venerdì 16 ottobre 2009
CONNECTIVITY: ANSIA E IT
L'istituto inglese The Future Laboratory ha indagato il legame tra ansia e connessione telematica. dalla ricerca emerge che due terzi degli utenti si sentono maggiormente sicuri se hanno la possbilità di conntersi a Internet, sia come tramite computer che tramite device mobili.
L'ansia, reazione adattiva in caso di pericolo, si manifesterebbe invece in mancanza di connettività, soprattutto nel caso di mancanza di contatto digitale con la famiglia ( figli, coniuge...)
Tuttavia anche la "google addiction" contribuisce a innalzare il livello di stress, se ci si ritrova in situazioni sconosciute o problemetiche viene vissuto come ansiogeno il non poter ricorrere alla consultazione delle pagine web.
Lo psicologo James Brook distingue tuttavia due tipologie di persone: gli ansiogeni da non connessione e invece chi si sente libero e non oppresso proprio dalla mancanza di reperibilità, che nelle vite quotidiane è diventata la norma.
La net-dipendenza intesa come assorbimento dal mondo virtuale interessa ormai quasi il 4% dei soggetti studiati, anche se i picchi più alti si registrano nei paesi asiatici e oltreoceano, negli USA.
Sembra sempre più vicina lìipotesi di rehab per internet dipendenti anche in italia, soprattutto per quegli adolescenti ormai assorbiti dalla socialità cibernetica e incapaci di vivere altrove una vita reale, con conseguenti possibili disturbi comportamentali.
venerdì 24 luglio 2009
PSYCHO-FLASH: CREDERE ALLE COINCIDENZE
In vista delle vostre letture estive vi segnaliamo il libro Nulla succede per caso di R. H. Hopcke che illustra in modo approfondito e con un'ottica originale il senso delle coincidenze nella vita.
L'autore seguendo un'ottica di lettura Junghiana mette in luce come le coincidenze che spesso ci accadono nella vita non siano dovute a mera fatalità ma dipendano invece da un inconscio collettivo, che tutti gli uomini condividono e che fa sì che le persone possano entrare in sintonia al momento giusto con l'individuo giusto.
Questo accade non soltanto in positivo, quando ci sentiamo più legati agli altri, ma anche quando vorremmo per vari motivi allentare il legame con altri, emergono eventi in grado di ricordarci i nostri legami con gli altri
Il significato e la struttura che gli eventi hanno fanno sì che si possa instaurare una sincronicità: da un semplice incontro casuale asce così un evento significativo che possiede rilevanza emotiva.
Per Jung i simboli hanno un forte potere nella vita dell'uomo, e tra di essi n archetipo è sicuarmente l'Amore che, come tutti possiamo ben immaghinare,è altamente esplicativo di come semplici coincidenze possano mutare il corso della nostra vita
Sperando di avervi passto un po' di curiosità psicologica verso l'argomento, aspettiamo le vostre riflessioni post-lettura!
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LA DIPENDENZA MENTALE DEL FUMO
Studi e ricerche sui fumatori sono numerosi e purtroppo molto spesso si tratta di metodi pseudo-medici di ordine miracoloso che rendono l'argomento ancora più fumoso.
In tempi in cui gli effetti nocivi sulla salute sono di dominio publico, vale la pena interrogarsi su cosa davvero spinge i tabagisti a non perdere il vizio. Ci viene in aiuto un recente studio di Psicofarmacologia.
La dipendenza da sigaretta è prima di tutto un fattore di contenuto: la nicotina è una sostanza stimolante che crea dipendenza fisica inducendo le persone a continuare nel consumo e ad aumentarne progressivamente la quantità di fronte alla diminuizione dell'appagamento e all'assuefazione del fisico alla sostanza.
La nicotina è uno stimolante derivato dal tabacco che agisce direttamente sui neurotrasmettitoori, innalzando il livello di produzione della dopamina. L'aumentare delle concentrazioni di quest'ultima provoca una sensazione di benessere difuso, di appagamento e piacere, tuttavia un costante livello più alto della media porta a malattie di vario ordine.
Chiarito quindi che la prima causa è fisica, sappiamo che il potere stimolante di una sigaretta no è tale, come nel caso di droghe pesanti, a giustificare l'instaurarsi di una dipendenza anche se il basso contenuto di stupefacenti non dve eindurre al contrario alla sottovalutazione del rischio di non poterne più fare a meno.
Esistono tuttavia numerosi fattori psicologici che incidono sulla scelta o meno di tabagismo.
