Numerosi marines al ritorno dalle missioni diventano violenti con i propri famigliari. Il New York Times ha condotto un’inchiesta sui numerosi crimini in cui sono coinvolti i soldati al ritorno da Iraq ed Afghanistan.
La guerra è un evento fortemente traumatico e stressante per coloro che la vivono, sia per i civili, sia per i soldati. Le guerre che ha visto coinvolti gli Stati Uniti in questi ultimi anni mostrano chiaramente i danni psicologici provocati da un conflitto. Emerge che al ritorno dal fronte, molti marines mostrano comportamenti violenti, spesso nei confronti dei propri famigliari, mogli, fidanzate e figli uccisi durante le liti o a seguito di omicidi premeditati.
L’ampiezza di questo fenomeno ha indotto il celebre New York Times a condurre un’inchiesta sui veterani coinvolti in crimini. Sono stati rilevati 121 casi in cui veterani rientrati dall’Afghanistan e dall’Iraq, che hanno ucciso o che sono formalmente accusati di omicidio. In circa un’ottantina di omicidi (2/3 dei casi) le vittime sono famigliari degli ex-soldati, in particolare mogli o fidanzate. Questi casi includono sparatorie (in casa, in strada o in locali pubblici), accoltellamenti, annegamenti forzati nella vasca da bagno di casa, strangolamenti e incidenti stradali causati da un eccesso d’alcool (25 casi).
Questi dati sono stati raccolti partendo da giornali locali, rapporti di polizia, documenti ufficiai ed interviste alle famiglie, avvocati ed ufficiali.
Sembrerebbe che, una volta tornati dalla guerra, gli ex-soldati non riescano ad abbandonare i comportamenti violenti, a smettere di uccidere. Il fenomeno è definito “violenza da ritorno”, ed è già conosciuto negli stati Uniti, anche se a seguito delle recenti campagne in Afghanistan ed Iraq è aumentato dell’89%. Un aspetto preoccupante è il disinteresse per la questione mostrata da Pentagono e Dipartimento di Giustizia, che non monitora il fenomeno e che non rispondono alle domande poste dall’autorevole New York times.
Foto by Gy7ras
La guerra è un evento fortemente traumatico e stressante per coloro che la vivono, sia per i civili, sia per i soldati. Le guerre che ha visto coinvolti gli Stati Uniti in questi ultimi anni mostrano chiaramente i danni psicologici provocati da un conflitto. Emerge che al ritorno dal fronte, molti marines mostrano comportamenti violenti, spesso nei confronti dei propri famigliari, mogli, fidanzate e figli uccisi durante le liti o a seguito di omicidi premeditati.
L’ampiezza di questo fenomeno ha indotto il celebre New York Times a condurre un’inchiesta sui veterani coinvolti in crimini. Sono stati rilevati 121 casi in cui veterani rientrati dall’Afghanistan e dall’Iraq, che hanno ucciso o che sono formalmente accusati di omicidio. In circa un’ottantina di omicidi (2/3 dei casi) le vittime sono famigliari degli ex-soldati, in particolare mogli o fidanzate. Questi casi includono sparatorie (in casa, in strada o in locali pubblici), accoltellamenti, annegamenti forzati nella vasca da bagno di casa, strangolamenti e incidenti stradali causati da un eccesso d’alcool (25 casi).
Questi dati sono stati raccolti partendo da giornali locali, rapporti di polizia, documenti ufficiai ed interviste alle famiglie, avvocati ed ufficiali.
Sembrerebbe che, una volta tornati dalla guerra, gli ex-soldati non riescano ad abbandonare i comportamenti violenti, a smettere di uccidere. Il fenomeno è definito “violenza da ritorno”, ed è già conosciuto negli stati Uniti, anche se a seguito delle recenti campagne in Afghanistan ed Iraq è aumentato dell’89%. Un aspetto preoccupante è il disinteresse per la questione mostrata da Pentagono e Dipartimento di Giustizia, che non monitora il fenomeno e che non rispondono alle domande poste dall’autorevole New York times.
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