscono fortemente sul comportamento. Se le situazioni e i contesti giocano un ruolo fondamentale e poco generalizzabile, una ricerca ha messo in evidenza dei comuni denominatori. Shannon Williams, ricercatrice presso l’Università della California a Davis, ha cercato di sviluppare un nuovo modello sulle complesse dinamiche familiari, in particolare analizzando l’influenza sull’aggressività.
Sembrerebbe che avere un fratello maggiore aumenta l’aggressività durante il periodo adolescenziale a causa dei frequenti scontri che si manifestano tra due fratelli maschi. Al contrario avere una sorella minore tende a smorzare l’aggressività.
Il modello proposto è stato sviluppato a partire dalle interviste di 541 coppie di fratelli, in cui sono state indagate anche le condizioni socio-economiche famigliari e l’atteggiamento dei genitori verso i figli. Questi due elementi sono considerate variabili molto importanti all’interno del modello proposto dalla Williams e recentemente pubblicato sulla rivista Child Development. Infatti emerge che la violenza tra fratelli peggiora nel caso di condizioni economiche disagiate.
I risultati, oltre al modello precedentemente citato, suggeriscono modelli di intervento psicologico che coinvolga tutti i membri della famiglia.
foto by Ivani4i
SOMMARIO DELLA SETTIMANA
Questa settimana ci siamo occupate di....
dinamiche di coppia. La comuniczione tra i partner è moto importate, ma alcune cose è meglio tenerle nascoste. Sembrerebbe insomma che raccotare tutto, proprio tutto al proprio partner non faciliti la vita di coppia, sopratutto se si intende raccntare un tradimento....
linguaggio. Differenti lingue attivano differenti circuiti cerebrali. Da una ricerca, condotta in collaborazione con l'Istituto San Raffaele di Milano, ha osservato, attraverso la fMRI, emerge che la lettura di uno stesso testo in due lingue attiva differenti vie cerebrali.
foto by Krasil
mercoledì 12 dicembre 2007
PSICO-FLASH: LE BUGIE FANNO BENE ALLA COPPIA
Una curiosa ricerca condotta dal'Istituto transculturale di Roma mostra che tacere su certi argomenti fa bene alla coppia e la mantiene in vita più a lungo. Bugie o verità?
Secondo questa ricerca la coppia dura fino a 5 anni in più se i partners discutono poco sui temi dell'infedeltà e se ne parlano, sono meno propensi a raccontarsi avances e piccoli tradimenti.
Tra i sinceri, chi decide di confessare un tradimento perpetuato in passato rischia di essere lasciato nel 75% dei casi, ma le cose non vanno meglio se la relazione resiste. Infatti in seguito a una dichiarazione di colpa si arriva fino al 95% di rinfacciamenti da parte delle donne e del 90% da parte degli uomini.
La morale (triste) che emerge è che mentire mantiene viva una relazione, la realtà, amara ma necessaria, è che la sincerità è l'arma migliore se si vuole davvero instaurare una relazione sincera ed equilibrata. Passino le piccole bugie, ma un tradimento difficilmente può passare sotto silenzio.
I MECCANISMI DELLE LINGUE
Il Journal of Neuroscience ha pubblicato una ricerca che ha individuato degli specifici interruttori neurali per l’utilizzo di idiomi differenti. Si tratterebbe di veri e propri interruttori capaci di isolare la lingua utilizzata al momento dalle altre conosciute.
La ricerca è stata condotta dal Dipartimento di Neurologia dell’Università San Raffaele di Milano in collaborazione con l’Università della California e il Geneva University Hospitals. L’esperimento prevedeva di far leggere ad un gruppo di persone il romanzo “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupery in due diverse lingue(italiano e francese).
Osservando l’attività mentale tramite la fMRI (risonanza magnetica funzionale) sono stati osservati degli specifici meccanismi nei soggetti bilingue (madrelingua italiani residenti in Francia). E’ possibile tradurre in modo simultaneo nonché leggere prima l’una e poi l’altra lingua grazie a meccanismi che controllano l’attività del cervello e fanno si che i diversi idiomi non vengano confusi tra loro.
L’interruttore si attiva durante il passaggio dalla lingua madre a un’altra lingua e viceversa. Ma i risultati hanno anche evidenziato un effetto dovuto all’abitudine: quanto più si utilizza e ci si abitua ad una lingua straniera, tanto più i meccanismi che la regolano divengono simili a quelli della nostra lingua madre e rendono l’utilizzo di entrambe molto più sciolto.
Da un punto di vista linguistico questo studio mostra infine che le frasi e i sintagmi non sono soltanto realtà grammaticali che diventano elementi cognitivi, ma anche veri e propri nuclei gestiti a livello neuronale e indagabili tramite le neuroscienze. Al di là delle ovvie riserve da usarsi nel ridurre tutto ad anatomia neuronale, gli studi sul linguaggio così condotti potranno avere anche importanti risvolti terapeutici.
La ricerca è stata condotta dal Dipartimento di Neurologia dell’Università San Raffaele di Milano in collaborazione con l’Università della California e il Geneva University Hospitals. L’esperimento prevedeva di far leggere ad un gruppo di persone il romanzo “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupery in due diverse lingue(italiano e francese).
Osservando l’attività mentale tramite la fMRI (risonanza magnetica funzionale) sono stati osservati degli specifici meccanismi nei soggetti bilingue (madrelingua italiani residenti in Francia). E’ possibile tradurre in modo simultaneo nonché leggere prima l’una e poi l’altra lingua grazie a meccanismi che controllano l’attività del cervello e fanno si che i diversi idiomi non vengano confusi tra loro.
L’interruttore si attiva durante il passaggio dalla lingua madre a un’altra lingua e viceversa. Ma i risultati hanno anche evidenziato un effetto dovuto all’abitudine: quanto più si utilizza e ci si abitua ad una lingua straniera, tanto più i meccanismi che la regolano divengono simili a quelli della nostra lingua madre e rendono l’utilizzo di entrambe molto più sciolto.
Da un punto di vista linguistico questo studio mostra infine che le frasi e i sintagmi non sono soltanto realtà grammaticali che diventano elementi cognitivi, ma anche veri e propri nuclei gestiti a livello neuronale e indagabili tramite le neuroscienze. Al di là delle ovvie riserve da usarsi nel ridurre tutto ad anatomia neuronale, gli studi sul linguaggio così condotti potranno avere anche importanti risvolti terapeutici.
lunedì 10 dicembre 2007
SOMMARIO DELLA SETTIMANA
Questa settimana abbiamo parlato di
Stress
Un vocabolo ormai abusato su cui finalmente abbiamo fatto un po’ di chiarezza. Per togliersi ogni dubbio.
Comportamento
I nostri comportamenti sono spesso influenzati da una serie di considerazioni, come quella relativa al nostro credito. Ecco perché il bancomat fa spendere di pià.
Infanzia
Internet è spesso uno strumento pericoloso per i più piccoli, un nuovo progetto insegna come usarlo al meglio.
Psicologia e scienza
Perché anche in ambienti rumorosi riusciamo a percepire ciò che il nostro interlocutore ci sta raccontando? Ce lo spiega una recente ricerca psicologica.
Sondaggio
Ecco i risultati sull’eloquio maschile e femminile, un occasione per riflettere su come la scienza dice a volte cose diverse dal pensiero che abitualmente abbiamo.
Stress
Un vocabolo ormai abusato su cui finalmente abbiamo fatto un po’ di chiarezza. Per togliersi ogni dubbio.
Comportamento
I nostri comportamenti sono spesso influenzati da una serie di considerazioni, come quella relativa al nostro credito. Ecco perché il bancomat fa spendere di pià.
Infanzia
Internet è spesso uno strumento pericoloso per i più piccoli, un nuovo progetto insegna come usarlo al meglio.
Psicologia e scienza
Perché anche in ambienti rumorosi riusciamo a percepire ciò che il nostro interlocutore ci sta raccontando? Ce lo spiega una recente ricerca psicologica.
Sondaggio
Ecco i risultati sull’eloquio maschile e femminile, un occasione per riflettere su come la scienza dice a volte cose diverse dal pensiero che abitualmente abbiamo.
giovedì 6 dicembre 2007
NON CHIAMATEMI STRESS!
Vale la pena fare un po’ di chiarezza sulla parola stress, ormai unanimemente identificata con valenze negative e correlata a disturbi e patologie. Ecco un rapido tour per svelare il vero e falso dello stress, sotto forma di un’intervista che ci siamo autosomministrate.
Che cos’è lo stress?
La parola stress è un’abbreviazione, poi italianizzata, della parola inglese distress, che significa tormento, fastidio. All’apparenza quindi è un vocabolo negativo.
Cosa si intende con stress in fisiologia e psicologia?
Lo stress viene identificato come capacità innata dell’organismo a reagire a dati stimoli ambientali prima, ed interni poi o soltanto interni che ne minano benessere ed equilibrio. La funzione dello stress è equivalente a quella di un campanello d’allarme, con le conseguenti misure di sicurezza che ne conseguono: in pratica ci prepariamo a fare fronte alla situazione e tale modifica avviene in pochi decimi di secondo, pur coinvolgendo un numero elevato di sistemi.
Lo stress fa bene?
Sicuramente lo stress è un elemento necessario: spingendo l’organismo, e quindi la sua omeostasi verso livelli diversi da quelli previsti induce infatti una reazione. In tal modo possiamo dire che lo stress spinge all’azione, permette di modificare repentinamente il proprio comportamento e fa fronteggiare i pericoli e le situazioni di incertezza.
Perché allora lo stress è causa di disfunzioni, anche gravi?
Lo stress, abbiamo visto, si configura come uno stato di tensione, che si contrappone alla normale attività di equilibrazione dell’organismo. In tal senso è produttiva se viene percepita e fronteggiata, alla fine di un episodio di stress si ha pertanto una conclusione positiva che riporta all’equilibrio antecedente. Se invece la tensione si protrae per tempi eccessivamente lunghi l’organismo ne risente.
Che cosa accade di preciso?
L’attività ormonale è compromessa: gli ormoni dello stress risultano iperattivati e producono quantità elevate di cortisolo. Anche il sistema attentivo viene coinvolto, i principali neurotrasmettitori deputati alla soglia attentava aumentano, tra di essi possiamo nominare adrenalina e noradrenalina. La presenza eccessiva di questi ultimi e di cortisolo nel sangue è un forte fattore predittivo di ansia, che come sappiamo, è legata a numerosi sintomi anche di rodine fisico. Iniziano pertanto ad emergere disturbi dapprima lievi, che possono rientrare a seguito di un periodo di riposo, o alterazioni croniche che portano a veri e propri disturbi dovuti allo stress.
Che cos’è lo stress?
La parola stress è un’abbreviazione, poi italianizzata, della parola inglese distress, che significa tormento, fastidio. All’apparenza quindi è un vocabolo negativo.
Cosa si intende con stress in fisiologia e psicologia?
Lo stress viene identificato come capacità innata dell’organismo a reagire a dati stimoli ambientali prima, ed interni poi o soltanto interni che ne minano benessere ed equilibrio. La funzione dello stress è equivalente a quella di un campanello d’allarme, con le conseguenti misure di sicurezza che ne conseguono: in pratica ci prepariamo a fare fronte alla situazione e tale modifica avviene in pochi decimi di secondo, pur coinvolgendo un numero elevato di sistemi.
Lo stress fa bene?
Sicuramente lo stress è un elemento necessario: spingendo l’organismo, e quindi la sua omeostasi verso livelli diversi da quelli previsti induce infatti una reazione. In tal modo possiamo dire che lo stress spinge all’azione, permette di modificare repentinamente il proprio comportamento e fa fronteggiare i pericoli e le situazioni di incertezza.
Perché allora lo stress è causa di disfunzioni, anche gravi?
Lo stress, abbiamo visto, si configura come uno stato di tensione, che si contrappone alla normale attività di equilibrazione dell’organismo. In tal senso è produttiva se viene percepita e fronteggiata, alla fine di un episodio di stress si ha pertanto una conclusione positiva che riporta all’equilibrio antecedente. Se invece la tensione si protrae per tempi eccessivamente lunghi l’organismo ne risente.
Che cosa accade di preciso?
L’attività ormonale è compromessa: gli ormoni dello stress risultano iperattivati e producono quantità elevate di cortisolo. Anche il sistema attentivo viene coinvolto, i principali neurotrasmettitori deputati alla soglia attentava aumentano, tra di essi possiamo nominare adrenalina e noradrenalina. La presenza eccessiva di questi ultimi e di cortisolo nel sangue è un forte fattore predittivo di ansia, che come sappiamo, è legata a numerosi sintomi anche di rodine fisico. Iniziano pertanto ad emergere disturbi dapprima lievi, che possono rientrare a seguito di un periodo di riposo, o alterazioni croniche che portano a veri e propri disturbi dovuti allo stress.
mercoledì 5 dicembre 2007
USARE IL BANCOMAT FA SPENDERE DI PIU’
Immaginate di andare a fare acquisti e di utilizzare per il pagamento la vostra carta di credito. Si tratta di un gesto ormai consolidato ma che nasconde una perniciosa tentazione: spendere più del necessario. Lo hanno svelato di recente degli psicologi, vediamo cosa accade.
Il Journal of Consumer Research ha pubblicato una ricerca condotta da studiosi dell’University of Chicago che mostra che l’utilizzo del bancomat è più dispendioso rispetto all’utilizzo dei contanti.
L’esperimento ha coinvolto acquirenti di supermercati: prima che facessero la spesa, a un gruppo veniva chiesto quanto avessero nel portafogli, mentre all’altro gruppo quanto avessero in banca. Alla fine i conti dei due gruppi sono stati confrontati, ed è emerso che chi aveva riferito della disponibilità economica in banca e aveva pagato con carta di credito aveva speso di più in media rispetto a coloro che avevano utilizzato il normale contante del proprio portafogli.
La causa è dovuta ad una percezione distorta delle risorse disponibili: il confronto con una cifra più ampia porta a spendere e a concedersi di più rispetto al confronto con il liquido previsto per la sola spesa.
I risultati sono state inoltre confermati da un ulteriore esperimento che riguardava non tanto il calcolo di denaro, quanto di calorie consumate. Analogamente al primo, il gruppo che rapportava il numero di calorie di un cioccolatino alla quantità di calorie settimanali mangiava in media un numero maggiore di questi, mentre il gruppo che le rapportava al fabbisogno calorico giornaliero era più contenuto.