Secondo Matthew Palmatier che ha recentemente pubblicato un articolo su Neuropsychopharmacology il piacere non deriva dalla sigaretta in sè, ma dalle esperienze piacevoli che ad essa si accompagnano.
Non sarebbe il fumo la "causa" del poacere ma il legare l'atto di fumare a esperienze e contesti di vita piacevoli. Approfondendo tale punto il professore ha infatti notato come nella maggior parte dei casi il consumo di stupefacenti sia strettamente legato alla compagnia di persone specifiche o al trovarsi in posti particolari.
La sigaretta assume così il valore di un premio, al pari di un ben più innocuo gelato, che ci si concefde in situazioni di rilassatezza e che diviene poi imprescindibile perchè la compagnia di tale persona o il trovarsi nel medesimo posto siano ugualmente piacevoli.
Nelle affermazioni dello studioso americano è contenuto un terzo fattore implicato nel tabagismo, ovvero l'instaurarsi di un'abitudine automatica che ci porta a ripetere gesti e usi in situazioni simili così come giorno dopo giorno. Lo stesso fumare una prima sigaretta aumenta così la probabilità di fumarne una seconda.
Resta poi un ampio discors che si aggira intorno al valore sociale e personale della sigaretta, laddove i due termini spesso sono solo virtualmente distinguibili.
I fumo come rito di passaggio o conferma della propria identità è ancora fortmente presente nell'età adoloescenziale, così come un contesto sociale eccessivamente permissivo o al contrario restrittivo son fattori facilitanti la scorretta abitudine.
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giovedì 23 luglio 2009
STRESS? DISTRESS! LA SITUAZIONE OGGI
Vi ricordate? Avevamo parlato della distinzione tra stress e distress individuandone la differenza tra meccanismo adattivo essenziale e surplus di attivazione. Ecco come è cambiata la situazione da allora.
Lo stress è quel meccanismo che si attiva come risorsa difensiva in caso di eventi improvvisi e pericolosi, che mobilita tutte le nostre risporse in vista della fuga o dell'attivazione di una risposta congruente al pericolo. Tuttavia questa risposta d'ansia può essere attivata anche con stimoli di intensità inferiore e diventare un meccanismo di difesa disadattivo che costringe mente e corpo ad uno stress eccessivo andando ad inficiare non solo le competenze intellettive ma anche la salute fisica del nostro corpo.
I segnali che giungono dsalla società non sono purtroppo confortanti, infatti il numero di distress aumenta a causa dei ritmi sempre più frenetici, del contesto socio-culturale incerto e della tendenza a individualismo e competitività.
Facciamo un breve update sui numeri principali.
La causa principale (50% di incidenza) si conferma l'eccessiva numerosità degli impegni rispetto all'ideale carico giornaliero.
La percantuale di italiani che soffrono di ditress è del 41% su un campione di 100 soggetti tra uomini e donne.
L'incidenza del distress è maggiore nella fascia compresa tra i 35 e i 54 anni, e va di pari passo con responsabilità lavorative e non e posizione sociale.
Economicamente lo stress negativo pesa anche sul bilancio statale, causando una perdita annua che nel 2008 è stata stimata a 20 milioni di euro.
Il distress incide in modo evidente sulla salute delle persone causando aseenze per circa 600 milioni di giorni entro l'anno.
E' evidente che lo stress sarà un argomento sempre più presente nei dibattiti di psicologia in futuro, essendo diretta conseguenza della civilizzazione e, insieme della relativa lentezza da parte dell'uomo nell'adattamento al nuovo ambiente vitale.
L'evoluzione infatti ha ritmi diversi e più lunghi rispetto al salto di civilizzazione odierno e servirà ancora molto tempo prima che il cervello umano, tarato per rispondere tempestivamente a situazioni ambientali di sopravvivenza, sia i grado di elaborare senza conseguenze negative una stimolazione veloce ed amplificata come quella odierna.
Nel frattempo, vale la pena che vi prendiate due minuti di relax dopo la lettura di questo articolo.
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mercoledì 22 luglio 2009
I BIMBI CHE PARLANO AI CANI
Non stiamo parlando di capacità soprannaturali o di bambini prodigio, bensì di uno studio condotto presso la Brigham Young University che mostra come i bambini siano in grado di comprendere perfettamente non soltanto i segnali comunicativi non verbali degli adulti, ma anche il linguaggio cinestesico e vocale del migliore amico dell'uomo.
Ross Flom è l'autore dell'articolo apparso sul numero di luglio della rivista Developmental Psychology.