In termini di calcolo, entrambi i gruppi, in tutti e due gli esperimenti, devono compiere il medesimo ragionamento, ma il differente metro di paragone li induce a operare delle distorsioni nella stima: chi si rapporta a valori più ampi opera anche una stima più ampia. Questi bias di ragionamento vengono infatti spesso sfruttati dai rivenditori stessi per far spendere di più ai propri clienti.
Il Journal of Consumer Research ha pubblicato una ricerca condotta da studiosi dell’University of Chicago che mostra che l’utilizzo del bancomat è più dispendioso rispetto all’utilizzo dei contanti.
L’esperimento ha coinvolto acquirenti di supermercati: prima che facessero la spesa, a un gruppo veniva chiesto quanto avessero nel portafogli, mentre all’altro gruppo quanto avessero in banca. Alla fine i conti dei due gruppi sono stati confrontati, ed è emerso che chi aveva riferito della disponibilità economica in banca e aveva pagato con carta di credito aveva speso di più in media rispetto a coloro che avevano utilizzato il normale contante del proprio portafogli.
La causa è dovuta ad una percezione distorta delle risorse disponibili: il confronto con una cifra più ampia porta a spendere e a concedersi di più rispetto al confronto con il liquido previsto per la sola spesa.
I risultati sono state inoltre confermati da un ulteriore esperimento che riguardava non tanto il calcolo di denaro, quanto di calorie consumate. Analogamente al primo, il gruppo che rapportava il numero di calorie di un cioccolatino alla quantità di calorie settimanali mangiava in media un numero maggiore di questi, mentre il gruppo che le rapportava al fabbisogno calorico giornaliero era più contenuto.
In termini di calcolo, entrambi i gruppi, in tutti e due gli esperimenti, devono compiere il medesimo ragionamento, ma il differente metro di paragone li induce a operare delle distorsioni nella stima: chi si rapporta a valori più ampi opera anche una stima più ampia. Questi bias di ragionamento vengono infatti spesso sfruttati dai rivenditori stessi per far spendere di più ai propri clienti.
TI SENTO
Avete mai provato a trovarvi a discutere con un amico in un ambiente rumoroso? Riuscite a percepire le sue parole e a seguire il discorso, nonostante il brusio sottostante. Tutto merito dell’emisfero sinistro del cervello, come svela la ricerca condotta da Hidehiko Okamoto e colleghi.
La rivista BMC Biology ha pubblicato i risultati della ricerca promossa dall’Institute for Biomagnetism and Biosignal Analysis che ha visto coinvolto un gruppo di ricerca internazionale. Secondo gli studiosi il nostro cervello sarebbe in gradoni percepire alcuni suoni distinti rispetto al flusso confuso delle informazioni acustiche che si generano in situazioni di sovraffollamento o in caso di persistenti rumori di sottofondo.
Tale capacità deriva dal cosiddetto effetto di mascheramento simultaneo: il cervello maschera il brusio riuscendo in tal modo ad isolare i suoni di interesse e ad elaborarli e comprenderli.
L’esperimento prevedeva di fare ascoltare a un gruppo di soggetti una conversazione in presenza di rumore di fondo: tale operazione veniva effettuata sia per l’orecchio destro che per quello sinistro, spostando alternativamente la fonte sonora del rumore sottostante prima a destra e poi a sinistra.
I risultati, registrati tramite la MEG, magnetoencefalografia, hanno mostrato che in tutti i casi l’area che si attivava durante la percezione del segnale e che permetteva la scissione tra udito utile e udito da mascherare, corrispondeva con l’emisfero sinistro.
Grazie a tale area pertanto i suoni competitivi tra loro possono venire scelti e capiti dal soggetto in base al suo interesse.
La rivista BMC Biology ha pubblicato i risultati della ricerca promossa dall’Institute for Biomagnetism and Biosignal Analysis che ha visto coinvolto un gruppo di ricerca internazionale. Secondo gli studiosi il nostro cervello sarebbe in gradoni percepire alcuni suoni distinti rispetto al flusso confuso delle informazioni acustiche che si generano in situazioni di sovraffollamento o in caso di persistenti rumori di sottofondo.
Tale capacità deriva dal cosiddetto effetto di mascheramento simultaneo: il cervello maschera il brusio riuscendo in tal modo ad isolare i suoni di interesse e ad elaborarli e comprenderli.
L’esperimento prevedeva di fare ascoltare a un gruppo di soggetti una conversazione in presenza di rumore di fondo: tale operazione veniva effettuata sia per l’orecchio destro che per quello sinistro, spostando alternativamente la fonte sonora del rumore sottostante prima a destra e poi a sinistra.
I risultati, registrati tramite la MEG, magnetoencefalografia, hanno mostrato che in tutti i casi l’area che si attivava durante la percezione del segnale e che permetteva la scissione tra udito utile e udito da mascherare, corrispondeva con l’emisfero sinistro.
Grazie a tale area pertanto i suoni competitivi tra loro possono venire scelti e capiti dal soggetto in base al suo interesse.
martedì 4 dicembre 2007
RISULTATI SONDAGGIO
Che le donne sono più chiacchierone degli uomini è uno stereotipo diffuso, ci dicevano le autrici della ricerca, ma ahimè da donne ci rendiamo conto che è anche duro a morire!
I vostri voti mostrano che la maggioranza pensa che le donne siano più loquaci degli uomini, indipendentemente dal contesto, e solo l’1% dichiara che la situazione abbia una qualche influenza.
Insomma questa volta ci sentiamo di tirare un po’ le orecchie ai lettori di Oltrefreud!!!
E come pegno, chiunque abbia votato a sfavore delle donne deve assolutamente andare a votare il nuovo sondaggio: amicizie off o on line?
I vostri voti mostrano che la maggioranza pensa che le donne siano più loquaci degli uomini, indipendentemente dal contesto, e solo l’1% dichiara che la situazione abbia una qualche influenza.
Insomma questa volta ci sentiamo di tirare un po’ le orecchie ai lettori di Oltrefreud!!!
E come pegno, chiunque abbia votato a sfavore delle donne deve assolutamente andare a votare il nuovo sondaggio: amicizie off o on line?
Foto by Radio Rovers
VIAGGIAR PER INTERNET
E’ partita l’iniziativa voluta da Adiconsum e Save the Children volta a educare i giovani nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Easy tour, questo il nome del progetto, si svolgerà presso le scuole del territorio italiano a partire da questo mese.
L’uso delle nuove tecnologie da parte dei giovani è cresciuto in modo notevole, tanto che la quasi totalità degli adolescenti possiede un computer, un cellulare e ha a disposizione una connessione ad internet, molto spesso ad alta velocità. Questo lo scenario tratteggiato a seguito dell’indagine conoscitiva commissionata da Save the Children all’agenzia di ricerche Doxa.
Le tecnologie servono, secondo i responsabili del progetto, come fonte infinita di informazioni ed opportunità e sono pertanto occasione di crescita per i giovani tra i 10 e i 16 anni.
Ma il mondo telematico non è facile da capire né da utilizzare, molto spesso gli atteggiamenti che le famiglie e la scuola adottano verso i nuovi media riflettono le loro paure e trasmettono al giovane soltanto paure e dissensi.
L’atteggiamento di censura però è negativo per il ragazzo che si trova privo di riferimenti. L’indagine ha mostrato che i giovani si trovano spesso spaesati e incapaci di distinguere realmente i pericoli che la rete nasconde. D’altronde anche lo stesso mondo adulto fatica a trovare regolamentazioni e norme legislative per il mondo del web.
Easy tour è pertanto un’iniziativa che, coinvolgendo famiglia e scuola, permette ai giovani di approcciarsi in modo protetto e allo stesso tempo ragionato, alla rete, per favorirne un utilizzo concreto e privo di rischi.
Foto by sesame ellis
L’uso delle nuove tecnologie da parte dei giovani è cresciuto in modo notevole, tanto che la quasi totalità degli adolescenti possiede un computer, un cellulare e ha a disposizione una connessione ad internet, molto spesso ad alta velocità. Questo lo scenario tratteggiato a seguito dell’indagine conoscitiva commissionata da Save the Children all’agenzia di ricerche Doxa.
Le tecnologie servono, secondo i responsabili del progetto, come fonte infinita di informazioni ed opportunità e sono pertanto occasione di crescita per i giovani tra i 10 e i 16 anni.
Ma il mondo telematico non è facile da capire né da utilizzare, molto spesso gli atteggiamenti che le famiglie e la scuola adottano verso i nuovi media riflettono le loro paure e trasmettono al giovane soltanto paure e dissensi.
L’atteggiamento di censura però è negativo per il ragazzo che si trova privo di riferimenti. L’indagine ha mostrato che i giovani si trovano spesso spaesati e incapaci di distinguere realmente i pericoli che la rete nasconde. D’altronde anche lo stesso mondo adulto fatica a trovare regolamentazioni e norme legislative per il mondo del web.
Easy tour è pertanto un’iniziativa che, coinvolgendo famiglia e scuola, permette ai giovani di approcciarsi in modo protetto e allo stesso tempo ragionato, alla rete, per favorirne un utilizzo concreto e privo di rischi.
Foto by sesame ellis
I GENI DELLA SCHIZOFRENIA: SOPRAVVISSUTI ALLA SELEZIONE NATURALE
Esaminando i tratti del Dna della schizofrenia, Steve Dorus, dell’Università di Bath ha evidenziato che 78 di essi sono connessi con il funzionamento del sistema nervoso. Per questo la schizofrenia è sopravvissuta alla selezione naturale.
La schizofrenia è una malattia mentale caratterizzata da alterazioni delle funzioni fondamentali e da disturbi del pensiero, dell’affettività e alterazioni della coscienza. Possono essere presenti sintomi positivi come deliri e allucinazioni, e sintomi negativi quali diminuzione dell’investimento nel mondo esterno, povertà dell’eloquio e comportamento povero-catatonico. Nell’infanzia la schizofrenia si instaura lentamente, con forme di isolamento, estrema dipendenza dal caregiver ritardo nel linguaggio, sintomi allucinatori acustici e visivi, pensiero delirante da cui il bambino può essere difficilmente distolto. Nell’adolescenza invece la schizofrenia può manifestarsi in modo improvviso con forme di delirio e psicosi acuta, oppure attraverso un lungo iter, con il progressivo instaurarsi di rituali ossessivi, angosce e distacco dalla realtà.
La schizofrenia ha una base prevalentemente genetica, con un’incidenza dell’1,1% della popolazione, pari a 60 milioni di persone nel mondo.
Steve Dorus, ricercatore dell’Università inglese di Bath, si è chiesto come mai questa grave malattia mentale sia sopravvissuta alla selezione naturale. Dorus, insieme ad alcuni colleghi statunitensi, ha esaminati i tratti del Dna connessi con la schizofrenia. Ha osservato che ben 78 di essi sono hanno superato la selezione naturale, sono in parole povere risultati utili alla sopravvivenza dell’uomo. Infatti, questi geni sono coinvolti nel trasporto più efficiente di proteine all’interno dei neuroni.
Da questi risultati emerge che la schizofrenia è collegata positivamente con il funzionamento più efficiente del sistema nervoso. Infatti la schizofrenia è stata più volte associata alla creatività e persino al genio. Possiamo concludere che incredibilmente la schizofrenia è sopravvissuta alla selezione naturale perché è vantaggiosa per l’uomo!
Foto by Kyle Jones
La schizofrenia è una malattia mentale caratterizzata da alterazioni delle funzioni fondamentali e da disturbi del pensiero, dell’affettività e alterazioni della coscienza. Possono essere presenti sintomi positivi come deliri e allucinazioni, e sintomi negativi quali diminuzione dell’investimento nel mondo esterno, povertà dell’eloquio e comportamento povero-catatonico. Nell’infanzia la schizofrenia si instaura lentamente, con forme di isolamento, estrema dipendenza dal caregiver ritardo nel linguaggio, sintomi allucinatori acustici e visivi, pensiero delirante da cui il bambino può essere difficilmente distolto. Nell’adolescenza invece la schizofrenia può manifestarsi in modo improvviso con forme di delirio e psicosi acuta, oppure attraverso un lungo iter, con il progressivo instaurarsi di rituali ossessivi, angosce e distacco dalla realtà.
La schizofrenia ha una base prevalentemente genetica, con un’incidenza dell’1,1% della popolazione, pari a 60 milioni di persone nel mondo.
Steve Dorus, ricercatore dell’Università inglese di Bath, si è chiesto come mai questa grave malattia mentale sia sopravvissuta alla selezione naturale. Dorus, insieme ad alcuni colleghi statunitensi, ha esaminati i tratti del Dna connessi con la schizofrenia. Ha osservato che ben 78 di essi sono hanno superato la selezione naturale, sono in parole povere risultati utili alla sopravvivenza dell’uomo. Infatti, questi geni sono coinvolti nel trasporto più efficiente di proteine all’interno dei neuroni.
Da questi risultati emerge che la schizofrenia è collegata positivamente con il funzionamento più efficiente del sistema nervoso. Infatti la schizofrenia è stata più volte associata alla creatività e persino al genio. Possiamo concludere che incredibilmente la schizofrenia è sopravvissuta alla selezione naturale perché è vantaggiosa per l’uomo!
Foto by Kyle Jones
lunedì 3 dicembre 2007
L'AMICO ON-LINE
I siti che consentono di creare reti sociali contano milioni di visitatori in tutto il mondo. In futuro ci saranno solo amicizie virtuali? Sembra di no. Lo psicologo Reader mette in luce la ‘superiorità’ delle amicizie in carne ed ossa.
Internet non è più esclusivamente un’infinita fonte di informazioni e notizie, collegarsi alla rete, oggi significa comunicare con gli altri, creare relazioni sociali. Siti come Messenger, Myspace e il più recente Facebook sono solo alcuni degli innumerevoli siti, che consentono di creare reti sociali, una lista delle propri contatti, dei propri amici virtuali con cui comunicare on-line. Se all’amicizia reale, quella face-to-face, si aggiunge il contatto on-line, spesso si intessono delle relazioni esclusivamente in rete. Ma che differenza c’è tra queste due tipologie di amicizia?
E’ quello che si è chiesto Will Reader, psicologo dell’Università inglese di Sheffild Hallam, che sta conducendo una ricerca al riguardo. Dai risultati fino ad ora emersi (la ricerca è infatti ancora in corso), sebbene le amicizie on-line siano molto più numerose, non è possibile compararle a quelle della realtà. On-line è possibile allargare le proprie reti sociali in modo piuttosto semplice, senza un grosso investimento di energie, e proprio per questo motivo determinano l’aumento esponenziale delle amicizie. Nello stesso tempo però, lo scarso investimento, l’assenza di rischi e di difficoltà spinge a ritenere le amicizie virtuali più superficiali di quelle in carne ed ossa. Inoltre solo quando ci si trova faccia a faccia con il proprio amico si è in grado di giudicare più accuratamente le informazioni (informazioni che evidentemente vanno oltre le sole parole) e di testare il grado di amicizia.