Lo scopo della ricerca sta nell'indagare le basi della socialità umana e i meccanismi, dai primitivi ai complessi, che stanno alla base della comunicazione e dell'emozionalità.
Analogamente auno dei più famosi studi sulle espressioni facciali condotto da Ekman, ai bambini da sei mesi di età venivano mostrate fotografie di cani in diverse situazioni e veniva loro chiesto di indicare l'immagine estta. Analogamente venivano fatte ascoltare delle registrazioni di ringhi o di vocalizzazioni di contentezza e si chiedeva di associarle alla corretta immagine corrispondente.
I risultati mostrano come già a sei mesi i bimbi sono capaci di focalizzare la propria attenzione sull'immagine esatta, mentre con il progredire dell'età comportamento aggressivo ed amichevole sono immediatamente ricondotti al corrispettivo assetto corporeo del cane.
Il cane è stato scleto come animale maggiormente adatto sia per la mimica evidente ed accentauata, sia perchè animale con cui i bambini sono maggiormente familiari. Dallo sudio è inoltre emerso che le capacità di discriminazione sono indipendenti dall'interazione pregressa con i cani: Anche bambini che non hanno mai avuto un cane nè hanno trascorso del tempo con l'animale sanno operare le corrette attribuzioni.
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SOMIGLIANZE CASUALI?
Un'interessante studio pubblicato sul Journal of Consumer Research mostra come le persone siano maggiormente ben disposte e fiduciose nei confronti di chi è simile a loro.
Avere caratteristiche in comune, anche se apparentemente irrilevanti, crea un legame che favorisce scambio e apertura di sè, elementi che possono essere ben sfruttati anche in ambito commerciale.
Secondo Lan Jiang e Amitava Chattopadhyay della University of British Columbia a Vancouver, si instaura un feeling positivo in modoautomatico quando le persone vengono a conoscenza del possesso di caratteristiche analoghe ad altri con cui si interagisce.
In particolar modo la comunanza influisce sui nostri comportamenti: se il venditore o la commessa di un negozio sono nati il nstro stesso giorno o vivono nel nostro stesso luogo, aumenta la probabilità di effettuare acquisti in quel negozio, così come aumenta la probabilità di tornarvi in futuro.
La spiegazione? Tale propensione pare dovuta all'innata tendenza dell'uomo all'affiliazione (non per niente la motivazione del far parte di un gruppo o una comunità rientrava anche nalla piramide motivazionale maslowiana).
Così anche uno studio analogo, condotto in condizioni meno piacevoli, viene in aiuto nella definizione.
Pare che pazienti di dentisti che abitano nel nostro stesso luogo d'origine vivano in modo più sereno le visite e prenotino un numero più ampio di controlli durante l'arco dell'anno.
L'affiliazione infatti non è soltanto un elemento ersuasivo e persuadente che ci spinge a legarci ad altri per "piacere", ma anche una garanzia contro gli imprevisti: così il medico diviene meno fastidioso da consultare se è un mio simile, che mi conosce e che condivide con me qualcosa.
E questo per chi ancora crede che l'uomo abbia perso tutte le somiglianze con il genere animale.
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martedì 28 aprile 2009
MILGRAM E I REALITY
Il noto esperimento di Stanley Milgram è stato replicato per verificare come e quanto i reality show incidano sulle capacità dei concorenti e degli spettatori e li spingano a compiere azioni estreme rispetto a quanto non farebbero in condizioni normali
Dinamiche e risultati sono stati messi a punto dalla televisione francese che li esporrà in un documetario in onda quest'anno, curato da Christophe Nick con un elevato budget.
Nn si tratta stavolta di obbedienza ad un'autorità ritenuta legittima, ma anche nel caso dei reality show si possono innescare pensieri e comportamenti dannosi nei confronti degli avversari.
L'esperimento si chiama “Zone Xtreme” e simula la partecipazione a un reality con domende e risposte.Per ogni errore è prevista una scossa elettrica che varia tra 220 e 480 volts. In realtà le scosse sono solo simulate e chi le riceve è un attore che finge di volta in volta la reazione he avrebbe l'organismo sottoposto a una "tortura" del genere.
I dati, per ora divulgati dal quotidiano Liberacion che ha assistito alle prime scene, parlano di un esigua parte di soggetti astenuti (il solo 20%), e di un'ampia daesione da parte di tutti gli altri.
Risltatai questi analoghi a quelli ottenuti da Milgram negli Anni 60 ma che hanno già fatto ampiamente discutere.