Le potenzialità di siti che consentono di creare reti sociali sono innegabili, tuttavia sembra improbabile che le amicizie virtuali riescano a sostituire completamente le amicizie vere, che mantengono comunque per le persone qualità superiori. Nonostante ciò Reader ritiene che in futuro queste reti sociali potrebbero determinare cambiamenti radicali non solo nelle comunicazioni, ma anche nella struttura della società.
Internet non è più esclusivamente un’infinita fonte di informazioni e notizie, collegarsi alla rete, oggi significa comunicare con gli altri, creare relazioni sociali. Siti come Messenger, Myspace e il più recente Facebook sono solo alcuni degli innumerevoli siti, che consentono di creare reti sociali, una lista delle propri contatti, dei propri amici virtuali con cui comunicare on-line. Se all’amicizia reale, quella face-to-face, si aggiunge il contatto on-line, spesso si intessono delle relazioni esclusivamente in rete. Ma che differenza c’è tra queste due tipologie di amicizia?
E’ quello che si è chiesto Will Reader, psicologo dell’Università inglese di Sheffild Hallam, che sta conducendo una ricerca al riguardo. Dai risultati fino ad ora emersi (la ricerca è infatti ancora in corso), sebbene le amicizie on-line siano molto più numerose, non è possibile compararle a quelle della realtà. On-line è possibile allargare le proprie reti sociali in modo piuttosto semplice, senza un grosso investimento di energie, e proprio per questo motivo determinano l’aumento esponenziale delle amicizie. Nello stesso tempo però, lo scarso investimento, l’assenza di rischi e di difficoltà spinge a ritenere le amicizie virtuali più superficiali di quelle in carne ed ossa. Inoltre solo quando ci si trova faccia a faccia con il proprio amico si è in grado di giudicare più accuratamente le informazioni (informazioni che evidentemente vanno oltre le sole parole) e di testare il grado di amicizia.
Le potenzialità di siti che consentono di creare reti sociali sono innegabili, tuttavia sembra improbabile che le amicizie virtuali riescano a sostituire completamente le amicizie vere, che mantengono comunque per le persone qualità superiori. Nonostante ciò Reader ritiene che in futuro queste reti sociali potrebbero determinare cambiamenti radicali non solo nelle comunicazioni, ma anche nella struttura della società.
LA PRESENZA VIRTUALE NELL’ARTE
Il Lu.Be.C Digital Technology svoltosi a Lucca dal 14 al 16 novembre ha mostrato come la realtà virtuale e le nuove tecnologie siano applicabili con successo per l’implementazione di supporti didattici e museali di ordine artistico.
Il convegno ha visto la partecipazione di grandi colossi dell’informatica, quali Microsoft, Intel e Ibm che hanno fornito i supporti hardware e software per innovative modalità di valorizzazione dei beni culturali ed artistici.
Le iniziative di maggior rilievo riguardano l’imponente progetto pensato per Abu Dhabi, ma anche iniziative “nostrane” come quelle rivolte ai beni architettonici di Firenze.
Ma cosa c’entra questo con la Psicologia, vi starete chiedendo. La branca della Psicologia dell’arte si occupa appunto dell’ambito dell’implementazione a massima fruibilità della didattica e della cultura, e questo sia a livello materiale, che a livello virtuale.
Sono sempre di più i supporti pensati e sviluppati in collaborazione con psicologi che si rivolgono al pubblico di mostre e musei, laddove l’allestimento e i materiali non possono più essere disposti soltanto secondo i canoni estetici e eidetici di progettisti e ingegneri, ma richiedono competenze relative a percezione, livello di compresnsione e utilizzo fornite dalla figura dello psicologo della comunicazione.
Rientrano in questi ambiti i progetti per i bambini, sviluppati a partire dal Mu.Ba e ora estesi a mostree musei di tutta Italia, ma anche la progettazione dei percorsi espositivi per adulti, o la fornitura di integrazioni e ricostruzioni informatiche.
La realtà virtuale e tutte le applicazioni che si ottengono tramite la simulazione possono far rivivere tesori ormai deteriorati o scomparsi, con una pienezza e un senso di presenza dino ad ora impossibile da realizzare. Tali percorsi devono però essere pensati in relazione alle modalità di funzionamento umane e non soltanto in base alle regole di organizzazione informatica.
Ecco allora i progetti, presenti a Lu.Be.C. quali i musei tattili, i viaggi simulati sulle galee romene o le ricostruzioni 3D delle ville romane.
Foto by lorenzo cuppini
Il convegno ha visto la partecipazione di grandi colossi dell’informatica, quali Microsoft, Intel e Ibm che hanno fornito i supporti hardware e software per innovative modalità di valorizzazione dei beni culturali ed artistici.
Le iniziative di maggior rilievo riguardano l’imponente progetto pensato per Abu Dhabi, ma anche iniziative “nostrane” come quelle rivolte ai beni architettonici di Firenze.
Ma cosa c’entra questo con la Psicologia, vi starete chiedendo. La branca della Psicologia dell’arte si occupa appunto dell’ambito dell’implementazione a massima fruibilità della didattica e della cultura, e questo sia a livello materiale, che a livello virtuale.
Sono sempre di più i supporti pensati e sviluppati in collaborazione con psicologi che si rivolgono al pubblico di mostre e musei, laddove l’allestimento e i materiali non possono più essere disposti soltanto secondo i canoni estetici e eidetici di progettisti e ingegneri, ma richiedono competenze relative a percezione, livello di compresnsione e utilizzo fornite dalla figura dello psicologo della comunicazione.
Rientrano in questi ambiti i progetti per i bambini, sviluppati a partire dal Mu.Ba e ora estesi a mostree musei di tutta Italia, ma anche la progettazione dei percorsi espositivi per adulti, o la fornitura di integrazioni e ricostruzioni informatiche.
La realtà virtuale e tutte le applicazioni che si ottengono tramite la simulazione possono far rivivere tesori ormai deteriorati o scomparsi, con una pienezza e un senso di presenza dino ad ora impossibile da realizzare. Tali percorsi devono però essere pensati in relazione alle modalità di funzionamento umane e non soltanto in base alle regole di organizzazione informatica.
Ecco allora i progetti, presenti a Lu.Be.C. quali i musei tattili, i viaggi simulati sulle galee romene o le ricostruzioni 3D delle ville romane.
Foto by lorenzo cuppini
SOMMARIO DELLA SETTIMANA
Questa settimana abbiamo parlato di:
Tecnologia
Ecco le dieci tecnologie che diventeranno i must del futuro, analizzate dal punto di vista psicologico.
Un dispositivo permette di compiere esattamente ciò che il cervello ordina, ecco il braccio robot più evoluto.
Ricerche scientifiche
Uno studio dimostra che le figura del ricercatore è un ruolo prettamente maschile, ecco i perché di questa visione distorta.
Psicoterapia
Un’iniziativa fa riflettere sull’importanza della psicoterapia e delle possibilità di divenire disponibile a tutti, grazie alla declinazione sociale.
Foto by El Almacen de Siona
Tecnologia
Ecco le dieci tecnologie che diventeranno i must del futuro, analizzate dal punto di vista psicologico.
Un dispositivo permette di compiere esattamente ciò che il cervello ordina, ecco il braccio robot più evoluto.
Ricerche scientifiche
Uno studio dimostra che le figura del ricercatore è un ruolo prettamente maschile, ecco i perché di questa visione distorta.
Psicoterapia
Un’iniziativa fa riflettere sull’importanza della psicoterapia e delle possibilità di divenire disponibile a tutti, grazie alla declinazione sociale.
Foto by El Almacen de Siona
mercoledì 28 novembre 2007
TECNOLOGIA INTELLIGENTE, ECOLOGICA E SOCIALE
Gartner, società americana di ricerca sulle tecnologie, ha elencato quelle che saranno in futuro le tecnologie di cui non si potrà fare a meno. Un avvertimento per tutte le imprese, internazionali o PMI, a porre crescente attenzione all’innovazione informatica. Un innovazione però, al passo con la persona, che tiene conto delle sue caratteristiche e personalità peculiari. Tutta una questione di psicologia dunque.
Le 10 direttive della nuova innovazione sono state presentate durante il Simposio svoltosi a Cannes ad inizio mese; esse sono:
Comunicazione unificata
il prerequisito necessario per lo sviluppo e il coordinamento delle novità operative consiste in una gestione globale della comunicazione. L’unificazione degli standard è volta a permettere una comunicazione priva di barriere, che svolge il suo percorso in modo diretto e lineare, eliminando le barriere del know-how al di là delle competenze di base. Non soltanto. L’unificazione riguarda anche i canali, che non devono più operare in modi diversi, ma dispiegarsi da subito congiunti.
Ecologia e fattore sociale
Le tecnologie si vestono di verde, diventano rispettose dell’ambiente e dei ritmi naturali, il che vuole anche dire rispetto del sistema uomo. Relativamente all’individuo infatti aumenterà la direzione sociale, ossia uno sviluppo orientato al bene delle comunità su cui tecnologie e sistemi si collocano, ma anche e soprattutto una gestione reticolare e paritaria delle informazioni. In tal modo ciascuno vedrà riconosciute appieno le proprie potenzialità e potrà comunicarle e metterle a disposizione su di un terreno di libera circolazione delle informazioni.
Correlati a questo si collocano sia la
Gestione dei metadati
Ovvero l’integrazione di dati e di fonti diverse nel modo massimamente ottimale
Sia l’aumento dei
Social software
I social software comprendono tutte le espressioni individuali permesse dalla rete e dall condivisione, quali blog, podcast e tutte le applicazioni wiki.
Real word web
Ecco il nuovo nome che andrà a sostituirsi al www. Si intende qui un mondo globale dove virtuale e non sono più distinti ma integrati e dove l’accesso e il movimento delle informazioni è costante e aggiornato in tempo reale.
Il mashup e la virtualizzazione, intese come modalità di acquisizione e rielaborazione dei dati saranno la base di partenza, mentre anche la fabbricazione di pc vedrà un avanzamento in direzione di maggiore economicità a fronte di prestazioni e servizi comunque elevati, dislocati più nella rete che non nel device fisico dell’utente.
Infine il management delle informazioni e dei materiali così creati e scambiati avrà bisogno di nuove figure e nuove regole. Ma se Gartner ritiene che tale gestione sia soprattutto di business, mi sento di dire che sarà importante e fondamentale una negoziazione dei significati, delle modalità e delle nuove riorganizzazioni dei rapporti sociali che soltanto uno psicologo, con le proprie competenze professionali orientate alle relazioni e alla comunicazione, sia pur essa meta-comunicaione, può promuovere e gestire.
Foto by Neri Maria Mengalli
Le 10 direttive della nuova innovazione sono state presentate durante il Simposio svoltosi a Cannes ad inizio mese; esse sono:
Comunicazione unificata
il prerequisito necessario per lo sviluppo e il coordinamento delle novità operative consiste in una gestione globale della comunicazione. L’unificazione degli standard è volta a permettere una comunicazione priva di barriere, che svolge il suo percorso in modo diretto e lineare, eliminando le barriere del know-how al di là delle competenze di base. Non soltanto. L’unificazione riguarda anche i canali, che non devono più operare in modi diversi, ma dispiegarsi da subito congiunti.
Ecologia e fattore sociale
Le tecnologie si vestono di verde, diventano rispettose dell’ambiente e dei ritmi naturali, il che vuole anche dire rispetto del sistema uomo. Relativamente all’individuo infatti aumenterà la direzione sociale, ossia uno sviluppo orientato al bene delle comunità su cui tecnologie e sistemi si collocano, ma anche e soprattutto una gestione reticolare e paritaria delle informazioni. In tal modo ciascuno vedrà riconosciute appieno le proprie potenzialità e potrà comunicarle e metterle a disposizione su di un terreno di libera circolazione delle informazioni.
Correlati a questo si collocano sia la
Gestione dei metadati
Ovvero l’integrazione di dati e di fonti diverse nel modo massimamente ottimale
Sia l’aumento dei
Social software
I social software comprendono tutte le espressioni individuali permesse dalla rete e dall condivisione, quali blog, podcast e tutte le applicazioni wiki.
Real word web
Ecco il nuovo nome che andrà a sostituirsi al www. Si intende qui un mondo globale dove virtuale e non sono più distinti ma integrati e dove l’accesso e il movimento delle informazioni è costante e aggiornato in tempo reale.
Il mashup e la virtualizzazione, intese come modalità di acquisizione e rielaborazione dei dati saranno la base di partenza, mentre anche la fabbricazione di pc vedrà un avanzamento in direzione di maggiore economicità a fronte di prestazioni e servizi comunque elevati, dislocati più nella rete che non nel device fisico dell’utente.
Infine il management delle informazioni e dei materiali così creati e scambiati avrà bisogno di nuove figure e nuove regole. Ma se Gartner ritiene che tale gestione sia soprattutto di business, mi sento di dire che sarà importante e fondamentale una negoziazione dei significati, delle modalità e delle nuove riorganizzazioni dei rapporti sociali che soltanto uno psicologo, con le proprie competenze professionali orientate alle relazioni e alla comunicazione, sia pur essa meta-comunicaione, può promuovere e gestire.
Foto by Neri Maria Mengalli
PSYCO-FLASH: PSICOTERAPIA SOCIALE
La psicoterapia si configura come un valido aiuto nei casi di disturbi legati all’ansia, come gli attacchi di panico, le fobie ma anche i disturbi ossessivo-compulsivi, tra cui le disfunzioni alimentari.
Purtroppo molto spesso le sedute sono costose e la terapia è lunga per poter essere intrapresa da coloro che ne abbisognano, a questo proposito, già da qualche anno, stanno crescendo le iniziative quali l’apertura gratuita dei centri in specifiche giornate, o convenzioni speciali.
Molto spesso si tratta infatti di disagi difficili persino da comunicare.
Ci sembra allora doveroso segnalare, quando possibile, nuovi servizi a disposizione della persone. Tra di essi vorremmo segnalare l’iniziativa del Centro Jonas, relativa alla seda comasca, ma agbile anche da altri luoghi, che propone un sostegno tramite la parola. È infatti attivo uno speciale numero verde per le consulenze psicoanalitiche.
L’ente si propone infatti di sviluppare un nuovo modello di psicoterapia sociale, che permette un’adesione maggiore da parte dei cittadini e la trasforma da fenomeno di elitè, in prassi comune.
Numero verde: 800-453858
Foto by M Eugenia M Guimarades
Purtroppo molto spesso le sedute sono costose e la terapia è lunga per poter essere intrapresa da coloro che ne abbisognano, a questo proposito, già da qualche anno, stanno crescendo le iniziative quali l’apertura gratuita dei centri in specifiche giornate, o convenzioni speciali.
Molto spesso si tratta infatti di disagi difficili persino da comunicare.
Ci sembra allora doveroso segnalare, quando possibile, nuovi servizi a disposizione della persone. Tra di essi vorremmo segnalare l’iniziativa del Centro Jonas, relativa alla seda comasca, ma agbile anche da altri luoghi, che propone un sostegno tramite la parola. È infatti attivo uno speciale numero verde per le consulenze psicoanalitiche.
L’ente si propone infatti di sviluppare un nuovo modello di psicoterapia sociale, che permette un’adesione maggiore da parte dei cittadini e la trasforma da fenomeno di elitè, in prassi comune.
Numero verde: 800-453858
Foto by M Eugenia M Guimarades
giovedì 22 novembre 2007
PIACERE RICERCATRICE, ANZI NO, RICERCATORE
Un’indagine condotta da Rossella Palomba, ambasciatrice per le Pari opportunità nella Scienza alla Commissione Europea, mostra che i giovani vedono le professioni scientifiche come di appannaggio esclusivo del genere maschile.
La ricerca, condotta da R. Palomba, nell’ambito dei progetti promossi dall’Irpps, Istituto per le ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, del Consiglio Nazionale delle ricerche ha visto la partecipazione di 2000 maturande in tutta Italia.
Fantasia, curiosità, dedizione e flessibilità sembrano non venire riconosciute come qualità anche femminili, e soltanto il 18% delle ragazze italiane pensa che la ricerca sia un lavoro adatto alle donne.
Gestire più aspetti contemporaneamente, dirigere e dare indicazioni non rientrano tra e caratteristiche della figura femminile, che non può pertanto diventare ricercatrice. La ricerca si è infine concentrata sulle percezioni specifiche delle ragazze napoletane (Napoli è la città che ha sviluppato il progetto).
Resta da chiarire se le percezioni riguardano la realtà dei fatti che arriva ai ragazzi tramite le immagini mass-mediali o se invece siano riferite a volontà e aspirazioni. Diverso è infatti rilevare che la volontà di ricerca sia minore nelle donne che negli uomini rispetto a dire che la figura femminile è vista in toto come inadeguata in ambiti di beneficio sociale e di indagine scientifica.
Foto by Peter Cornelius
La ricerca, condotta da R. Palomba, nell’ambito dei progetti promossi dall’Irpps, Istituto per le ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, del Consiglio Nazionale delle ricerche ha visto la partecipazione di 2000 maturande in tutta Italia.
Fantasia, curiosità, dedizione e flessibilità sembrano non venire riconosciute come qualità anche femminili, e soltanto il 18% delle ragazze italiane pensa che la ricerca sia un lavoro adatto alle donne.
Gestire più aspetti contemporaneamente, dirigere e dare indicazioni non rientrano tra e caratteristiche della figura femminile, che non può pertanto diventare ricercatrice. La ricerca si è infine concentrata sulle percezioni specifiche delle ragazze napoletane (Napoli è la città che ha sviluppato il progetto).
Resta da chiarire se le percezioni riguardano la realtà dei fatti che arriva ai ragazzi tramite le immagini mass-mediali o se invece siano riferite a volontà e aspirazioni. Diverso è infatti rilevare che la volontà di ricerca sia minore nelle donne che negli uomini rispetto a dire che la figura femminile è vista in toto come inadeguata in ambiti di beneficio sociale e di indagine scientifica.
Foto by Peter Cornelius
lunedì 19 novembre 2007
IL BRACCIO-ROBOT CHE LEGGE IL PENSIERO
E’ stato presentato a Dusseldorf un braccio-robot che capta i segnali del cervello ed esegue con precisione le azioni che il soggetto intende compiere.
Il braccio-robot che legge nel pensiero è il risultato di sette anni di ricerca presso l’istituto Frunhofer FIRST, condotti da un team di ricercatori internazionale diretti da Florin Popescu. Il braccio-robot, chiamato “Robot2brain” è stato presentato a Dusseldorf al convegno Medica 2007.
Vediamo come funziona. Il “Robot2brain”, capta ed amplifica il segnale dell’intenzione di muoversi attraverso due modalità. Attraverso un paio di occhiali speciali vengono seguiti i movimenti oculari compiuti dall’utente, in questo modo viene identificato l’oggetto-target dell’azione. Contemporaneamente vengono amplificati i segnali elettrici cerebrali, attraverso elettrodi simili a quelli usati per l’encefalogramma. Queste informazioni, provenienti da occhiali e encefalogramma vengono inviati ad un’interfaccia, la Brain-Computer Interface (BCI), che li capta e capisce quale movimento il soggetto vuole fare. Il passaggio successivo consiste nella traduzione di queste informazioni in un comando preciso ed accurato per il braccio-robot.
Quest’importante tecnologia è stata creata per aumentare l’autonomia di pazienti paralizzati, con difficoltà motorie che non gli consentono di compiere i più semplici movimenti.
Il braccio-robot che legge nel pensiero è il risultato di sette anni di ricerca presso l’istituto Frunhofer FIRST, condotti da un team di ricercatori internazionale diretti da Florin Popescu. Il braccio-robot, chiamato “Robot2brain” è stato presentato a Dusseldorf al convegno Medica 2007.
Vediamo come funziona. Il “Robot2brain”, capta ed amplifica il segnale dell’intenzione di muoversi attraverso due modalità. Attraverso un paio di occhiali speciali vengono seguiti i movimenti oculari compiuti dall’utente, in questo modo viene identificato l’oggetto-target dell’azione. Contemporaneamente vengono amplificati i segnali elettrici cerebrali, attraverso elettrodi simili a quelli usati per l’encefalogramma. Queste informazioni, provenienti da occhiali e encefalogramma vengono inviati ad un’interfaccia, la Brain-Computer Interface (BCI), che li capta e capisce quale movimento il soggetto vuole fare. Il passaggio successivo consiste nella traduzione di queste informazioni in un comando preciso ed accurato per il braccio-robot.
Quest’importante tecnologia è stata creata per aumentare l’autonomia di pazienti paralizzati, con difficoltà motorie che non gli consentono di compiere i più semplici movimenti.
foto by futurism
SOMMARIO DELLA SETTIMANA
Questa settimana abbiamo parlato di
Psicologia ed educazione:
Il ruolo del padre è fondamentale per la crescita e lo sviluppo sano della prole, sono infatti sempre di più gli studi che rivedono la posizione del genitore maschio per determinate competenze rispetto ad altre prettamente femminili.
Maria Montessori, grande pedagogista dei tempi passati, può ancora ispirare la pratica educativa dei giovani d’oggi: lo mostra un libro uscito di recente.
Differenze di genere:
Le donne, contrariamente agli stereotipi, non sono più chiacchierone degli uomini, le differenze semmai sarebbero da imputare ai differenti comportamenti durante la conversazione.
Psicologia e marketing:
La tecnica dell’eye-tracking viene utilizzata con profitto anche all’interno delle consulenze di marketing. Una tecnica psicologica che ha trovato applicazione nel mondo esterno.
Risultati sondaggio:
Ecco i commenti e i risultati del sondaggio degli scorsi giorni sulle parolacce in ufficio.
Psicologia ed educazione:
Il ruolo del padre è fondamentale per la crescita e lo sviluppo sano della prole, sono infatti sempre di più gli studi che rivedono la posizione del genitore maschio per determinate competenze rispetto ad altre prettamente femminili.
Maria Montessori, grande pedagogista dei tempi passati, può ancora ispirare la pratica educativa dei giovani d’oggi: lo mostra un libro uscito di recente.
Differenze di genere:
Le donne, contrariamente agli stereotipi, non sono più chiacchierone degli uomini, le differenze semmai sarebbero da imputare ai differenti comportamenti durante la conversazione.
Psicologia e marketing:
La tecnica dell’eye-tracking viene utilizzata con profitto anche all’interno delle consulenze di marketing. Una tecnica psicologica che ha trovato applicazione nel mondo esterno.
Risultati sondaggio:
Ecco i commenti e i risultati del sondaggio degli scorsi giorni sulle parolacce in ufficio.
sabato 17 novembre 2007
RISULTATI SONDAGGIO
Il sondaggio Parolacce in ufficio ha confermato quanto emerso dalle ricerche.
Anche per voi quindi il turpiloquio si rivela una soluzione per sfogare ansie e allentare il clima. Un'unica controindicazione: la pratica funziona soltanto se condotta entro i limiti della decenza e gli insulti sono rivolti in modo scherzoso o diretti a cose e non contro colleghi e superiori.
Siete pronti per il nuovo sondaggio?
Anche per voi quindi il turpiloquio si rivela una soluzione per sfogare ansie e allentare il clima. Un'unica controindicazione: la pratica funziona soltanto se condotta entro i limiti della decenza e gli insulti sono rivolti in modo scherzoso o diretti a cose e non contro colleghi e superiori.
Siete pronti per il nuovo sondaggio?
L’EYE-TRACKING DALLA PSICOLOGIA COGNITIVA AL MARKETING
La tecnica dell’Eye-tracking approda al MIC di Milano tra gli strumenti utili per il marketing e la rilevazione dell’efficacia comunicativa di spazi digitali. Ecco la storia del dispositivo psicologico che rivoluziona le leggi dei grafici.
L’eye-tracking è una metodologia nata all’interno della Psicologia Cognitiva e nello specifico del filone della Human Computer Interaction che registra i movimenti oculari di soggetti impegnati nella visione/lettura di pagine web.
L’impiego di questo strumento permette di verificare l’efficacia delle strategie comunicative impiegate e di verificare la reale usabilità di collegamenti ipertestuali e percorsi virtuali.
ContactLab ha presentato questa metodologia presso il Word Business Forum che si è tenuto a Milano il 23-24 ottobre. L’impiego è particolarmente utile nel campo del marketing in quanto permette di registrare con assoluta precisione, e con metodiche dotate di elevata scientificità, aree e elementi massimamente attentivi, nonché i percorsi attivati e di registrare dei tempi per ciascuno di essi.
Sarà possibile in tal modo determinare la reale visibilità del proprio banner, o l’area in cui è meglio collocarlo se si vuole che venga guardato, o dove collocare risorse e link che si ritengono utili rispetto ad altri di contorno.
L’eye-tracking è una metodologia nata all’interno della Psicologia Cognitiva e nello specifico del filone della Human Computer Interaction che registra i movimenti oculari di soggetti impegnati nella visione/lettura di pagine web.
L’impiego di questo strumento permette di verificare l’efficacia delle strategie comunicative impiegate e di verificare la reale usabilità di collegamenti ipertestuali e percorsi virtuali.
ContactLab ha presentato questa metodologia presso il Word Business Forum che si è tenuto a Milano il 23-24 ottobre. L’impiego è particolarmente utile nel campo del marketing in quanto permette di registrare con assoluta precisione, e con metodiche dotate di elevata scientificità, aree e elementi massimamente attentivi, nonché i percorsi attivati e di registrare dei tempi per ciascuno di essi.
Sarà possibile in tal modo determinare la reale visibilità del proprio banner, o l’area in cui è meglio collocarlo se si vuole che venga guardato, o dove collocare risorse e link che si ritengono utili rispetto ad altri di contorno.
PSYCO-FLASH: RILEGGERE MARIA MONTESSORI
E’ da poco uscito il libro Il bambino padre dell’uomo che propone una rilettura originale del pensiero della grande pedagogista italiana. Il testo di R. Regni confronta la corrente teorica montessoriana con altri importanti approcci allo studio del bambino, tra i quali Piaget e Bruner, con correnti di etologia, come Lorenz, e di sociologia con Gellner e Hayek. Interessanti le incursioni in territori letterari e filosofici, come gli accostamenti a Kundera.
Si tratta di una lettura interessante che mostra l’imporessionante attualità delle intuizioni educative e di teoria anche dopo la rivoluzione della neuropsicologia.
Foto by johgoodrich
Si tratta di una lettura interessante che mostra l’imporessionante attualità delle intuizioni educative e di teoria anche dopo la rivoluzione della neuropsicologia.
Foto by johgoodrich
lunedì 12 novembre 2007
IL RUOLO DEL PADRE
Il ruolo del padre all’interno della famiglia in una società che lo vede sempre meno presente: il libro di Brotherson e White ne tratteggiano le caratteristiche e i problemi che lo riguardano al giorno d’oggi.
I genitori svolgono un ruolo fondamentale ed importantissimo per il benessere psicofisiologico di un bambino e la loro presenza/assenza, nonché le interazioni che intercorrono con il proprio bambino, hanno una forte influenza sullo sviluppo del figlio.
Le ricerche si sono molto focalizzate sul comportamento e sulla funzione genitoriale della madre, talvolta sottovalutando o mettendo in secondo piano il ruolo paterno.
Nel libro “Why Fathers Count: The Importance of Fathers and Their Involvement with Children”, a cura di Sean E. Brotherson e Joseph M. White, viene sottolineata l’importanza vitale del papà, soprattutto negli anni dello sviluppo. Gli autori non vogliono minimizzare l’importanza della madre, ma rivedere il contributo del padre all’interno della vita famigliare, soprattutto in una società in cui questa figura è sempre più assente.
La presenza di un padre ha un impatto positivo in vari campi, dai problemi attitudinali a quelli accademici. E’ importante che tra padre e figlio si sviluppa un legame che li ‘connetta’ e che consenta al figlio di comprendere l’amore che il genitore ha per lui. Sentirsi connesso con il genitore permette al bambino di avere fiducia in sé, di saper costruire legami interpersonali una volta cresciuto. Uno stretto rapporto famigliare è efficace nel tutelare il figlio da problemi come la depressione, il suicidio o l’uso di droghe. Perché ciò sia possibile è importante che fin dall’infanzia il padre giochi e condivida esperienze con il figlio. In particolare il padre sembra essere il custode dell’autorità, è colui che stabilisce i paletti e che definisce i comportamenti accettabili e non accettabili.
Una sezione del libro è invece dedicata alle problematiche che riguardano il padre al giorno d’oggi. A causa della fragilità dei matrimoni, all’allungamento della giovinezza, questa figura spesso non fa parte della vita quotidiana del bambino. In particolare è stata rilevata una difficoltà ad assumersi le responsabilità che implica questo ruolo. La transizione verso la paternità, prosegue, è un momento di grande svolta nella vita di un uomo. Se l’uomo è disposto ad entrare in questo rapporto con i figli, diventa uno dei cambiamenti più grandi nella sua vita e nel suo sviluppo come persona.