Che si tratti di compiacenza o obbedienza il cervello umano sembra, in alcuni casi come questi, spegnersi e permettere alla persona di compiere azioni eticamente scorretti.
Al di là della correttezza etica dell'esperimento, si tratta di un'iniziativa interessante perchè applica a contesti quotidiani e di comunicazione scoperte datate della Psicologia Sociale che tuttavia sono state spesso dimenticate o relegate a casi limite legati allo specifico esperimento condotto.
In ogni caso i risultati, prima di venire presentati al grande pubblico, verranno vagliati da un team di esperti volti a individuare gli specifici meccanismi attivati in programmi competitivi in real vision.
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lunedì 6 aprile 2009
PSYCHO-FLASH: CHE SOLLIEVO!
Alleviare la sensazione di prurito è un'attività gestita da specifici neuroni che si trovano nella colonna vertebrale. Vediamo come agiscono.
Uno studio pubblicato su Nature Neuroscience riporta la recente scoperta di un team di studiosi
americani dell'Università di Minneapolis in Minnesota.
La ricerca condotta da Glenn Giesler ha osservato entro un campione di uomini e di primati quali erano le zone che venivano attivate dal prurito e dal conseguente grattarsi.
I neuroni spinotalamici si iperattivano quando la pelle viene a contatto con sostanze puriginose e irritanti e si spengono soltanto quando l'area interessata viene grattata.
Ecco perchè in alcuni casi è praticamante impossibile non grattarsi per spegnere il fastidio, e analogamente perchè spesso l'atto del grattarsi delicatamente provoca piacere. Il "grattino" per fortuna non ha effetti collaterali: lo sfregamento ripetuto della cute non inibisce infatti l'attoività di questi neuroni che rimangono comunque reattivi nel caso di stimoli urticanti o pruriginosi.
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mercoledì 1 aprile 2009
LA SINDROME DI DIOGENE
Un recente studio spagnolo pubblicato sul quotidiano El Pais ha coniato la definizione Sindrome di Diogene per definire la tendenza ad accumulare un numero esagerato di e-mail all'interno della propria casella di posta. Pensate che tutto questo accumulo sia un'innocente dimenticanza? Vale la pena saperne di più.
Diogene è da tutti ricordato come il cinico alla ricerca dell'uomo con una lampada in mano; ma cosa accadrebbe se costui non solo non venisse a capo della sua ricerca, ma si trovasse a fronteggiare una montagna di informazioni ammassate senza ragione? Se la mail che cercate disperatamente si cela in un mare di comunicazioni inestricabile, è arrivato il momento di fare luce.
Enrique Dans dell'Istituto Impresa ha classificato cinque tipologie di soggetti in base alla loro modalità di gestione della posta elettronica: il classificatore, il selettivo, il sentimentale, l'irresponsabile e il "diogene". Troviamo così chi divide la corrispondenza in cluster precisi o chi salva soltanto specifici cue per la memoria, chi usa un metro "razionale" e chi invece uno emotivo, legato ai propri ricordi, fino a chi elimina ogni informazione pochi secondi dopo la ricezione.
La tipologia diogene nasce invece grazie alle nuove possibilità tecnologiche che consentono all'utente di avere un maggiore spazio di archiviazione, pur a fronte di invii onerosi in termini di mega. Cosa si cela di fronte a questo bisogno del bibliotecario?
L'aspetto preoccupante è legato alla dimensione del controllo. molto spesso i messaggi ritenuti sono privi di informazioni significative per l'utente, che perde gradualmente la capacità attiva di fare selezione. Non solo, l'accessibilità dello spazio virtuale personale è accresciuta da device che ne permettono la consultazione in tempo reale e facile (si vedano palmari e cellulari di nuova generazione).
La situazione è spesso aggravata dal possesso di più di un account, nati magari per soddisfare esigenze differenti di archiviazione (lavorativa, personale, di informazione) ma sempre più soggette all'ibridazione data la crescente logica di commistione delle comunicazioni web.
José Miguel Bolivar suggerisce allora sette semplici regole: guradare da subito la comunicazione attentamente e classificarla entro le cartelle "da fare", "devo", "mi devono" e "da leggere". Le mail che non rientranmo in queste vanno eliminate subito.
Senza entrare nella logica della procedura, che ciascuno di noi è in grado di coniare per se con un minimo di buon senso, sembra forse eccessivo parlare di sindrome vera e propria. Tuttavia vanno valutati attentamente tutti i segnali di dipndenza e di eccesso legati alla gestione delle infoemìrmazioni (in fondo noi siamo ciò che diciamo e pensiamo) e considerarli come l'anticamera di un'addiction asfissinte e controproducente sia alla persona che al ruolo, di qualunque livello esso sia.