I genitori svolgono un ruolo fondamentale ed importantissimo per il benessere psicofisiologico di un bambino e la loro presenza/assenza, nonché le interazioni che intercorrono con il proprio bambino, hanno una forte influenza sullo sviluppo del figlio.
Le ricerche si sono molto focalizzate sul comportamento e sulla funzione genitoriale della madre, talvolta sottovalutando o mettendo in secondo piano il ruolo paterno.
Nel libro “Why Fathers Count: The Importance of Fathers and Their Involvement with Children”, a cura di Sean E. Brotherson e Joseph M. White, viene sottolineata l’importanza vitale del papà, soprattutto negli anni dello sviluppo. Gli autori non vogliono minimizzare l’importanza della madre, ma rivedere il contributo del padre all’interno della vita famigliare, soprattutto in una società in cui questa figura è sempre più assente.
La presenza di un padre ha un impatto positivo in vari campi, dai problemi attitudinali a quelli accademici. E’ importante che tra padre e figlio si sviluppa un legame che li ‘connetta’ e che consenta al figlio di comprendere l’amore che il genitore ha per lui. Sentirsi connesso con il genitore permette al bambino di avere fiducia in sé, di saper costruire legami interpersonali una volta cresciuto. Uno stretto rapporto famigliare è efficace nel tutelare il figlio da problemi come la depressione, il suicidio o l’uso di droghe. Perché ciò sia possibile è importante che fin dall’infanzia il padre giochi e condivida esperienze con il figlio. In particolare il padre sembra essere il custode dell’autorità, è colui che stabilisce i paletti e che definisce i comportamenti accettabili e non accettabili.
Una sezione del libro è invece dedicata alle problematiche che riguardano il padre al giorno d’oggi. A causa della fragilità dei matrimoni, all’allungamento della giovinezza, questa figura spesso non fa parte della vita quotidiana del bambino. In particolare è stata rilevata una difficoltà ad assumersi le responsabilità che implica questo ruolo. La transizione verso la paternità, prosegue, è un momento di grande svolta nella vita di un uomo. Se l’uomo è disposto ad entrare in questo rapporto con i figli, diventa uno dei cambiamenti più grandi nella sua vita e nel suo sviluppo come persona.
foto by stanley-clifton
I CHIACCHIERONI: UOMINI O DONNE?
Una ricerca californiana smentisce lo stereotipo che le donne sono più chiacchierone degli uomini. Le differenze tra uomini e donne non sono relative alla quantità di parole pronunciate, piuttosto al comportamento utilizzato in determinati contesti e situazioni.
E’ convizione condivisa che le donne siano delle gran chiacchierone. Una meta-analisi, condotta presso l’università di Santa Cruz, in California, smentisce questa credenza popolare. Non bisogna però pensare che fosse solo la folk psicologia a sostenere questa tesi, poiché anche alcuni studi sulla comunicazione indicavano risultati a supporto.
Quest’ultimi risultati emergono da una meta-analisi sulle ricerche riguardanti questo tema degli ultimi decenni. I dati ottenuti mostrano che non sussiste una sostanziale differenza nel numero di parole pronunciate da uomini e donne. Piuttosto uomini e donne si differenziano per il loro livello di loquacità in base ai contesti in cui si trovano.
La ricerca, pubblicata su ‘Personality and Social Psychology Review’ descrive le donne come più chiacchierone con i figli o con le amiche e compagne di scuola. Inoltre le donne di fronte agli estranei, sono loquaci, per cercare di instaurare un rapporto con l’interlocutore. Gli uomini invece risultano essere dei gran chiacchieroni all’interno della famiglia, con le proprie mogli, e in contesti estranei attuano la tecnica del ‘fiume di parole’, con la finalità di influenzare l’ascoltatore.
Le autrici della ricerca commentano i risultati come confutazione degli stereotipi di genere sull’uso del linguaggio e sostengono"La convinzione che il cervello femminile sia 'costruito' biologicamente in modo da chiacchierare piu' degli uomini e' difficile da confutare. Tuttavia i dati indicano che le differenze dei sessi appaiono e scompaiono, in base al contesto"
Foto by Fioralainn Photography
E’ convizione condivisa che le donne siano delle gran chiacchierone. Una meta-analisi, condotta presso l’università di Santa Cruz, in California, smentisce questa credenza popolare. Non bisogna però pensare che fosse solo la folk psicologia a sostenere questa tesi, poiché anche alcuni studi sulla comunicazione indicavano risultati a supporto.
Quest’ultimi risultati emergono da una meta-analisi sulle ricerche riguardanti questo tema degli ultimi decenni. I dati ottenuti mostrano che non sussiste una sostanziale differenza nel numero di parole pronunciate da uomini e donne. Piuttosto uomini e donne si differenziano per il loro livello di loquacità in base ai contesti in cui si trovano.
La ricerca, pubblicata su ‘Personality and Social Psychology Review’ descrive le donne come più chiacchierone con i figli o con le amiche e compagne di scuola. Inoltre le donne di fronte agli estranei, sono loquaci, per cercare di instaurare un rapporto con l’interlocutore. Gli uomini invece risultano essere dei gran chiacchieroni all’interno della famiglia, con le proprie mogli, e in contesti estranei attuano la tecnica del ‘fiume di parole’, con la finalità di influenzare l’ascoltatore.
Le autrici della ricerca commentano i risultati come confutazione degli stereotipi di genere sull’uso del linguaggio e sostengono"La convinzione che il cervello femminile sia 'costruito' biologicamente in modo da chiacchierare piu' degli uomini e' difficile da confutare. Tuttavia i dati indicano che le differenze dei sessi appaiono e scompaiono, in base al contesto"
Foto by Fioralainn Photography
lunedì 5 novembre 2007
ASCOLTARE LA MUSICA, CHIUDERE GLI OCCHI
La Wake Forest University ha indagato il meccanismo cognitivo attivato durante l’ascolto di brani musicali. Il cervello compie una sorta di isolamento, che aumenta l’attività dell’area preposta all’ascolto.
I meccanismi cognitivi alla base della percezione visiva e uditiva differiscono. In particolare alcuni stimoli uditivi, i brani musicali, permettono una maggiore attivazione dell’area cerebrale ad essa preposta, a discapito dell’area di percezione visiva.
Lo studio che ha evidenziato questo particolare meccanismo cognitivo, è stato condotto presso la Wake Forest University della Carolina del Nord e presentato al congresso della società statunitense per le Neuroscienze. Attraverso la risonanza magnetica è stata registrata l’attività degli impulsi elettrici e l’afflusso di sangue su direttori di orchestra o musicisti e ascoltatori inesperti.
Dalla risonanza magnetica è emerso una maggiore attività cerebrale nell’area dell’ascolto e una diminuzione nell’area della visione. L’attivazione dell’area uditiva è risulta meno marcata nei soggetti ‘esperti’, quali direttori d’orchestra e musicisti. Questo risultato è stato interpretato come minore necessità di distogliere risorse all’attività della vista, ossia come maggiore allenamento cerebrale ad ascoltare e contemporaneamente vedere.
In sintesi durante l’ascolto di un brano musicale chiudiamo gli occhi, per dedicarci più attentamente all’ascolto.
I meccanismi cognitivi alla base della percezione visiva e uditiva differiscono. In particolare alcuni stimoli uditivi, i brani musicali, permettono una maggiore attivazione dell’area cerebrale ad essa preposta, a discapito dell’area di percezione visiva.
Lo studio che ha evidenziato questo particolare meccanismo cognitivo, è stato condotto presso la Wake Forest University della Carolina del Nord e presentato al congresso della società statunitense per le Neuroscienze. Attraverso la risonanza magnetica è stata registrata l’attività degli impulsi elettrici e l’afflusso di sangue su direttori di orchestra o musicisti e ascoltatori inesperti.
Dalla risonanza magnetica è emerso una maggiore attività cerebrale nell’area dell’ascolto e una diminuzione nell’area della visione. L’attivazione dell’area uditiva è risulta meno marcata nei soggetti ‘esperti’, quali direttori d’orchestra e musicisti. Questo risultato è stato interpretato come minore necessità di distogliere risorse all’attività della vista, ossia come maggiore allenamento cerebrale ad ascoltare e contemporaneamente vedere.
In sintesi durante l’ascolto di un brano musicale chiudiamo gli occhi, per dedicarci più attentamente all’ascolto.
foto by CarbonNYC
MAL DI CITTA'
Ambiente urbano e depressione, un binomio che sta diventando allarmante. Si stima che solo a Milano ogni anno si ammalano di ‘mal di città’ 100mila persone, la maggior parte donne.
L’ambiente in cui si vive è un fattore determinante il benessere e la salute mentale dell’individuo. La psicologia ambientale in parte si occupa delle conseguenze che l’ambiente urbano può causare a livello psicologico e sociale sugli individui, studiando accorgimenti e soluzioni idonee a sviluppare benessere in senso generale. Pensare alla città, non solo dal punto di vista ‘materiale’ sta diventando una necessità. Infatti emerge uno spaventoso aumento di casi di depressione nei centri urbani.
A Milano le cifre si fanno allarmanti, con un aumento del 3,6% del numero di persone che hanno assunto depressivi nell’arco di soli due anni (dal 2005 al 2006). E’ il cosiddetto ‘mal di città’, una depressione caratterizzata da cattivo umore, ansia, dipendenza da alcolici e stupefacenti, un aumento del rischio di schizofrenia, causata da stress, isolamento sociale e ‘ambiente ostile’. 100 mila milanesi l’anno cadono nel tunnel della depressione.
Studi internazionali hanno evidenziato un aumento del rischio di depressione dal 12% al 20% in correlazione all’aumentare del livello di urbanizzazione. Chi nasce e vive in un ambiente urbanizzato fino a 13 anni accresce del 13% il rischio di schizofrenia, e per soffrire di depressione non serve vivere in una metropoli, ma basta abitare in una città con più di 200 mila abitanti, spiega Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano.
Le persone più a rischio sono donne ed anziani, basti pensare che dei 100mila milanesi che si ammalano di depressione l’anno, 70mila sono donne. In particolare le donne over 64 sono la fascia considerata più fragile e quindi più a rischio, poiché patiscono maggiormente gli effetti di una società indifferente, con la sensazione di essere soli in mezzo ad una folla.
Questi dati sono da tenere in considerazione per il futuro, dove il fenomeno dell’urbanizzazione sarà sempre più importante. Sarà necessario fornire fondi e personale per queste aree problematiche troppo spesso sottovalutate e risolte con la sola prescrizione di psicofarmaci.
L’ambiente in cui si vive è un fattore determinante il benessere e la salute mentale dell’individuo. La psicologia ambientale in parte si occupa delle conseguenze che l’ambiente urbano può causare a livello psicologico e sociale sugli individui, studiando accorgimenti e soluzioni idonee a sviluppare benessere in senso generale. Pensare alla città, non solo dal punto di vista ‘materiale’ sta diventando una necessità. Infatti emerge uno spaventoso aumento di casi di depressione nei centri urbani.
A Milano le cifre si fanno allarmanti, con un aumento del 3,6% del numero di persone che hanno assunto depressivi nell’arco di soli due anni (dal 2005 al 2006). E’ il cosiddetto ‘mal di città’, una depressione caratterizzata da cattivo umore, ansia, dipendenza da alcolici e stupefacenti, un aumento del rischio di schizofrenia, causata da stress, isolamento sociale e ‘ambiente ostile’. 100 mila milanesi l’anno cadono nel tunnel della depressione.
Studi internazionali hanno evidenziato un aumento del rischio di depressione dal 12% al 20% in correlazione all’aumentare del livello di urbanizzazione. Chi nasce e vive in un ambiente urbanizzato fino a 13 anni accresce del 13% il rischio di schizofrenia, e per soffrire di depressione non serve vivere in una metropoli, ma basta abitare in una città con più di 200 mila abitanti, spiega Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano.
Le persone più a rischio sono donne ed anziani, basti pensare che dei 100mila milanesi che si ammalano di depressione l’anno, 70mila sono donne. In particolare le donne over 64 sono la fascia considerata più fragile e quindi più a rischio, poiché patiscono maggiormente gli effetti di una società indifferente, con la sensazione di essere soli in mezzo ad una folla.
Questi dati sono da tenere in considerazione per il futuro, dove il fenomeno dell’urbanizzazione sarà sempre più importante. Sarà necessario fornire fondi e personale per queste aree problematiche troppo spesso sottovalutate e risolte con la sola prescrizione di psicofarmaci.
foto by H3LmY
SOMMARIO DELLA SETTIMANA
Questa settimana ci siamo occupate di....
- benessere ed età: nonostante la pensione sia da molti agognata, il termine dell'età lavorativa è vissuta da molte persone in modo negativo. Se i primi mesi vengono vissuti in modo euforico dalla gran parte dei neo-pensionati, grazie al molto tempo libero disponibile; in seguito il nuovo stato viene vissuto in modo negativo a causa della mancanza di scopi.
- Zelig like sindrome: un caso nel mondo ha attirato l'interesse della comunità scientifica. Dopo un danno cerebrale causato da ictus, un sessantenne acquisisce il comportamento della persona che gli sta di fronte, come il famoso personaggio del film di Woody Allen.
- allenamento mentale: conversare non è solo uno svago. Una ricerca ha infatti mostrato che conversare con qualcuno è un vero è proprio allenamento per il cervello, come le parole crociate. Altro che brain training, parliamo di più!
- ottimismo: pensare positivo tiene lontana la depressione. Una ricerca ha indagato i circuiti neuronali coinvolti nel pensiero positivo, attraverso l'uso della risonanza magnetica funzionale.
- infanzia: un libro denuncia su genitori inadegati. 'Voglio urlare' di Monica Marghetti
sabato 3 novembre 2007
PSYCO-FLASH: PROTEGGERE L’INFANZIA
Voglio urlare è un libro che sotto forma di racconto autobiografico svela la tristezza la difficoltà dell’infanzia della protagonista. La famiglia, i genitori in questo libro sono esempio di caregiver inadeguati che causano sulla prole problemi e ansie.
Non si tratta di un caso psicologico, ma riflette molto bene la difficile condizione di vita fei bambini quando si trovano a confronto con genitori inadeguati.
Con la prefazione di Mario Rizzardi, docente di Psicologia dello sviluppo e di Psicologia sociale presso l'università di Urbino:
Voglio urlare
di Monica Marghetti
Ed: Fuoridallerotte
Foto by grandesonno
Non si tratta di un caso psicologico, ma riflette molto bene la difficile condizione di vita fei bambini quando si trovano a confronto con genitori inadeguati.
Con la prefazione di Mario Rizzardi, docente di Psicologia dello sviluppo e di Psicologia sociale presso l'università di Urbino:
Voglio urlare
di Monica Marghetti
Ed: Fuoridallerotte
Foto by grandesonno
SIATE OTTIMISTI!
L’ottimismo dipende da uno specifico percorso neuronale, che ci rende maggiormente positivi e contrasta l’insorgenza della depressione. Di seguito la ricerca, pubblicata su Nature Neuroscienze.
E. A. Phelps, insieme al suo gruppo di ricerca della New York University ha scoperto che pensare positivo attiva specifici meccanismi neuronali. L’impianto metodologico prevedeva la rilevazione, tramite fMRI (risonanza magnetica funzionale), dell’attività cerebrale di soggetti che pensavano al proprio futuro.
Chi immaginava un futuro roseo mostrava livelli più alti nelle aree dell’amigdala e del giri rostrato anteriore. Queste aree sono strettamente collegate anche agli stati depressivi, che ne provocano alterazioni come oscillamento dei valori e diminuizione dell’attività. Non soltanto, le persone ottimiste tendono ad avere livelli di base line maggiori di chi è pessimista.
In sintesi, essere ottimisti fa bene alla salute e previene dal rischio di depressione. La ricerca è inoltre scientificamente importante perché individua delle strutture specifiche collegate al positive thinking.
Foto by lorenzodon
E. A. Phelps, insieme al suo gruppo di ricerca della New York University ha scoperto che pensare positivo attiva specifici meccanismi neuronali. L’impianto metodologico prevedeva la rilevazione, tramite fMRI (risonanza magnetica funzionale), dell’attività cerebrale di soggetti che pensavano al proprio futuro.
Chi immaginava un futuro roseo mostrava livelli più alti nelle aree dell’amigdala e del giri rostrato anteriore. Queste aree sono strettamente collegate anche agli stati depressivi, che ne provocano alterazioni come oscillamento dei valori e diminuizione dell’attività. Non soltanto, le persone ottimiste tendono ad avere livelli di base line maggiori di chi è pessimista.
In sintesi, essere ottimisti fa bene alla salute e previene dal rischio di depressione. La ricerca è inoltre scientificamente importante perché individua delle strutture specifiche collegate al positive thinking.
Foto by lorenzodon
mercoledì 31 ottobre 2007
ALLENA LA MENTE CONVERSANDO
Le conversazioni allenano la mente come le parole crociate. E’ quanto emerge dallo studio del dottor Ybarra, condotto presso l’Università del Michigan.
L’uomo è un essere comunicante. La comunicazione, infatti, riveste un ruolo molto importante nella vita delle persone. Non può essere semplicemente considerata uno strumento per ottenere beni e per soddisfare i propri bisogni. La comunicazione è una vera e propria dimensione psicologica, costituente per l’uomo. Infatti la comunicazione sta alla base della creazione e mantenimento delle relazioni a livello micro, e della costituzione di comunità a livello macro poiché consente la condivisione di significati.
Un’interessante studio ha indagato l’influenza delle conversazioni su memoria ed attività cognitive.
La ricerca è stata condotta da Oscar Ybarra, psicologo dell’Institute for Social Research dell’Università del Michigan. Lo studio ha coinvolto 3.610 persone di età compresa tra i 24 e i 96 anni, che sono state sottoposte al ‘mini-mental exam’, inoltre sono state registrate le loro abitudini riguardo i contatti sociali (frequenza e durata delle conversazioni, sia face to face, sia mediate dal telefono). La finalità era quella di indagare il legame tra relazioni sociali e rendimento cognitivo. Per questo motivo è stato utilizzato il ‘mini-mental exam’, test che valuta le conoscenze di carattere generale e la working memory.
Dai risultati è emersa una correlazione significativa tra frequenza dei contatti sociali e ‘mini-mental exam’. Quanto più frequenti sono le relazioni sociali, più sono positive le capacità cognitive. Sembrerebbe dunque che le conversazioni siano un allenamento mentale, e migliorino le abilità cognitive. "Questo esperimento mostra come le interazioni sociali influenzino direttamente la memoria e la performance mentale in modo positivo - ha commentato Ybarra - come se fare una conversazione con un amico avesse gli stessi effetti positivi di fare le parole crociate". Gli effetti dell’isolamento sociale non sono invece stati indagati, e per questo è solo possibile ipotizzare un effetto negativo sulle abilità cognitive, che rimane tuttavia da approfondire.
L’uomo è un essere comunicante. La comunicazione, infatti, riveste un ruolo molto importante nella vita delle persone. Non può essere semplicemente considerata uno strumento per ottenere beni e per soddisfare i propri bisogni. La comunicazione è una vera e propria dimensione psicologica, costituente per l’uomo. Infatti la comunicazione sta alla base della creazione e mantenimento delle relazioni a livello micro, e della costituzione di comunità a livello macro poiché consente la condivisione di significati.
Un’interessante studio ha indagato l’influenza delle conversazioni su memoria ed attività cognitive.
La ricerca è stata condotta da Oscar Ybarra, psicologo dell’Institute for Social Research dell’Università del Michigan. Lo studio ha coinvolto 3.610 persone di età compresa tra i 24 e i 96 anni, che sono state sottoposte al ‘mini-mental exam’, inoltre sono state registrate le loro abitudini riguardo i contatti sociali (frequenza e durata delle conversazioni, sia face to face, sia mediate dal telefono). La finalità era quella di indagare il legame tra relazioni sociali e rendimento cognitivo. Per questo motivo è stato utilizzato il ‘mini-mental exam’, test che valuta le conoscenze di carattere generale e la working memory.
Dai risultati è emersa una correlazione significativa tra frequenza dei contatti sociali e ‘mini-mental exam’. Quanto più frequenti sono le relazioni sociali, più sono positive le capacità cognitive. Sembrerebbe dunque che le conversazioni siano un allenamento mentale, e migliorino le abilità cognitive. "Questo esperimento mostra come le interazioni sociali influenzino direttamente la memoria e la performance mentale in modo positivo - ha commentato Ybarra - come se fare una conversazione con un amico avesse gli stessi effetti positivi di fare le parole crociate". Gli effetti dell’isolamento sociale non sono invece stati indagati, e per questo è solo possibile ipotizzare un effetto negativo sulle abilità cognitive, che rimane tuttavia da approfondire.
foto by ru
martedì 30 ottobre 2007
ZELIG LIKE SINDROME
Dal 2005 è in cura presso Villa Camaldoli un paziente, che in seguito ad un trauma cerebrale, acquisisce il comportamento della persona di fronte a lui.
Un’equipe di medici presso Villa Camaldoli ha in cura dal 2005 un paziente con una particolare sindrome comportamentale, che lo porta ad acquisire i comportamenti della persona che gli sta di fronte. Questo particolare disturbo comportamentale è stato chiamato ‘Zelig Like Sindrome’, nome ispirato al film di Woody Allen del 1983. In questo film Leonard Zelig è vittima di una malattia che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti in base al contesto in cui l’individuo si trova.
Questo caso è per il momento l’unico al mondo diagnosticato, ed è stato pubblicato nel febbraio 2007 sulla rivista scientifica ‘Neurocase’ e sul sito ‘The British Psychological Society’.
Il paziente affetto è un signore napoletano di 65 anni, che ha mostrato tali sintomi a seguito di un arresto cardiaco con ipossia cerebrale, che ha determinato danni cerebrali in quella parte di cervello deputata al controllo dei comportamenti.
Sintomi della sindrome si sono manifestati subito dopo il trauma. Il paziente è tuttora sottoposto a cure farmacologiche e terapie comportamentali.
Un’equipe di medici presso Villa Camaldoli ha in cura dal 2005 un paziente con una particolare sindrome comportamentale, che lo porta ad acquisire i comportamenti della persona che gli sta di fronte. Questo particolare disturbo comportamentale è stato chiamato ‘Zelig Like Sindrome’, nome ispirato al film di Woody Allen del 1983. In questo film Leonard Zelig è vittima di una malattia che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti in base al contesto in cui l’individuo si trova.
Questo caso è per il momento l’unico al mondo diagnosticato, ed è stato pubblicato nel febbraio 2007 sulla rivista scientifica ‘Neurocase’ e sul sito ‘The British Psychological Society’.
Il paziente affetto è un signore napoletano di 65 anni, che ha mostrato tali sintomi a seguito di un arresto cardiaco con ipossia cerebrale, che ha determinato danni cerebrali in quella parte di cervello deputata al controllo dei comportamenti.
Sintomi della sindrome si sono manifestati subito dopo il trauma. Il paziente è tuttora sottoposto a cure farmacologiche e terapie comportamentali.
foto by Colin Swan
lunedì 29 ottobre 2007
IL BENESSERE NON VA IN PENSIONE
Uno dei temi sociali attuali riguarda l’età pensionabile. Dal punto di vista della psicologia il termine del periodo lavorativo non è sempre positivo. Alcuni studiosi sostengono che si tratti invece di un periodo di possibili disagi, vediamo perché.
M. Csikszentmihaly, docente e ricercatore di Psicologia presso l’Università di Chicago, insieme ai suoi collaboratori ha condotto uno studio che metteva a confronto persone lavoratrici e pensionati. Analizzando i loro pensieri ed atteggiamenti ha classificato i partecipanti in positive thinkers e negative thinkers. I positive sono ben il 54% tra i lavoratori, ma soltanto il 18% tra i pensionati.
La spiegazione di come questo sia possibile viene fornita da ricerche condotte da C. Sharpley, docente alla New England University. Secondo il professore, la pensione corrisponde ad uno stato nuovo che l’individuo deve imparare a fronteggiare. I primi mesi, di solito fino al sesto, sono caratterizzati da euforia e piacere, da un sdenso di rinnovo e cura per se stessi, ma in seguito a questo periodo idilliaco possono intervenire, e di fatto intervengono nella maggioranza dei casi, elementi negativi dovuti allo spaesamento. Le cause principali sono la mancanza di scopi precisi e il non dover giustificare le proprie prestazioni e capacità, ma anche le relazioni sentimentali tendono ad appiattirsi.
A parere dell’autrice, tali inconvenienti sono risolvibili in parte con l’impegno in attività gradevoli per il soggetto e con la frequentazione di hobby che siano quanto più possibile di ordine sociale, in modo da non perdere il contatto con la realtà e non percepire di essere scesi da un treno che percorrerà la sua corsa lontano da noi. Il riposo , prima o poi, l’esito meritato e il clima sociale e di sostegno può essere molto influente su possibili crisi intervenienti.
Fonte: Lavelle P. I was fine, till I retired
M. Csikszentmihaly, docente e ricercatore di Psicologia presso l’Università di Chicago, insieme ai suoi collaboratori ha condotto uno studio che metteva a confronto persone lavoratrici e pensionati. Analizzando i loro pensieri ed atteggiamenti ha classificato i partecipanti in positive thinkers e negative thinkers. I positive sono ben il 54% tra i lavoratori, ma soltanto il 18% tra i pensionati.
La spiegazione di come questo sia possibile viene fornita da ricerche condotte da C. Sharpley, docente alla New England University. Secondo il professore, la pensione corrisponde ad uno stato nuovo che l’individuo deve imparare a fronteggiare. I primi mesi, di solito fino al sesto, sono caratterizzati da euforia e piacere, da un sdenso di rinnovo e cura per se stessi, ma in seguito a questo periodo idilliaco possono intervenire, e di fatto intervengono nella maggioranza dei casi, elementi negativi dovuti allo spaesamento. Le cause principali sono la mancanza di scopi precisi e il non dover giustificare le proprie prestazioni e capacità, ma anche le relazioni sentimentali tendono ad appiattirsi.
A parere dell’autrice, tali inconvenienti sono risolvibili in parte con l’impegno in attività gradevoli per il soggetto e con la frequentazione di hobby che siano quanto più possibile di ordine sociale, in modo da non perdere il contatto con la realtà e non percepire di essere scesi da un treno che percorrerà la sua corsa lontano da noi. Il riposo , prima o poi, l’esito meritato e il clima sociale e di sostegno può essere molto influente su possibili crisi intervenienti.
Fonte: Lavelle P. I was fine, till I retired
SOMMARIO DELLA SETTIMANA
Questa settimana ci siamo occupate di:
-infanzia: i problemi di ansia e stress affligono sempre più anche i bambini. Una ricerca svela i problemi emrgenti.
-autismo: nuove possibilità scoperte da una ricerca.
-felicità: come i muscoli facciali intervengono nell'espressione e nel riconoscimento del sentimento della gioia
-infanzia: i problemi di ansia e stress affligono sempre più anche i bambini. Una ricerca svela i problemi emrgenti.
-autismo: nuove possibilità scoperte da una ricerca.
-felicità: come i muscoli facciali intervengono nell'espressione e nel riconoscimento del sentimento della gioia
venerdì 26 ottobre 2007
LA FELICITA’ INCARNATA
Secondo l’Approccio Embodied le emozioni si esprimono attraverso i muscoli, ma anche chi le codifica e riceve mette in atto dei micro-movimenti per poterle riconoscere. Secondo Ramachandran la tensione o impegno dei muscoli deputati al riconoscimento delle emozioni, soprattutto di quelli facciali, interagisce con la capacità di nominarle.
Social Neuroscience ha pubblicato una ricerca condotta da Ramachandran e colleghi che mostra come l’intervento di tre fattori immobilizzanti o interferenti con l’espressione facciale delle emozioni ne alteri anche il riconoscimento.
12 soggetti venivano sottoposti a volti che rappresentavano 4 emozioni in 4 differenti intensità, il loro compito consisteva nel riconoscere l’emozione mostrata e nell’indicarne l’intensità.
I gruppi sperimentali erano tre: il primo masticava un chewin-gum; il secondo stringeva tra i denti una penna in orizzontale e infine il terzo stringeva una penna con le labbra in posizione verticale.
I risultati relativi alla felicità hanno mostrato che tenere in bocca la penna in orizzontale inibisce l’emozione della gioia, dato che sono proprio i muscoli perilabiali a favorirne il riconoscimento; mentre la gomma da masticare interferisce soltanto quando si trova in posizioni che impegnano i muscoli labiali e del sorriso.
Per le altre emozioni i risultati sono stati meno significativi, con un eccezione per il disgusto. In ogni caso l’Approccio Embodied sembra essere una buona strada per riunire i filoni della biologia e della psicologia, in vista di un’elaborazione comune delle famiglie di emozioni e delle reazioni centrali e periferiche ad esse connesse.