Non a caso viviamo in un contesto dove ormai sempre più di frequente le reti aziendali impediscono di default l'accesso a social network e siti di connettività.
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PSYCHO-FLASH: MAL DI UFFICIO
La salute degli impiegati a rischio. Non è più lo stress la causa principale dei disturbi, ma bastano le sole pratiche lavorative a causare disagio ai dipendenti.
I problemi derivano infatti dall'uso assiduo del video terminale, con una frequenza di 5 ore e 10 minuti medi, cui si sommano i tempi passati al cellulare.
Le conseguenze? Nell'ordine:
- problemi visivi nel 55% dei casi;
- dolori muscolari, soprattutto alla colonna vertebrale (21%);
- crampi alle mani (9%);
- emicrania e cefalea (5%);
- problemi uditivi (1% circa).
Fonte Ansa
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lunedì 16 marzo 2009
BRAIN FACTOR: NEW MAGAZINE ON-LINE
La settimana dal 16 al 22 marzo è come di consueto dedicata agli studi sul cervello umano e in occasione dell'evento verrà lanciato un nuovo magazine on-line.
Totalmente gratuito, con contributi fruibili liberamente da tutti, si tratta di un quotidiano che vuole comunicare a un pubblico esperto ma anche ad un'audience allargata che si interessa sempre di più ai temi della salute e del benessere.
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CURARE CON LA REALTA' VIRTUALE: NON SOLO FANTASCIENZA
Le applicazioni della realtà virtuale non sono soltanto fantasiose, svariati psicologi all'interno della Psicologia Cognitiva utilizzano proficuamente questa tecnica di immmersione per curare disfunzioni o riallineare le capacità motorie e percettive dei soggetti carenti. Scopriamo di più sull'argomento.
Quali sono le applicazioni maggiormente diffuse? Sicuramente il campo dei Disturbi d'ansia si presta bene a questo tipo di tecnica, che permette di avvicinarsi al pericolo in un modo protetto e mediato. Il paziente riesce ad affrontare in tale contesto anche eventi fortemente stressanti, come quelli legati a pericoli per l'integrità e la vita stessa che ne hanno bloccato il normale comportamento.
In seconda battuta numerosi studi mostrano come le abitudini alimentari possano essere corrette, tramite tecniche di controllo delo stimolo e percezione del senso di sazietà.
Infine anche i disturbi legati alla mentalizzazione dello spazio, dalla coordinazione alla percezione complessa possono migliorare grazie ai differenti step simulati tramite la realtà virtuale.
In che modo agisce la realtà vrtuale sul mondo psichico dei pazienti? Per semplificare il metodo delle "terapie virtuali" si può dire che il principio non sia molto diverso da una normele seduta in cui il paziente viene invitato a narrare i trascorsi psichici. Tuttavia il poter simulare una realtà aiuta a farla rivivere in modo completo ma graduale, di modo che il soggetto possa concentrarsi maggiormente sull'esecuzione del compito rispetto all'evocazione dello stesso.
La situazione che la persona vive è insieme esperienza pregressa, ma anche opportunità nuova in cui cimentarsi e sondare le proprie capacità di coping in modo diretto entro un ambiente pressochè identico al reale.
Per il tearpeuta inoltre esiste il grande vantaggio di poter graduare le esperienze del proprio paziente, adeguandole via via alla resilienza che questi ha sviluppato nel corso del trattamento.
La realtà virtuale ad oggi utilizza sistemi complessi e altamente coinvolgenti, che tuttavia non sono equiparabili in toto all'esperienza reale, parte per la complessità e la voluminosità dei devices utilizzati per la simulazione, parte per il non coinvolgimento di tutte le sfere dell'expertise, tuttavia una recente notizia svela che in Inghilterra sarebbe stata implementata la prima realtà virtuale in grado di simulare, e quindi saturare, tutti e cinque i sensi della persona. Sicuramente esitono ad oggi ampi margini di miglioramento, tuttavia non è lontana la possibilità di un'applicazione più dinamaica, e una cura gestita anche solo parzialmente dalla commistione reale-virtuale.