Social Neuroscience ha pubblicato una ricerca condotta da Ramachandran e colleghi che mostra come l’intervento di tre fattori immobilizzanti o interferenti con l’espressione facciale delle emozioni ne alteri anche il riconoscimento.
12 soggetti venivano sottoposti a volti che rappresentavano 4 emozioni in 4 differenti intensità, il loro compito consisteva nel riconoscere l’emozione mostrata e nell’indicarne l’intensità.
I gruppi sperimentali erano tre: il primo masticava un chewin-gum; il secondo stringeva tra i denti una penna in orizzontale e infine il terzo stringeva una penna con le labbra in posizione verticale.
I risultati relativi alla felicità hanno mostrato che tenere in bocca la penna in orizzontale inibisce l’emozione della gioia, dato che sono proprio i muscoli perilabiali a favorirne il riconoscimento; mentre la gomma da masticare interferisce soltanto quando si trova in posizioni che impegnano i muscoli labiali e del sorriso.
Per le altre emozioni i risultati sono stati meno significativi, con un eccezione per il disgusto. In ogni caso l’Approccio Embodied sembra essere una buona strada per riunire i filoni della biologia e della psicologia, in vista di un’elaborazione comune delle famiglie di emozioni e delle reazioni centrali e periferiche ad esse connesse.
foto by sara carallo
mercoledì 24 ottobre 2007
NUOVE POSSIBILITA' PER LA RICERCA SULL'AUTISMO
Nuovo progetto per la ricerca sull’autismo, la ‘Banca dati biologici e clinici’, progetto che intende raccogliere il Dna di bambini autistici e dei loro familiari.
In Italia 6 bambini su 1.000 sono autistici, con una prevalenza dei maschi. L’autismo è definita sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico, e comporta deficit delle funzioni di relazione e comunicazione. Attualmente non è stata ancora identificata la causa della sindrome, sebbene le ipotesi secondo cui l’autismo sia causato da comportamenti inadeguati della madre è stata confutata. Sono state avvalorate le ipotesi sulle origini genetiche del disturbo, ma non è ancora chiare il ruolo dell’ambiente nella sua insorgenza.
E’ stata presentato un nuovo progetto promosso dalla Fondazione Smith Kline, l’istituzione di una ‘banca dati biologici e clinici’ con la finalità di definire la cause della patologia e individuare possibili cure. Il progetto intende raccogliere il Dna dei pazienti e dei loro familiari, attraverso 18 centri distribuiti su tutto il territorio nazionale.
La speranza del progetto è anche quella di aiutare i parenti dei bambini autistici a sfuggire ai cosiddetti ‘spacciatori di illusioni’ a coloro che speculano sul dolore altrui, illudendoli di trovare la soluzione per il proprio caso.
In Italia 6 bambini su 1.000 sono autistici, con una prevalenza dei maschi. L’autismo è definita sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico, e comporta deficit delle funzioni di relazione e comunicazione. Attualmente non è stata ancora identificata la causa della sindrome, sebbene le ipotesi secondo cui l’autismo sia causato da comportamenti inadeguati della madre è stata confutata. Sono state avvalorate le ipotesi sulle origini genetiche del disturbo, ma non è ancora chiare il ruolo dell’ambiente nella sua insorgenza.
E’ stata presentato un nuovo progetto promosso dalla Fondazione Smith Kline, l’istituzione di una ‘banca dati biologici e clinici’ con la finalità di definire la cause della patologia e individuare possibili cure. Il progetto intende raccogliere il Dna dei pazienti e dei loro familiari, attraverso 18 centri distribuiti su tutto il territorio nazionale.
La speranza del progetto è anche quella di aiutare i parenti dei bambini autistici a sfuggire ai cosiddetti ‘spacciatori di illusioni’ a coloro che speculano sul dolore altrui, illudendoli di trovare la soluzione per il proprio caso.
foto by cindy 45472
martedì 23 ottobre 2007
PICCOLI ADULTI CRESCONO
Ansia e stress sono problemi che colpiscono un numero sempre crescente di bambini. Le innumerevoli attività a cui partecipano e gli eventi del mondo veicolati dai media li spaventano e li traumatizzano.
I bambini di oggi vivono un’infanzia che non è più infanzia, sono adulti in un corpo di bambino. Gli innumerevoli stimoli a cui sono sottoposti li aiutano a sviluppare competenze e ad acquisire conoscenze a volte troppo presto. Inoltre fin da piccoli vengono caricati di responsabilità e vivono le attività non come svago ma come impegno stressante.
In Inghilterra un’indagine ha messo in evidenza queste tendenze e sta monitorando la situazione. La ricerca è condotta da Robin Alexander, pedagogista presso le Università di Cambridge e Warwick, di cui i primi dati raccolti sono stati pubblicati sull'Indipendent e sul Guardian. La ricerca ha coinvolto 750 soggetti, tra parenti, insegnanti e studenti, intervistati sulle abitudini e stili di vita dei bambini tra i7 e gli 11 anni.
Dalle interviste raccolte è emerso che i bambini del 2000 mostrano in numero significativo comportamenti antisociali, materialismo, “culto della celebrità”, ansia da prestazione e paura incontrollata per il mondo esterno. I bambini risultano stressati e ansiosi nel confronto del mondo.
I bambini sono sottoposti ad un bombardamento di informazioni trasmesse dai media, ma troppo spesso ascoltano queste informazioni in totale solitudine senza la mediazione protettrice dei genitori. I media trasmettono quotidianamente notizie di violenza e di catastrofi, cosicché i bambini si preoccupano di temi come il terrorismo o il surriscaldamento del globo.
Inoltre le loro vite sono piene di impegni: corsi di inglese, nuoto, danza. I motivi che spingono i genitori a iscriverli al maggior numero di corsi, a fargli sperimentare il maggior numero di esperienze possibili, non è più dovuto alla “teoria dell’attività”, secondo cui più il bambino è impegnato minore è la possibilità che ‘faccia conoscenze sbagliate’. Tutti questi impegni sono dovuti al desiderio dei genitori di avere un ‘piccolo genio in famiglia’, aspettative che caricano di responsabilità bambini nell’età che dovrebbe essere della spensieratezza.
Il riconoscimento delle potenzialità del bambino senza dubbio hanno il pregio di aiutarlo nello sviluppo, ma i bambini rimangono comunque bambini e non hanno ancora tutte le competenze e gli strumenti per comprendere tutti i dati a disposizione. Dobbiamo però ricordare che la ricerca di cui abbiamo riportato i risultati è stata condotta in Inghilterra, mentre nel nostro paese la situazione è un po’ diversa. Secondo il rapporto dell’Unicef ‘Quadro comparativo sul benessere dei bambini nei paesi ricchi’, i bambini italiani riferiscono di stare bene con i propri genitori, e in generale meglio rispetto ad altri paesi industrializzati.
I bambini di oggi vivono un’infanzia che non è più infanzia, sono adulti in un corpo di bambino. Gli innumerevoli stimoli a cui sono sottoposti li aiutano a sviluppare competenze e ad acquisire conoscenze a volte troppo presto. Inoltre fin da piccoli vengono caricati di responsabilità e vivono le attività non come svago ma come impegno stressante.
In Inghilterra un’indagine ha messo in evidenza queste tendenze e sta monitorando la situazione. La ricerca è condotta da Robin Alexander, pedagogista presso le Università di Cambridge e Warwick, di cui i primi dati raccolti sono stati pubblicati sull'Indipendent e sul Guardian. La ricerca ha coinvolto 750 soggetti, tra parenti, insegnanti e studenti, intervistati sulle abitudini e stili di vita dei bambini tra i7 e gli 11 anni.
Dalle interviste raccolte è emerso che i bambini del 2000 mostrano in numero significativo comportamenti antisociali, materialismo, “culto della celebrità”, ansia da prestazione e paura incontrollata per il mondo esterno. I bambini risultano stressati e ansiosi nel confronto del mondo.
I bambini sono sottoposti ad un bombardamento di informazioni trasmesse dai media, ma troppo spesso ascoltano queste informazioni in totale solitudine senza la mediazione protettrice dei genitori. I media trasmettono quotidianamente notizie di violenza e di catastrofi, cosicché i bambini si preoccupano di temi come il terrorismo o il surriscaldamento del globo.
Inoltre le loro vite sono piene di impegni: corsi di inglese, nuoto, danza. I motivi che spingono i genitori a iscriverli al maggior numero di corsi, a fargli sperimentare il maggior numero di esperienze possibili, non è più dovuto alla “teoria dell’attività”, secondo cui più il bambino è impegnato minore è la possibilità che ‘faccia conoscenze sbagliate’. Tutti questi impegni sono dovuti al desiderio dei genitori di avere un ‘piccolo genio in famiglia’, aspettative che caricano di responsabilità bambini nell’età che dovrebbe essere della spensieratezza.
Il riconoscimento delle potenzialità del bambino senza dubbio hanno il pregio di aiutarlo nello sviluppo, ma i bambini rimangono comunque bambini e non hanno ancora tutte le competenze e gli strumenti per comprendere tutti i dati a disposizione. Dobbiamo però ricordare che la ricerca di cui abbiamo riportato i risultati è stata condotta in Inghilterra, mentre nel nostro paese la situazione è un po’ diversa. Secondo il rapporto dell’Unicef ‘Quadro comparativo sul benessere dei bambini nei paesi ricchi’, i bambini italiani riferiscono di stare bene con i propri genitori, e in generale meglio rispetto ad altri paesi industrializzati.
foto by bescia
domenica 21 ottobre 2007
SOMMARIO DELLA SETTIMANA
Questa settimana ci siamo occupate di:
Addiction:
Addiction:
il cellulare può avere effetti dannosi sulle nostre abitudini e percezioni, vi avevamo già consigliato di dimenticarlo ogni tanto, soprattutto in vista delle vacanze. Una recente ricerca mostra come la sindrome clinica dell’arto fantasma sia applicabile all’utilizzo del cellulare del momento: il blackberry, vediamo perché.
Comunicazione:
le notizie fasulle, ma attraenti, vengono più spesso credute rispetto a news realistiche, questo accade soprattutto tra gli amanti del gossip, una ricerca ne svela segreti e meccanismi.
Il clima lavorativo in ufficio va mantenuto sereno, anche grazie ai consigli che già vi avevamo proposto, ma ora uno studio inverte la rotta: insulti e parolacce sarebbero funzionali al gruppo, siete d’accordo? Leggete l’articolo al riguardo.
Verità:
Comunicazione:
le notizie fasulle, ma attraenti, vengono più spesso credute rispetto a news realistiche, questo accade soprattutto tra gli amanti del gossip, una ricerca ne svela segreti e meccanismi.
Il clima lavorativo in ufficio va mantenuto sereno, anche grazie ai consigli che già vi avevamo proposto, ma ora uno studio inverte la rotta: insulti e parolacce sarebbero funzionali al gruppo, siete d’accordo? Leggete l’articolo al riguardo.
Verità:
le macchine della verità, lo avevamo visto, sono uno degli scopi preferiti dei ricercatori, tanto più se si applicano alla sicurezza delle persone. Ecco un filone di ricerca che s sta occupando della creazione di uno scanner per l’individuazione di terroristi.
Foto by gettyimages
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giovedì 18 ottobre 2007
IL CELLULARE COME L'ARTO FANTASMA
La sindrome del Blackberry fantasma: sentire le suonerie del cellulare anche quando è a casa.
Per tutti gli scettici che ancora non credono nella capacità del cellulare di provocare dipendenza arrivano nuove ricerche dagli Stati Uniti. La dipendenza da cellulare è stata infatti indagata a livello fisiologico, ovvero è stata analizzata una possibile base neurologica della phone addiction.
Gli effetti della dipendenza da telefonino è stata paragonata al fenomeno dell’arto fantasma, che consiste nel sentire prurito o dolore all’arto amputato. William Barr, neuropsicologo della New York University, ritiene che l’utilizzo assiduo del telefono cellulare lo renda parte dell’individuo, e attraverso una metafora esemplifica: «È come indossare tutto il giorno un calzino troppo stretto. Quando lo togli continui a sentire la sensazione attorno al piede». Per questo, anche quando si dimentica il telefonino a casa, si sentono le suonerie come se ci fosse, perché è ormai diventato parte del corpo.
Questo spiegherebbe il perché in molti casi si sentono vibrazioni e suonerie anche in assenza del celllulare. Questo fenomeno è stato denominato sindrome del ‘Blackberry fantasma’ dai neurologi dell’Universitò del Maryland che l’hanno descritta.
Secondo Kaas, psicologo della Vanderbilt University, la spiegazione a questo comportamento è da far risalire ad un fondamentale fenomeno psicologico ampiamente studiato e descritto dalla psicologia comportamentista: il condizionamento operante. Il soggetto, infatti, proverebbe soddisfazione nel rispondere ad una telefonata o nel ricevere un sms e per questo controlla il cellulare anche in assenza di segnali. «Con la ripetizione le connessioni tra nervi e cervello si rafforzano. – spiega Kaas - Se ne formano di nuove che rendono automatico il processo e indipendente dall'effettivo azionamento della suoneria. Ed ecco dunque i falsi positivi».
Per tutti gli scettici che ancora non credono nella capacità del cellulare di provocare dipendenza arrivano nuove ricerche dagli Stati Uniti. La dipendenza da cellulare è stata infatti indagata a livello fisiologico, ovvero è stata analizzata una possibile base neurologica della phone addiction.
Gli effetti della dipendenza da telefonino è stata paragonata al fenomeno dell’arto fantasma, che consiste nel sentire prurito o dolore all’arto amputato. William Barr, neuropsicologo della New York University, ritiene che l’utilizzo assiduo del telefono cellulare lo renda parte dell’individuo, e attraverso una metafora esemplifica: «È come indossare tutto il giorno un calzino troppo stretto. Quando lo togli continui a sentire la sensazione attorno al piede». Per questo, anche quando si dimentica il telefonino a casa, si sentono le suonerie come se ci fosse, perché è ormai diventato parte del corpo.
Questo spiegherebbe il perché in molti casi si sentono vibrazioni e suonerie anche in assenza del celllulare. Questo fenomeno è stato denominato sindrome del ‘Blackberry fantasma’ dai neurologi dell’Universitò del Maryland che l’hanno descritta.
Secondo Kaas, psicologo della Vanderbilt University, la spiegazione a questo comportamento è da far risalire ad un fondamentale fenomeno psicologico ampiamente studiato e descritto dalla psicologia comportamentista: il condizionamento operante. Il soggetto, infatti, proverebbe soddisfazione nel rispondere ad una telefonata o nel ricevere un sms e per questo controlla il cellulare anche in assenza di segnali. «Con la ripetizione le connessioni tra nervi e cervello si rafforzano. – spiega Kaas - Se ne formano di nuove che rendono automatico il processo e indipendente dall'effettivo azionamento della suoneria. Ed ecco dunque i falsi positivi».
foto by kint
mercoledì 17 ottobre 2007
PAROLACCE IN UFFICIO
Dire parolacce in ufficio aiuta a creare solidarietà tra i colleghi, a combattere lo stress e ad aumentare la produttività. E’ quanto emerge dallo studio condotto da Baruch presso la Norwich University of East Anglia.
Un buon clima lavorativo, buone relazioni all’interno del team di lavoro consentono di vivere meglio la giornata lavorativa e di riflesso essere più produttivi. L’analisi del clima di lavoro, la ricerca di soluzioni per creare ‘spirito di squadra’, è uno dei tanti ambiti di indagine della psicologia del lavoro, che in anni di ricerca ha individuato fattori facilitanti e programmi di miglioramento.
Una ricerca ha messo in luce un inaspettato fattore che sarebbe in grado di incidere positivamente sulle relazioni lavorative: le parolacce. Il turpiloquio è in generale condannato, ma ottiene effetti sorprendenti all’interno dell’ufficio.
Secondo lo studio condotto presso la Norwich University of East Anglia, portata avanti da Yehuda Baruch, le parolacce creano solidarietà tra i colleghi. Il linguaggio volgare, non offensivo, riduce i livelli di stress e crea unione tra le persone. Questo fenomeno è dovuto al fatto che di fronte a clienti e superiori è necessario mantenere una atteggiamento formale. Lo studio evidenzia inoltre correlazioni significative tra età e linguaggio e tra genere e linguaggio. I giovani professionisti utilizzano con minori remore le parolacce e lo considerano un atteggiamento socialmente accettabile. Per quanto riguarda le differenze di genere, le donne ricorrono maggiormente a questa tipologia di linguaggio.
Lo studio, che è andato a misurare una delle dinamiche quotidiane interne ad un luogo di lavoro, consiglia dunque di evitare di proibire questo linguaggio, per evitare effetti indesiderati come una diminuzione della solidarietà tra colleghi. «Le parolacce – spiega Baruch - sono parte della nostra vita quotidiana, speriamo che con questa ricerca i dirigenti siano più tolleranti nei confronti del linguaggio usato dai propri dipendenti».
foto by Axell
martedì 16 ottobre 2007
IL POTERE DEL GOSSIP
Ascoltare il gossip o la realtà dei fatti? Le persone sono facilmente propensi ad ascoltare una diceria, come è emerso da una recente ricerca del Max Planck Institute.
Le dicerie, i pettegolezzi, le malelingue, poco accettati ma ampiamente oggetto delle conversazioni quotidiane. Ogni persona è stato oggetto almeno una volta di un pettegolezzo, generalmente poco veritiero, o meglio, con modificazioni rispetto alla realtà. Inoltre, ognuno di noi almeno una volta nella vita, ha diffuso un pettegolezzo, narrando dettagliatamente un evento di cui, in realtà, conosceva solo pochi particolari.
Ma che impatto ha il pettegolezzo sulle persone? Si cerca di approfondire, di essere certi della realtà dei fatti o si dà fiducia a quello che si è sentito dire?
In Germania, presso l’istituto Max Planck, è stata condotta una ricerca sulla diceria, pubblicata sulla rivista ‘Proceedings of tha National Accademy of Science’. La ricerca ha coinvolto un gruppo di studenti a cui veniva chiesto di scrivere notazioni sugli altri, su fogli d’appunti che erano a disposizione di tutti. Inoltre a ciascun soggetto è stato fornito del denaro e gli è stato chiesto di distribuire il denaro agli altri soggetti. E’ stato osservato che venivano dati meno soldi ai soggetti definiti avari o spilorci.
La ricerca ha dunque mostrato che la diceria ha molto peso sulle persone ed ha un forte potenziale manipolativo. Molto spesso viene ascoltata la diceria nonostante si sia a conoscenza della realtà.
Le dicerie, i pettegolezzi, le malelingue, poco accettati ma ampiamente oggetto delle conversazioni quotidiane. Ogni persona è stato oggetto almeno una volta di un pettegolezzo, generalmente poco veritiero, o meglio, con modificazioni rispetto alla realtà. Inoltre, ognuno di noi almeno una volta nella vita, ha diffuso un pettegolezzo, narrando dettagliatamente un evento di cui, in realtà, conosceva solo pochi particolari.
Ma che impatto ha il pettegolezzo sulle persone? Si cerca di approfondire, di essere certi della realtà dei fatti o si dà fiducia a quello che si è sentito dire?
In Germania, presso l’istituto Max Planck, è stata condotta una ricerca sulla diceria, pubblicata sulla rivista ‘Proceedings of tha National Accademy of Science’. La ricerca ha coinvolto un gruppo di studenti a cui veniva chiesto di scrivere notazioni sugli altri, su fogli d’appunti che erano a disposizione di tutti. Inoltre a ciascun soggetto è stato fornito del denaro e gli è stato chiesto di distribuire il denaro agli altri soggetti. E’ stato osservato che venivano dati meno soldi ai soggetti definiti avari o spilorci.
La ricerca ha dunque mostrato che la diceria ha molto peso sulle persone ed ha un forte potenziale manipolativo. Molto spesso viene ascoltata la diceria nonostante si sia a conoscenza della realtà.
foto by rokebola
lunedì 15 ottobre 2007
STRESS POST RAPINA
Una ricerca condotta da Mario Maj ha indagato gli effetti psicologici seguenti ad una rapina. Dai dati emergono inquietanti sentimenti di colpa e rassegnazione.
Le rapine sono ormai all’ordine del giorno. I mass media sono costretti a riferire solo quelle con l’esito più drammatico, come il ferimento o addirittura la morte del derubato. Ma quotidianamente in ogni parte d’Italia moltissime persone vengono derubate.
Una ricerca, iniziata due anni fa, e recentemente aggiornata, ha indagato l’effetto psicologico sulle persone di questi eventi. Infatti, oltre allo schock momentaneo, molte persone in seguito riferiscono vissuti post-traumatici. Inoltre è da tenere in considerazione che alcuni fattori, come vivere in una città in cui le rapine sono molto frequenti, ne potenziano l’effetto.
Il dottor Mario Maj ha coordinato una ricerca sugli effetti di una rapina. La ricerca, condotta presso la seconda università di Napoli, è stata recentemente esposta al congresso nazionale di Psichiatria biologica. La ricerca è stato condotta con l’ausilio delle forze dell’ordine, che hanno intervistato 301 soggetti (178 donne e 123 donne) sui sentimenti e le emozioni provati in seguito ad una rapina, per valutare la frequenza dei sintomi da stress post-traumatico.
Dalle interviste è emerso che l’80% dei soggetti riferisce di ricordi intrusivi e sogni angosciosi riguardo la violenza subita. In particolare le donne sono coloro che subiscono in misura maggiore queste ripercussioni psicologiche.
Inoltre sono stati osservati sentimenti di colpa e di rassegnazione associati a queste esperienze. Per quanto riguarda il senso di colpa, i soggetti sentono di essere in parte causa della rapina, per essere passati per una determinata via, per aver parcheggiato in una zona. La rassegnazione è invece dovuta alla elevata frequenza delle rapine, in una città come Napoli, dove spesso le persone vengono rapinate più volte.
La ricerca pone dunque l’accento, oltre ai classici sintomi da stress post-traumatico, su questi sentimenti che accompagnano l’esperienza. Il senso di colpa è caratteristico della vittima di violenze che può far vivere ancora peggio la vicenda, poiché ci si sente con-causa, che porta quasi a pensare di ‘essersela cercata’.
Le rapine sono ormai all’ordine del giorno. I mass media sono costretti a riferire solo quelle con l’esito più drammatico, come il ferimento o addirittura la morte del derubato. Ma quotidianamente in ogni parte d’Italia moltissime persone vengono derubate.
Una ricerca, iniziata due anni fa, e recentemente aggiornata, ha indagato l’effetto psicologico sulle persone di questi eventi. Infatti, oltre allo schock momentaneo, molte persone in seguito riferiscono vissuti post-traumatici. Inoltre è da tenere in considerazione che alcuni fattori, come vivere in una città in cui le rapine sono molto frequenti, ne potenziano l’effetto.
Il dottor Mario Maj ha coordinato una ricerca sugli effetti di una rapina. La ricerca, condotta presso la seconda università di Napoli, è stata recentemente esposta al congresso nazionale di Psichiatria biologica. La ricerca è stato condotta con l’ausilio delle forze dell’ordine, che hanno intervistato 301 soggetti (178 donne e 123 donne) sui sentimenti e le emozioni provati in seguito ad una rapina, per valutare la frequenza dei sintomi da stress post-traumatico.
Dalle interviste è emerso che l’80% dei soggetti riferisce di ricordi intrusivi e sogni angosciosi riguardo la violenza subita. In particolare le donne sono coloro che subiscono in misura maggiore queste ripercussioni psicologiche.
Inoltre sono stati osservati sentimenti di colpa e di rassegnazione associati a queste esperienze. Per quanto riguarda il senso di colpa, i soggetti sentono di essere in parte causa della rapina, per essere passati per una determinata via, per aver parcheggiato in una zona. La rassegnazione è invece dovuta alla elevata frequenza delle rapine, in una città come Napoli, dove spesso le persone vengono rapinate più volte.
La ricerca pone dunque l’accento, oltre ai classici sintomi da stress post-traumatico, su questi sentimenti che accompagnano l’esperienza. Il senso di colpa è caratteristico della vittima di violenze che può far vivere ancora peggio la vicenda, poiché ci si sente con-causa, che porta quasi a pensare di ‘essersela cercata’.
foto by Lessio
SCANNER CONTRO I TERRORISTI
Scoprire se una persona sta mentendo è un compito molto difficile, nonosante l'elevato livello delle tecnologie disponibili. Scoprire un terrorista all'interno di una folla sembra un'operazione quasi imposibile, come trovare un ago in un pagliaio. Un'equipe americana, dell'Università di Buffalo, partendo dalle conoscene sull'attivazione fisiologia del mentitore e sugli indizi rilevatori della menzogna, stanno cercando d sviluppare uno scanner in grado di individuare un terrorista.
Il terrorismo è un problema internazionale che fa accapigliare i capi di governo di mezzo mondo e che impaurisce molte persone.
Negli stati Uniti si sta cercando di sviluppare uno strumento in grado di identificare all’interno di una folla un potenziale terrorista, attraverso l’analisi di più indizi ( movimenti del volto, tono di voce, ecc.) correlati tra loro attraverso complessi algoritmi.
La finalità è quella di applicarlo all’interno di aeroporti o altri luogo ad alto rischio terroristico.
Dopo l’11 settembre i sistemi per sventare possibili nuovi attacchi terroristici sono diventati sempre più complessi e sofisticati, dal passaporto elettronico allo scanner dell’occhio all’ingresso sul suolo americano. La ricerca non si è però fermata, continuando sulla linea delle ricerche comportamentali.
Nell’Università di Buffalo, attraverso la cooperazione di psicologi comportamentali ed ingegneri esperti di biometria computerizzata, si sta cercando di sviluppare uno scanner in grado di individuare soggetti potenzialmente pericolosi. "L'obiettivo è quello di individuare l'esecutore in un percorso di sicurezza prima che abbia la possibilità di condurre l'attacco", spiega Venu Govindaraju, docente di scienze informatiche e ingegneria presso la stessa università e co-responsabile del progetto.
Lo scanner dovrà essere in grado di analizzare in tempo reale i dati provenienti dalle espressione del volto, dal tono della voce e da segnali biometrici.
Il progetto è molto ambizione e avveniristico, ed è riuscito ad ottenere 800mila dollari di finanziamento dalla National Science Foundation, grazie ai risultati promettenti fin ora ottenuti.
Rimane scettici di fronte ad un progetto come questo è tuttavia lecito. D’altra parte non sono stati ancora identificati indici psicometrici e vocali univoci indicatori della menzogna. Gli stessi ricercatori avvertono: "Nessun comportamento è in grado di garantire sempre che qualcuno stia mentendo, ma i comportamenti sono utili per prevedere le emozioni o i pensieri e possono aiutare gli addetti della vigilanza a decidere chi osservare con maggior attenzione e più da vicino".
Negli stati Uniti si sta cercando di sviluppare uno strumento in grado di identificare all’interno di una folla un potenziale terrorista, attraverso l’analisi di più indizi ( movimenti del volto, tono di voce, ecc.) correlati tra loro attraverso complessi algoritmi.
La finalità è quella di applicarlo all’interno di aeroporti o altri luogo ad alto rischio terroristico.
Dopo l’11 settembre i sistemi per sventare possibili nuovi attacchi terroristici sono diventati sempre più complessi e sofisticati, dal passaporto elettronico allo scanner dell’occhio all’ingresso sul suolo americano. La ricerca non si è però fermata, continuando sulla linea delle ricerche comportamentali.
Nell’Università di Buffalo, attraverso la cooperazione di psicologi comportamentali ed ingegneri esperti di biometria computerizzata, si sta cercando di sviluppare uno scanner in grado di individuare soggetti potenzialmente pericolosi. "L'obiettivo è quello di individuare l'esecutore in un percorso di sicurezza prima che abbia la possibilità di condurre l'attacco", spiega Venu Govindaraju, docente di scienze informatiche e ingegneria presso la stessa università e co-responsabile del progetto.
Lo scanner dovrà essere in grado di analizzare in tempo reale i dati provenienti dalle espressione del volto, dal tono della voce e da segnali biometrici.
Il progetto è molto ambizione e avveniristico, ed è riuscito ad ottenere 800mila dollari di finanziamento dalla National Science Foundation, grazie ai risultati promettenti fin ora ottenuti.
Rimane scettici di fronte ad un progetto come questo è tuttavia lecito. D’altra parte non sono stati ancora identificati indici psicometrici e vocali univoci indicatori della menzogna. Gli stessi ricercatori avvertono: "Nessun comportamento è in grado di garantire sempre che qualcuno stia mentendo, ma i comportamenti sono utili per prevedere le emozioni o i pensieri e possono aiutare gli addetti della vigilanza a decidere chi osservare con maggior attenzione e più da vicino".
Il tema dello smascheramento della menzogna è stato recentemente trattato nel post 'Innovativa macchina della verità'
foto by JoshMcConnell