Quali le nuove frontiere della tecnica? Oltre ad approfondire il vasto campo delle malattie ad oggi diagnosticabili (impresa non certo da poco) la realtà virtuale potrebbe entrare a pieno tiolo entro la consistente fetta delle prevenzione mentale, permettendo di progettare luoghi e processi di vita (scolastici, lavorativi ma anche del tempo libero) a misura d'uomo, pesati sui meccanismi mentali e sulle sue tendenze di pensiero.
Fantascienza? Ancora non per molto.
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domenica 1 febbraio 2009
AZIENDA E PSICOLOGO: CONNUBIO VINCENTE
Secondo una ricerca commissionata a GFK Eurisko dall'Ordine degli Psicologi della Lombardia e presentata presso l'Univesrità Cattolica di Milano è aumentato il numero di psicologi assunti nelle aziende: il trend del 2008 ha visto infatti la crescita di questa presenza professionale sia nel campo dei servizi, sia in settori nuovi. Vediamo tutti i dettagli.
I 6.500 posti di lavoro occupati dalla categoria psicologi nel 2008 sono principalmente presso grandi aziende operanti nel campo dei servizi, tuttavia non sono state poche le imprese che hanno richiesto una presenza esperta per collocazioni trasversali, in primis ricerche di mercato, marketing e pubblicità. Rimane ben salda anche la mansione di formazione e selezione personale.
I tempi di lavoro prevedono nella maggior parte un full-time, anche se un 20% svolge la propria occupazione part-time o in modo occasionale.
Un vero e proprio boom psicologico allora, dovuto in parte all'aumentato numero dei professionisti, ma in buona misura anche alle contingenze socio-economiche. La crisi attuale ha infatti spinto ad una riflessione piùampia circa il ruolo del lavoro e la percezione di benessere del lavoratore.
Anche Enrico Molinari, presidente dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia, sottolinea come proprio il fattore del recupero umano sarà uno dei temi da sviluppare nel 2009, amche a fianco delle aziende che, ritenutesi soddisfatte delle attività compiute dagli psicologi nello scorso anno, intendono mantenere apereta questa via di collaborazione.
Si auspica che tanto l'Ordine degli Psicologi, quanto le aziende siano in grado di giungere ad un riconoscimento della figura psicologica che in molti casi continua tuttavia ad essere impiegata come risorsa indifferenziata in campi altri da quello consolidato dei servizi alla persona. Date le previsioni verso un futuro trend positivo, le premesse sono sicuramente buone.
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venerdì 9 gennaio 2009
AIUTO! HO VINTO ALLA LOTTERIA!
All’indomani dell’estrazione del fortunato biglietto vincente della Lotteria Italia, un avviso: la vincita di molti soldi può influire negativamente sul nostro benessere psicologico e la nostra vita sociale. Antonio Lo Iacono, presidente della società Italiana di Psicologia, spiga l’impatto della ricchezza improvvisa a livello personale, familiare e sociale.
Vincere alla lotteria non è sempre un bene. Anzi, incassare milioni di euro ha un forte potenziale destabilizzante che può anche influire negativamente sulla qualità della vita. Antonio Lo Iacono, presidente della Società Italiana di Psicologia, stima che circa il 35% delle persone che vincono cifre in grado di cambiare la vita, rimpiangono ben presto la loro vita precedente. Tanti soldi cambiano le prospettive di vita di una persona, che fino a quel momento viveva pacificamente nella sua quotidianità, determinando incertezze, aumentando le responsabilità e cambiano i rapporti interpersonali.
Sebbene vincere ad una lotteria abbia di per sé una connotazione positiva, se guardiamo l’altra faccia della medaglia si osservano gli effetti negativi dell’evento, che determina un vero e proprio trauma paragonabile al licenziamento in tronco. La ricchezza improvvisa influisce a livello personale, familiare e sociale. Il neo-vincitore troverà davanti a sé (probabilmente) molte più porte aperte, e la possibilità di realizzare sogni chiusi nel cassetto. Le molteplici possibilità offerte, determina la necessità di una trasformazione dell’immagine del sé, che può gettare ne panico. Dall’analisi dei casi, a livello famigliare, sono stati riscontrati divorzi e separazioni. Infine a livello sociale si osserva un aumento della diffidenza verso gli altri (in particolare in personalità paranoiche) che mette a rischio i rapporti.
Naturalmente non tutti i fortunati vincitori vanno incontro a questa 2sindrome da ricchezza improvvisa”, ma molto dipende dalle capacità di coping individuale. Il consiglio di Lo Iacono è quello di farsi aiutare da esperti, non solo nel campo psicologico ma anche finanziario, ad affrontare la nuova vita.
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